Presentato alla seconda edizione del Festival del Cinema Tedesco, La ragazza con le mani d’oro segna il debutto nel lungometraggio per Katharina Marie Schubert. La cineasta, originaria di Gifhorn, classe 1977, ha accompagnato il suo lavoro nella Capitale, ricevendo il calore e l’applauso del pubblico accorso in sala.
La ragazza con le mani d’oro è un’opera prima impegnativa, dalla venatura così intima e profonda da lasciare il segno.
La ragazza con le mani d’oro | La trama
Gudrun Pfaff (Corinna Harfouch) sta allestendo la sala che ospiterà lei e i suoi invitati per festeggiare il traguardo dei 60 anni. La location prescelta è l’orfanotrofio dove la donna è cresciuta e a cui è molto affezionata. Proprio durante la serata però, giunge alle sue orecchie una notizia che la sconvolge.
Il sindaco della città (Jörg Schüttauf) ha infatti deciso di vendere il luogo della sua infanzia. Al posto dell’orfanotrofio sorgerà un hotel. Gudrun non è assolutamente disposta ad accettarlo, motivo per cui prenderà una decisione alquanto discutibile. Nel frattempo, la figlia Lara (Birte Schnöink) e il marito Werner (Peter-René Lüdicke) cercheranno di rimanere al suo fianco, nonostante la caparbietà che inevitabilmente allontanerà la donna dai suoi cari.
Ricordi e rimpianti nella perfetta cornice di Berlino
Due capitoli – “Gudrun” e “Werner” – compongono la pellicola, andando anche a rappresentare i due punti di vista attraverso cui la storia viene raccontata. Siamo di fronte a qualcosa di intimo, di personale, che necessita di uno sguardo partecipe e suscita emozioni reali. La forza di un’opera come La ragazza con le mani d’oro sta appunto nella capacità di rendere tutto ciò.
L’atmosfera è impregnata di nostalgia, di rammarico e, in più di un’occasione, di risentimento. Berlino (alla soglia degli anni Duemila) appare la cornice perfetta per accoglierli e restituirli. Ricordi e rimpianti fanno parte della vita di ogni essere umano, ed è attraverso di loro, nel film, che si arriva a conoscere i vari personaggi.
Dalla voce di chi è cresciuto insieme a lei in orfanotrofio, si capisce quanto Gudrun sia sempre stata una persona generosa, apprensiva, attenta ai bisogni degli altri. Eppure, nella vita della figlia, sembra essere mancato qualche passaggio per far sì che tra le due si instaurasse quell’affetto incondizionato e travolgente che di solito esiste tra una madre e una figlia. Non a caso Lara ha un rapporto privilegiato con il padre, e lo si nota nei piccoli dettagli che suggeriscono una dolcezza e una conoscenza profonde.
Famiglia e fuga, temi portanti de La ragazza con le mani d’oro
Le dinamiche familiari sono al centro della pellicola per buona parte della narrazione, ma a fare muovere il personaggio di Gudrun è soprattutto il suo legame col passato. L’orfanotrofio rappresenta, in un certo senso, il cuore della storia, custode dell’infanzia della protagonista e testimone della sua crescita, delle sue delusioni e della donna che è diventata.
Nel corso dell’ esistenza, Gudrun ha sperimentato cosa voglia dire soffrire per amore ed è fuggita via. Volente o nolente, anche la figlia ha attraversato una fase simile, lasciando indietro affetti e certezze, all’inseguimento di un sogno e di un futuro altrimenti irraggiungibili. Questo aspetto le legherà in maniera indissolubile, caratterizzandone al tempo stesso le personalità. Dentro di loro resterà, forse per sempre, un vuoto, una mancanza. Simbolicamente colmata dalla commovente scena finale.
Un suggerimento: per comprendere meglio il senso e l’importanza del racconto, leggete La fanciulla senza mani dei fratelli Grimm.
*Sono Sabrina, se volete leggere altri miei articoli cliccate qui.