Come è morto Pasolini? 2 novembre 1975, Idroscalo di Ostia. È una di quelle date rimaste scolpite nella memoria. Tra la notte del 1º e il 2 novembre, Pier Paolo Pasolini, nato a Bologna il 5 marzo 1922, venne ucciso.
Il corpo martoriato fu trovato casualmente da Maria Teresa Lollobrigida, una signora che, assieme alla sua famiglia, era andata a passare la domenica nella casetta (in realtà una baracca) costruita all’idroscalo. La donna, prima di avvicinarsi a quel corpo, lo aveva scambiato per un sacco dell’immondizia. Per l’identificazione fu chiamato Ninetto Davoli.
L’assassino, stando alle sue stesse ammissioni messe a verbale nei giorni a seguire, fu Giuseppe Pelosi (1958-2017). Soprannominato “Pino la rana”, era un diciassettenne borgataro che aveva accettato di fare una marchetta con Pasolini.
Pelosi era stato fermato quello stesso 2 novembre da una pattuglia di polizia, mentre sfrecciava per il litorale di Ostia con un’Alfa GT 2000, identificata poi come l’auto del regista.
I tre gradi di giudizio si sono svolti nell’arco di tre anni: sentenza del processo di Primo grado (26 aprile 1976); sentenza della Corte nel processo d’Appello (4 dicembre 1976); sentenza della Corte di Cassazione (26 aprile 1979). Gli avvocati di Pasolini erano Guido Calvi e Nino Marazzita (successivamente noto come giudice nella trasmissione televisiva Forum), mentre l’avvocato di Pelosi fu Rocco Mangia.
Essendo Pelosi all’epoca del delitto minorenne, l’avvocato Mangia lo tranquillizzò dicendogli che in caso di condanna avrebbe dovuto scontare soltanto un paio d’anni. La sentenza di Primo grado gli inflisse 9 anni, 7 mesi e 10 giorni, oltre a un’ammenda di 30.000 lire per atti osceni.
Nel 1982 gli fu concessa la semilibertà, ma la vita a seguire di Pelosi, già ampiamente segnata da questo atroce delitto, fu sempre un entrare e uscire dal carcere, per altre faccende: droga o piccoli furti.
Come è morto Pasolini? Tre ipotesi sul delitto
«Abbiamo perso prima di tutto un poeta. E poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto in un secolo. Quando sarà finito questo secolo, Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno come poeta. Il poeta dovrebbe esser sacro.»
(Alberto Moravia, orazione funebre per Pasolini, 5 novembre 1975)
Per lungo tempo Giuseppe Pelosi ha sempre dichiarato di esser stato lui a uccidere Pasolini, per difendersi dalle insistenti avances sessuali dello scrittore, che andavano oltre quello che avevano concordato inizialmente.
Le perizie sul corpo martoriato di Pasolini, le verifiche sul luogo dove si svolse il massacro, le asserzioni scricchiolanti di Pelosi, e alcune dichiarazioni di testimoni (rimasti anonimi), confermavano però fin dall’inizio che al massacro avessero partecipato più persone.
A questo bisognerebbe aggiungere anche alcuni fattori scaturiti dalla logica: Pasolini era atletico, e difficilmente poteva soccombere al mingherlino Pelosi; sui vestiti di “Pino la rana” non c’erano vistose tracce ematiche, e non presentava ferite causate dalla lotta. Il taglietto sulla fronte se l’era procurato sbattendo la testa sul volante dell’Alfa quando la pattuglia stradale gli tagliò la strada per fermarlo.
Pertanto, da un lato le investigazioni sul delitto seguivano il percorso di una marchetta omosessuale terminata in tragedia, ma dall’altro, anche per le affermazioni di quei testimoni poi rimasti anonimi, si comprese che l’assassinio di Pasolini coinvolse più persone. Questa seconda pista investigativa iniziò a livello giornalistico, soprattutto con le inchieste di Oriana Fallaci, come ben conferma l’articolo, pubblicato sull’Espresso, “Pasolini ucciso da due motociclisti?” (14 novembre 1975).
Una seconda pista
Questa seconda pista, ritenuta la più logica rispetto alla prima e alla terza (come si vedrà nel prossimo paragrafo), a tutt’oggi però è ancora nebulosa. Pasolini fu chiaramente massacrato da più persone, ma per quale motivo? Fu un semplice furto sfuggito di mano?
I magnaccia della prostituzione omosessuale volevano dargli una lezione perché faceva troppe domande? Una spedizione punitiva partita dalle sfere alte per eliminare definitivamente Pasolini che voleva processare la DC e stava investigando troppo sull’Eni?
L’Alfa GT 2000 di Pasolini come reperto d’indagine
Oltre a ciò, bisogna mettere agli atti come l’agguato nello sperduto Idroscalo di Ostia possa essere stato architettato dicendo a Pasolini che gli sarebbero state restituite le pizze di Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975), che qualche tempo prima erano state rubate negli studi della Technicolor. Pelosi, in questo caso, sarebbe stata l’esca.
La tesi di Giuseppe Zigaina
La tesi più “stravagante”, ma che ha comunque avuto un peso e finanche molte critiche, è quella fornita da Giuseppe Zigaina (1924-2015). Pittore friulano, molto amico di Pasolini, collaborò anche al suo cinema: in Teorema (1968) fu consulente per le pitture, e ne Il Decameron (1971) interpretò il frate che confessa Ser Ciappelletto.
Zigaina, tra il 1987 e il 1993 pubblicò tre libri: Pasolini e la morte. Mito, alchimia e semantica del “nulla lucente” (1987); Pasolini tra enigma e profezia (1989); Pasolini e l’abiura. Il segno vivente e il poeta morto (1993). Nel 1995 li unì in unico saggio: Hostia. Trilogia della morte di Pier Paolo Pasolini.
Secondo Zigaina, il suo amico e collega si era fatto uccidere volutamente, costruendo, anno dopo anno, tutti quegli eventi che poi accadranno quella notte tra il 1º e il 2 novembre 1975.
Per corroborare questa sua tesi, il pittore friulano ha setacciato l’opera pasoliniana (soprattutto a partire dal 1961) e ha rinvenuto tracce di questo percorso autodistruttivo di Pasolini:
“Per esprimermi compiutamente io devo morire. La mia morte dunque, come segno linguistico, come montaggio del film della mia vita”.
(Pier Paolo Pasolini)
Tra i tanti elementi forniti da Zigaina, c’è anche il fatto che Pasolini è morto all’alba della domenica mattina nel giorno della commemorazione dei morti.
Sergio Citti (1933-2005), amico fraterno e stretto collaboratore di Pasolini, spazzò questa ipotesi sagacemente, ponendo l’accento sul fatto che Pasolini si tingeva i capelli e si era rifatto completamente i denti, quindi aveva ancora voglia di vivere.
E a ciò bisogna aggiungere che Pasolini faceva attività fisica e, qualche anno prima, aveva fatto (assieme ad Alberto Moravia) la cura del Gerovital in Romania.
Giuseppe Zigaina (frate santo)
Il vangelo secondo Matteo
Prendendo spunto dalla tesi di Zigaina, ovvero il desiderato martirio da parte di Pasolini, torna alla mente la scena della crocefissione di Gesù ne Il vangelo secondo Matteo (1964). Nel film Cristo è interpretato da Enrique Irazoqui, giovane studente spagnolo, mentre Maria è interpretata da due donne: da giovane è Margherita Caruso, mentre da anziana è Susanna Colussi (1891-1981), la madre dello scrittore. Nella succitata scena della crocefissione, la senile Maria corre disperata verso la croce, sorretta da Graziella Chiarcossi (nipote di Pasolini) per poi gettarsi affranta ai suoi piedi, piangendo a dirotto la morte del giovane figlio.
Benché il film non abbia – particolari – spunti autobiografici, come invece avrà successivamente Edipo Re (1967), la figura rivoluzionaria di Cristo collima con le azioni “ribelli” di Pasolini, che si scagliava contro la borghesia e i falsi intellettuali italiani.
Quell’ultima scena, in cui una madre rotta dal dolore è in ginocchio davanti al corpo flagellato del figlio, sembra presagire proprio quanto accadrà quel fatidico 2 novembre 1975: Susanna Colussi piangerà il corpo martoriato del suo Pier Paolo.
Susanna Pasolini (Maria)
La Trilogia della vita, gli Scritti corsari, Petrolio e Salò o le 120 giornate di Sodoma
Non solo come è morto Pasolini ma…Perché è stato ucciso? È una domanda ancora senza risposta. Era un intellettuale scomodo, e un omosessuale che non nascondeva la propria vita sessuale (senza dimenticare che flirtava con i minorenni).
Per la società italiana di quel tempo era un enorme scandalo, e la morte per mano di un ragazzo di vita, che si era ribellato alla fregola sessuale di Pasolini, sembrava perfetta per screditarlo definitivamente. Ma come si è accennato precedentemente, questa versione fu smontata rapidamente.
Pasolini picchiato e ucciso da più persone, ma perché? Tra le differenti ipotesi, quella di silenziare le sue invettive, che stavano diventando sempre più taglienti e mirate.
Provocazioni
A partire dagli anni Settanta, Pasolini cominciò a lanciare provocazioni attraverso gli scritti e le pellicole. La Trilogia della vita (Il Decameron, I racconti di Canterbury e Il fiore delle mille e una notte) fu considerata pornografia: si esibivano abbondantemente corpi nudi, copule ed erezioni. Furono i più grandi successi commerciali di Pasolini, ma al contempo le pellicole più massacrate dalla censura. Dietro la patina di pellicole commerciali (così vennero accolte da pubblico e censori), si celava una sferzante critica alla società italiana contemporanea.
I racconti di Canterbury
Sebbene contro la borghesia e i medium che la rappresentavano (determinati giornali e la televisione), Pasolini accettò di collaborare al Corriere della Sera a partire dal 1973. Il Corsera era il quotidiano italiano con la massima tiratura, ed era un medium cartaceo letto prevalentemente dalla borghesia.
Su queste pagine, Pasolini scrisse alcuni taglienti editoriali che generarono scalpore e sdegno, sia nelle file destrorse, sia in quelle della sinistra. Ad esempio, l’editoriale “Sono contro l’aborto” (19 gennaio 1975), che fece infuriare le femministe e anche la sua amica Dacia Maraini.
Di tutt’altro peso l’editoriale “Cos’è questo golpe? Io so” (14 novembre 1974). Con questo pezzo incandescente, Pasolini chiedeva il processo alla Democrazia Cristiana, rea di esser stata la mandante di quelle stragi che vanno da Piazza Fontana (12 dicembre 1969) fino a Piazza della Loggia (28 maggio 1974). Questo editoriale potrebbe essere stata la goccia che fece traboccare il vaso, e che spinse le alte sfere alla decisione di eliminare Pasolini.
Petrolio uscì postumo, nell’ottobre del 1992. Era il famoso romanzo pensato da Pasolini con più di duemila pagine, a cui stava lavorando sin dalla prima metà degli anni Settanta. L’autore lo definiva “libro testamento”, poiché sarebbe stata la sua ultima pubblicazione, per poi ritirarsi a definitivamente a vita privata nella Torre di Chia (Viterbo). Il testo che ci è pervenuto, che assembla tutti gli appunti e brogliacci di Pasolini scritti fino alla sua morte, è soltanto di 522 pagine.
Finzione e fatti reali
Questo corposo romanzo avrebbe mischiato finzione e fatti reali (celati dietro pseudonimi) sugli scandali dell’Eni. Pasolini in quel periodo stava indagando approfonditamente sulla figura di Eugenio Cefis (1921-2004), ex Presidente dell’Eni che, secondo una vulgata investigativa, si riteneva uno dei mandanti della morte di Enrico Mattei (1906-1962) e la vera eminenza grigia dietro la P2.
Nel romanzo, Cefis è rappresentato dal personaggio Troya. Dal testo finale manca Lampi sull’Eni, famoso appunto n. 21 che avrebbe svelato alcuni particolari scottanti sulla morte di Enrico Mattei. Si ritiene che questo pezzo fosse stato rubato mentre i famigliari di Pasolini portavano la sua salma a Casarsa, per la tumulazione; mentre altri ritengono che il capitolo non fu mai scritto.
Nel 2010, Marcello Dell’Utri dichiarò in pompa magna che avrebbe presentato alla Fiera del Libro di Torino suddetto capitolo, offertogli da uno sconosciuto. Presentazione che non avvenne mai, perché tempo dopo Dell’Utri disse che l’anonimo possessore si tirò indietro. Questo fatto, che generò molte attese, è stato interpretato come un messaggio mafioso da parte dell’ex senatore per avvertire che lui aveva delle notizie e poteva ricattare.
L’assassinio di Pasolini fu accostato anche a questo suo costante indagare su Cefis e alle relative informazioni che avrebbe scoperto.
I resti dell’aereo di Enrico Mattei
Salò o le 120 giornate di Sodoma fu l’ultimo lungometraggio che Pasolini riuscì a dirigere.
Benché il montaggio della pellicola fu completato secondo la visione dell’autore, ad agosto furono rubate, nei magazzini della Technicolor, alcune pizze del film, oltre a quelle de Il Casanova di Federico Fellini e di Un genio, due compari e un pollo di Damiano Damiani, tutte prodotte da Alberto Grimaldi.
Le pizze contenevano le scene che Pasolini avrebbe voluto mettere nel film. Questo “strano furto” lo costrinse a utilizzare dei doppioni o altre scene per sostituire le mancanti. In queste bobine trafugate ci sarebbe anche il finale alternativo, in cui l’intera troupe del film – incluso Pasolini – balla con gli attori. Di questa scena rimangono soltanto alcuni scatti fotografici.
Si ipotizza che l’agguato avvenuto quella notte si possa ricollegare a questo furto e al relativo riscatto richiesto. Inizialmente di 2 miliardi di lire.
Pasolini si sarebbe recato all’Idroscalo, accompagnato da Pelosi, per recuperare le pizze, sebbene il film fosse già stato completato. Sergio Citti, qualche mese prima di morire, confermò indignato a mezzo stampa, a ridosso delle ennesime ritrattazioni di Pelosi fornite alla giornalista Franca Leosini nel programma Ombre sul giallo, che l’imboscata fu proprio a causa del tentativo di Pasolini di recuperare quelle bobine.
Salò o le 120 giornate di Sodoma
Porno-Teo-Kolossal
Se da un lato per Pasolini Petrolio sarebbe stata l’ultima opera letteraria, dall’altra la realizzazione del Porno-Teo-Kolossal avrebbe messo fine alla sua carriera registica. Anche quest’opera, per l’autore, avrebbe significato la summa del suo operato cinematografico e ideologico. Ipotesi, comunque, poco probabile, poiché Pasolini aveva anche altri progetti filmici che desiderava ardentemente realizzare, tra cui il San Paolo.
Porno-Teo-Kolossal era l’ultima – mastodontica – versione di un’idea nata intorno al 1966, che si chiamava Le avventure del Re magio randagio e il suo schiavetto Schiaffo, e che avrebbe avuto come interpreti Totò e Ninetto Davoli. Dopo la morte del Principe De Curtis, Pasolini pensò di affidare il ruolo di Epifanio a Eduardo De Filippo, mantenendo Davoli come spalla.
Nell’arco di tempo trascorso tra il 1966 e il 1975, la sceneggiatura, scritta assieme a Sergio Citti, si ampliò e cambiò diverse volte i titoli: Ta kai ta (letteralmente “questo e quello”, frase citata in greco da San Paolo); Circenses; Dromenon Legomenon. Il titolo finale sintetizza bene le intenzioni di Pasolini: unire in un kolossal l’ideologia religiosa con il sesso.
Biografie filmiche su Pasolini
Nell’enorme mole di opere incentrate sulla vita e l’opera di Pasolini, ci sono alcuni biopic che meritano una particolare attenzione, anche perché sono incentrate sulla morte del poeta.
Pasolini, un delitto italiano (1995) di Marco Tullio Giordana, è il primo film che cerca di ricostruire, attraverso la fiction, quella tragica notte. Giordana aveva pubblicato l’anno prima un libro che raccoglieva le varie tappe delle indagini e le perizie mediche, e con il film, ascrivibile di diritto a quel coraggioso cinema d’impegno prodotto negli anni Settanta, cercava di realizzare un’opera meritoria che aiutasse a riaprire le indagini e far conoscere alle nuove generazioni il delitto.
Pasolini, un delitto italiano ricrea l’iter investigativo e giudiziario che vede alla fine Pelosi come unico condannato, ma allo stesso tempo palesa tutti quei dubbi sull’impossibilità che quella notte all’Idroscalo ci fosse stato un solo aggressore. Pasolini lo si vede soltanto nelle immagini d’archivio.
Carlo De Filippi (Pino Pelosi)
Pasolini, la verità nascosta (2012) di Federico Bruno ricostruisce l’ultimo anno di vita del poeta, dal gennaio 1975 a quella tragica notte tra il 1º e il 2 novembre. Film coraggioso, fasciato da un elegante bianco e nero e preciso in tutti i particolari d’epoca, mostra come il delitto fu compiuto da più persone, e conferma che Pasolini fu attirato in trappola con la scusa della restituzione delle bobine di Salò. A interpretare lo scrittore, Alberto Testone, odontotecnico del quartiere Fidene, somigliante in modo impressionate a Pasolini.
Alberto Testone (Pier Paolo Pasolini)
Pasolini (2014) di Abel Ferrara, è una ricostruzione che punta sull’omaggio all’opera del poeta, unendo la vita quotidiana di Pasolini con i suoi collaboratori, con visioni oniriche scaturite da Petrolio e dal Porno-Teo-Kolossal. Ad interpretare lo scrittore, c’è Willem Dafoe, mentre Ninetto Davoli interpreta Eduardo De Filippo. Nel film la morte di Pasolini avviene per mano del solo Pelosi.
Willem Dafoe (Pier Paolo Pasolini)
La macchinazione (2015) di David Grieco, è tratto dall’omonimo romanzo scritto dal regista. Grieco (1951) fece una comparsata in Teorema, per poi divenire giornalista e critico per L’Unità e successivamente co-sceneggiatore di alcuni film di Sergio Citti. Nel film (e nel libro) la tesi sul delitto è quella dell’agguato ordinato dall’alto, ed eseguito da bassa manovalanza criminale. A interpretare lo scrittore, Massimo Ranieri, anche lui molto somigliante a Pasolini.
Massimo Ranieri (Pier Paolo Pasolini)
Il monumento di Pasolini nel cinema
Sul luogo del delitto il comune ha fatto costruire un cenotafio, per ricordare lo scrittore e il barbaro assassinio. Scultura commemorativa che è apparsa, come omaggio e come monito, in tre pellicole.
In Amore tossico (1983) di Claudio Caligari, i due protagonisti (Michela e Cesare) si adagiano sul monumento per farsi una pera. Poco dopo, Michela muore – pasolinianamente – lì sotto.
In Caro diario (1993) di Nanni Moretti, il regista e attore nel primo episodio (In vespa) gira per la capitale svuotata dalle vacanze estive. Nel finale decide di spingersi fino a Ostia, raggiungendo il luogo dove fu assassinato Pasolini. Tutta la sequenza, girata in camera car a seguire la vespa, è commentata da un pezzo del fraseggio pianistico de The Köln Concert di Keith Jarrett.
Ne I magi randagi (1996) di Sergio Citti, rielaborazione personale del Porno-Teo-Kolossal, in una scena i tre magi giungono all’idroscalo di Ostia, dove una ragazza sta partorendo nel luogo esatto dove fu ucciso Pasolini. Dentro quel cerchio di sassi (rudimentale monumento che fu edificato da Citti medesimo qualche giorno dopo il delitto) rinasce una nuova vita.
La morte non è
nel non poter comunicare
ma nel non poter più essere compresi
(Pier Paolo Pasolini, Una disperata vitalità, Poesia in forma di rosa, 1964)
Amore tossico