Philip (Roth) si crogiola del successo dei suoi romanzi con al centro il suo secondo ego chiamato Nathan Zuckerman, quasi trovando una giustificazione, oltre che l’origine di un profondo piacere, ai sensi di colpa che in tal modo, da uomo e scrittore sensibile ma cinico, riesce a scaricare sul famoso e non meno scaltro e astuto protagonista dei suoi romanzi.
Quando lo scrittore conosce una splendida donna sposata, ma serenamente emancipata al punto da non rinunciare a concedersi un’avventura sentimentale, finisce per condividere con lei una intensa storia d’amore, in cui sesso e parole si fondono in un unico atto.
E da esemplare doppiogiochista, l’uomo utilizza la sua esperienza da incantatore per animare ancora una volta il suo personaggio letterario, in un gioco di scambi, attraverso il quale vita vera e storia inventata si alternano per fare la fortuna e il comodo di entrambi.
Salvo poi essere ingenuamente e clamorosamente scoperto dalla sua stessa consorte, che per caso viene in possesso del suo diario, e a seguito di ciò costretto, con naturalissima codardia, a giustificarsi, adducendo la scusa che si tratti di una sintesi di semplici appunti di fantasia composti e raccolti insieme al fine di portare avanti il suo nuovo lavoro letterario in corso di elaborazione.
Tromperie – Inganno: la recensione
Trasporre Roth al cinema, per quanto questo straordinario autore abbia lavorato molto e con grandi risultati nel cinema e la sua narrazione possa sembrare accondiscenderne le regole, è sempre stato per i registi che si sono avventurati nella stesura cinematografica dei suoi scritti, un passo nel vuoto o qualcosa che ha prodotto risultati quasi sempre assai poco convincenti.
Arnaud Desplechin, nell’affrontare Tromperie – Inganno, pareva già sulla carta ben più di altri il cineasta perfetto per uscire indenne dai labirinti insidiosi che si celano nei dialoghi del protagonista con la sua amante e il mondo che lo circonda, e ostacola.
Desplechin è un maestro nel tenere testa all’arguzia del protagonista cinico, misogino e sessista che domina incontrastato e disfattista i romanzi di Philip Roth, e Denis Podalydès ne rappresenta una perfetta incarnazione fisica e mentale, in grado di sviscerarne al meglio le gesta sullo schermo.
Ecco allora rivivere sul palcoscenico filmato gli assilli sulla morte, le ossessioni sul cancro che uccide lentamente, crudelmente e inesorabilmente la persona che con pazienza sta consumando, anzi divorando, lasciando cosciente il malato della ineluttabilità della propria fine.
Con la profana trinità rappresentata da Roth/Zuckerman/Podalydès, si assiste alla rivincita dell’uomo oggettivamente brutto e consapevole di esserlo; ma, buon per lui, cinico e ossessionato dalle proprie paure, nonché padrone dell’arte di sedurre con la raffinata forza della retorica.
Ecco la quintessenza dell’approfittatore. Di colui che si aggrappa alla vita in un ruolo da incantatore, avendo tuttavia da affrontare una donna che, oltre che bella (come bella e intelligente è senza dubbio Léa Seydoux), si rivela astuta e intelligente, razionale. E forse in grado di sfruttare più del suo partner quella storia d’amore, d’attrazione e analisi interiore che ella ottiene in fondo gratuitamente, con un piacere estatico che porta a raggiungere la completezza.
Uno stato psicologico e non meno fisico di armonia che, al contrario, il suo partner complottista non riesce a raggiungere veramente mai.
Tromperie – Inganno è un film claustrofobico che gioca con la vita, irride l’amore utilizzandolo come appiglio per far credere al suo protagonista di riuscire a dominarlo, per poi sfruttarlo sordidamente allo scopo di togliersi dalla testa quel sentore di morte che aleggia continuamente attorno al protagonista. Come un elemento che accerchia l’individuo, ed erode inesorabilmente ogni granello di sabbia rappresentativo di un’esistenza che scivola via e si consuma inesorabilmente, tra una vecchiaia ormai imminente e una malattia compromettente e non meno traditrice. 7/10