Libero-Libre di Michel Toesca è un documentario del 2019, distribuito da I Wonder Pictures, disponibile finalmente su MUBI. La giusta piattaforma per diffondere una testimonianza importantissima sull’accoglienza dei migranti, sfidando le leggi e i controlli francesi, per rispondere a una legge superiore, quella umanitaria.
Ogni mese, in Val Roia migliaia di migranti cercano di attraversare il confine in cerca di una vita migliore. Cédric Herrou, un agricoltore locale, li accoglie a casa sua dall’inizio della crisi, sfidando le politiche sull’immigrazione del governo francese e mettendo a rischio la propria libertà (dalla piattaforma MUBI).
Libero-Libre la prima sequenza nel film ripresa dalla Conversazione di Carlo Cerofolini
Condividiamo la scelta di Carlo Cerofolini, che nella sua conversazione con il regista, dopo l’uscita del film, ha esordito soffermandosi sulla sequenza iniziale. Prima ancora dei titoli di testa, una soggettiva che dal mare si avvicina alla costa, mentre alcune voci, prima in italiano, poi in francese, raccontano i vissuti e il proprio punto di vista dopo gli incontri con i migranti.
“Fuori dalla stazione era pieno, pienissimo di gente che si capiva era appena arrivata da un lungo viaggio e c’erano uomini, ma anche tante donne e bambini. E non ho capito bene cosa stesse succedendo. So solo che ho avvertito questa strana sensazione per cui erano posati lì, seduti… l’impressione che stavano ad aspettare qualcosa ma non sapevano neanche cosa”.
“Ho visto il suo sguardo e mi sono sentita completamente impotente. Mi sento male perché non ho avuto abbastanza coraggio di dirgli di venire a casa”.
Era un modo per farci sentire parte attiva nel film e non semplici spettatori? Chiede Cerofolini. E Michel Toesca risponde di aver concepito
“l’arrivo dei rifugiati sulle coste europee per rispecchiare la dinamica del viaggio, del movimento, della speranza e dell’elevazione. Questo è il significato del piano sequenza che inizia sulla superficie del mare, poi scopre Ventimiglia, sorvola la città per salire fino alle montagne della valle della Roia. Questo è ovviamente il punto di vista dei rifugiati, ma anche un’introduzione del posto che ne attende la venuta”.
La solidarietà di Cédric Herrou e la banalità del bene che rappresenta sono al centro del film. A mano a mano che ci vengono raccontate, il fuoco si sposta, e lì rimane, su cosa significhi essere davvero persone libere. La consapevolezza dell’arresto quasi sicuro, infatti, non fa pentire Cedric della decisione presa. Perché la libertà non è movimento, ma risiede nella mente, e nella risposta immediata a quello che dice all’inizio: Bisognava fare qualcosa. La mia libertà non finisce dietro le sbarre della loro prigione.
Molti sono arrivati lì per sbaglio, gli ho chiesto se volevano mangiare qualcosa. Comincia così l’avventura quotidiana in questo luogo assurdo, né italiano né francese, anzi una bolla francese in territorio italiano. Una trappola per i migranti che arrivano lì. Otto di loro sono sfamati ogni giorno, con il salario da contadino di Cédric, le quattro galline e le cento piante di ulivi. I rifugiati poi si moltiplicano, grazie all’aiuto delle associazioni (per fortuna non tutti sono indifferenti) e si fa più forte l’esposizione alle autorità. Anche la popolarità di Cédric, però, che viene accolto con una manifestazione molto partecipata al suo primo processo. Altri ce ne saranno, finché i rifugiati, stanchi, cambieranno rotta e non certo per un suo cedimento.
“I neri sono uno specchio, saranno noi tra non molto e io voglio lottare per noi”
Cédric Herrou e Michel Toesca: una scelta condivisa
Le riprese di Libero, iniziate nel 2015, sono durate tre anni, dalle prime accoglienze in val Roia. Registrando le giornate vissute insieme, i problemi con la legge, gli aiuti ai migranti che non si sono limitati a primi soccorsi, ma si sono spinti all’accompagnamento oltre confine.
Tutto in presa diretta, senza sapere cosa sarebbe accaduto in seguito. La presenza del regista si avverte molto, nel tipo di domande poste a Cédric che è sempre al centro delle scene, con il suo berretto colorato, gli occhialini rotondi, l’aria pacifica di chi ha fatto le proprie scelte serenamente.
Un’immagine di Cédric Herrou
Si sente anche una certa confidenza tra i due; se non fossero stati amici da prima lo sarebbero certo diventati sul set. Scene sobrie ed efficaci, che fanno leva sull’intesa profonda tra chi filma e chi è filmato, chi si racconta e chi lo invita a farlo.
Cédric Herrou e Michel Toesca: Una scelta politica
Facendo sempre tesoro dell’intervista di Carlo Cerofolini, leggiamo che si è trattato di un film che non voleva a tutti i costi essere di denuncia, ma politico: un atto di resistenza, dove le cose si denunciano da sole.
L’esperienza di Herrou e di Toesca mette in risalto l’inadeguatezza della Francia, e l’assurdità di una legge che, oltre a chiudere gli occhi davanti all’emergenza umanitaria, non riesce ad affrontarla politicamente, rincorrendo i voti per le elezioni e procrastinando i problemi. E, quel che è più grave, impedendo a chi vive il dramma dei sans papiers di chiedere asilo.
Il cinema sui migranti
Il 30 Giugno 2015 la Francia chiude i suoi confini a Ventimiglia, così com’era già avvenuto a Calais. Il cinema francese, o ambientato in Francia, come quello di Kaurismäki, risponde in maniera critica, drammatica o divertita, alla logica dei respingimenti.