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Les oiseaux ivres, l’opera seconda del regista, sceneggiatore e direttore della fotografia canadese
Ivan Grbovic. Les oiseaux ivres (
Drunken birds è il titolo internazionale) ha partecipato anche al
Noir in Festival – edizione 2021, aggiudicandosi il premio principale, ovvero il
Black Panther come miglior film. Candidato agli Oscar 2022 per il Canada.
Les oiseaux ivres – la trama
Willy è un bel ragazzo che lavora come trafficante di droga messicano al soldo di un potente e obeso boss.
La giovane bellissima moglie di quest’ultimo è innamorata di Willy, e pure lui risulta perdutamente infatuato della donna.
Scoperti, decidono di sfuggire all’ira del capo, e, per non farsi prendere, di separarsi senza comunicarsi dove si sarebbero rifugiati.
Quando il ragazzo, ritenutosi finalmente al sicuro, intuisce che la sua amata possa essersi trasferita in Canada, accetta di entrare in una squadra di raccoglitori di frutta e verdura presso una grande azienda familiare in Québec.
“È molto più buio quando una luce si spegne, di quanto non sarebbe stato se non avesse mai brillato.”
Lì il giovane, fisicamente di bell’aspetto, attira l’attenzione della moglie del padrone. Ma i problemi seri arriveranno a causa della figlia ribelle di costei che, accortasi dell’attrazione che il ragazzo esercita nei confronti della madre, troverà il modo di vendicarsi, approfittando dei guai personali in cui la ragazza si è andata a cacciare.
Nella fuga disperata Willy, impossibilitato dalle circostanze a scagionarsi, o semplicemente a spiegare la propria posizione, riuscirà tuttavia a trovare la soluzione al suo problema principale, che è sempre stato quello di ritrovare la sua amata in fuga.
Almeno così sembra di intuire dalla svolta finale del racconto.
Les oiseaux ivres – la recensione
Alla sua opera seconda, dopo il premiato Romeo Eleven del 2011, il regista canadese Ivan Grbovic ci intrattiene con un melodramma che scandisce i momenti della fuga di un uomo troppo conteso e desiderato per non finire a ritrovarsi in guai più grossi di lui.
La storia, un po’ lambiccata e dai toni sin troppo melodrammatici, è tuttavia tecnicamente realizzata piuttosto bene, e spazia con grande effetto scenico tra i desolati, ma non meno affascinanti deserti messicani, alle amene vallate agricole canadesi, fino a spingersi alla ordinata cementificazione metropolitana québécoise.
Fino a condurre lo spettatore verso un finale che si ricollega all’incipit in modo sin troppo impeccabile.
Convincente la prestazione molto partecipata del protagonista, Jorge Antonio Guerriero, già visto recitare in Roma di Alfonso Cuaron: una interpretazione pacata, ma sofferta, quella del giovane attore, che surclassa tutti gli altri suoi colleghi coinvolti, un po’ legati all’improbabilità del modo di agire dei rispettivi personaggi, descritta in sede di sceneggiatura. 6/10