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Giovanni Troilo racconta il suo “documentario” ‘Vesuvio’

In uscita evento 'Vesuvio: ovvero come hanno imparato a vivere in mezzo ai vulcani'

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In uscita al cinema, come evento speciale il 14-15 16 marzo 2022,arriva Vesuvio – Ovvero: come hanno imparato a vivere in mezzo ai vulcani di Giovanni Troilo.

Dopo essere stato presentato in anteprima alla 31° edizione del Noir in Festival a Milano lo scorso dicembre, il documentario Vesuvio – Ovvero: come hanno imparato a vivere in mezzo ai vulcani, diretto da Giovanni Troilo, prodotto da Dazzle Communication, arriverà al cinema distribuito da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection.

Ce ne parla lo stesso regista.

giovanni troilo vesuvio

Vesuvio di Giovanni Troilo: la genesi

Com’è nata l’idea di realizzare questo film?

L’idea è partita da un semplice articolo di un vulcanologo americano, Flavio Dobran, che annunciava una catastrofe e uno scenario apocalittico e diceva che, in caso di eruzione, nell’arco dei primi quindici minuti ci sarebbe stato fino a un milione di morti. Questo ha attirato l’attenzione del pubblico e la mia e, insieme a tutti coloro che ho lavorato con me, abbiamo deciso di approfondire. Poi abbiamo capito che ovviamente la situazione è molto più complessa e articolata e, in questo senso, ci siamo avvalsi del vulcanologo Giuseppe Mastrolorenzo, da anni impegnato per tentare di sensibilizzare tutti sulla reale situazione. Questo è stato il pretesto per iniziare a immergerci nell’umanità. Inizialmente pensavo di fare un mokumentary, un finto documentario sul piano di evacuazione. Anche perché immaginavo l’effetto tragicomico e volevo provare a lavorare su questo registro. Poi, una volta lì, la prova di evacuazione è stata davvero organizzata e siamo andati a filmarla. E mi sono reso conto che aveva già dentro tutti quegli elementi del mokumentary, come comparse truccate o situazioni surreali che mostravano quanto complessa potesse essere l’evacuazione. Da lì abbiamo scoperto decine di storie incredibili.

E, infatti, la domanda che avrei voluto farti era proprio perché hai scelto il documentario? Alla fine, per descrivere questo film, si potrebbe usare l’espressione quando la realtà supera la fantasia, perché c’è tutta una serie di personaggi e dinamiche fin troppo particolari, quasi ai limiti del reale. Forse, quindi, la tua scelta è anche più particolare perché sarebbe stato troppo scontato non farne un documentario.

In realtà ho trovato il senso del film nel titolo del saggio di un filosofo francese. Questi scrive “alla conquista del reale perduto” ed è proprio questo. Ormai siamo abituati a un reale quasi come atto intimidatorio. I media ne parlano quando si parla di catastrofi, di problemi che vengono posti come difficilmente risolvibili. Si crea una bolla di non racconto che è quella che ci interessa di più come documentaristi. Quello che occorre fare, a quel punto, è prendere la macchina da presa e mettersi a fare un cinema di pedinamento come direbbe Zavattini. Mettersi lì, consumare le suole delle scarpe e andare a curiosare. Molte storie sono capitate curiosando, perdendosi. In questa società non si mette mai in conto il fallimento e il perdersi, perché bisogna essere sempre efficienti. Io sono un sostenitore, invece, del perdersi. Infatti, per uno sforzo e un esercizio, noi, prima di girare il documentario, ci siamo esercitati a immaginare alcune scene che ci sarebbero potute capitare, ma le abbiamo cestinate tutte poi.

Il rapporto con i protagonisti e l’approccio al lavoro

Come ti sei comportato con le persone del posto? Hai chiesto loro qualcosa riguardo il loro rapporto con il territorio circostante o ti sei limitato a documentare momenti di vita quotidiana a prescindere da tutto?

Non ho fatto in modo di alterare niente. E poi non credo al documentarista invisibile. Io credo che si debba parlare di un cinema o di un documentario di relazione. Quello ciò che entra in contatto con dei luoghi, delle persone. Si spiega loro cosa si sta facendo e si chiede di avere accesso al loro quotidiano. In questo senso ci ha premiato molto il fatto di essere in una troupe ridottissima. Nella massima configurazione eravamo in tre, ma spesso addirittura in due: eravamo io e Allegra Nelli, un’organizzatrice di produzione, milanese che sta a Napoli da una vita. Con lei andavamo a caccia delle storie. Così da non impattare nella vita di una persona perché se la stessa cosa la si fa con una troupe di dieci persone si è praticamente disintegrata la realtà e poi tocca ricucirla.

giovanni troilo vesuvio

E quando parlo di cinema di relazione lo dico proprio perché poi sono nate delle amicizie con le persone protagoniste di queste storie. La maga, per esempio, ci ha invitati alla festa dei suoi 90 anni; Ciro ci ha cucinato i friarielli. Credo molto ci si debba muovere su questa modalità, sempre più ecologica. L’atto del filmare non deve prevaricare, ma porsi sullo stesso piano di quello reale.

La tecnica di Vesuvio di Giovanni Troilo

Spostandoci un attimo sulla tecnica, volevo chiederti qualcosa sulla prima inquadratura, quella immediatamente successiva alla didascalia iniziale. Si tratta di una ripresa lenta e rumorosa che poi ritorna più volte durante il film. Una panoramica sul Vesuvio, sui Campi Flegrei e sulla città come ad andare a scardinare tutto quello che verrà mostrato successivamente. Un lento zoom che si può considerare, in qualche modo, il vero protagonista della vicenda?

Sì, direi di sì. Io, dovendo cercare una definizione, definirei questo documentario come una macrosoggettiva con due osservatori principali: il Vesuvio e i Campi Flegrei che guardano l’umanità e il resto del mondo. Ci sono città intere anche dentro il cratere (Pozzuoli è dentro la caldera). Quindi c’è questo sguardo imperturbabile e sornione dei due vulcani che si trovano per lunghi periodi della storia ad accogliere popolazioni.

Poi c’è da dire che, avendo una storia con tanti personaggi, avevamo bisogno di centri di unità e ci è sembrato di dover ricondurre tutto sempre ai vulcani. E questo lo abbiamo fatto anche ricordando con le grafiche come ciascuna di questa storia si relazionasse in termini di distanze rispetto ai vulcani.

Infatti la grafica mi è piaciuta molto. L’ho vista quasi al pari di un gioco, come arrivare un po’ a un obiettivo. Perché ogni personaggio è descritto in base alla distanza che lo separa dal vulcano. Quasi come, appunto, dentro un gioco.

Sì, assolutamente. Come dicevi, infatti, ci sono molti linguaggi all’interno del film. C’è il linguaggio simile al videogame o alla pubblicità, poi c’è il linguaggio del documentario scientifico (con le parentesi col vulcanologo), e poi un registro a metà tra la fiction e il documentario di osservazione che riguarda i personaggi. Per me è stata centrale l’idea di andare a scoperchiare queste realtà che, per qualche ragione, non sono state raccontate. Mi sono rifatto a grandi autori.

Una cosa in cui credo molto è che i cliché hanno un potere devastante e, in genere, sono un problema. Ma, per quanto mi riguarda, sono una grande opportunità. Quando quell’immagine si è solidificata e sembra immutevole, là dietro si nasconde tantissimo e diventa più facile sorprendere perché uno si aspetta altro.

La musica

Volevo chiederti qualcosa sulla scelta delle musiche o meglio dei rumori. Sembrano quasi richiamare l’idea del vulcano stesso: era questo l’intento?

C’è un racconto parallelo in merito alla scelta delle musiche. In maniera attenta abbiamo cercato di costruire il mondo delle immagini e quello del suono. Da un lato abbiamo queste vedute panoramiche e questi droni, dall’altro (e questo lo si apprezza molto al cinema) c’è una ricerca particolare dal punto di vista dei suoni perché c’è un lavoro molto grande fatto con i bassi profondissimi che sono i suoni più ancestrali che ci riportano al sottosuolo. In questo senso anche se di fatto non eruttano, secondo me, nel film il vulcano erutta molte volte: lascio avvertire allo spettatore la possibilità come qualcosa di qualsiasi istante.

Ci sono musiche evocative e profonde, realizzate da un musicista napoletano, Pietro Santangelo, e che, almeno nelle intenzioni, portano costantemente in quella direzione. Lui usa questo sax molto profondo che ricorda quello di John Surman che spalanca dei mondi del subconscio.

I personaggi e la morale di Vulcano di Giovanni Troilo

Una cosa che mi ha colpito e che accomuna un po’ tutti i personaggi è lo spirito con il quale vivono il rapporto con il territorio nel quale si trovano. E secondo me sei stato bravo a renderlo con questo film, senza cadere in pietismi o retoriche. Alla luce di questo, c’è una sorta di morale in questo film?

Più che una morale o delle conclusioni, io voglio porre la questione. La morale è: tutto quello che può sembrarci paradossale, se visto dal di fuori di quel contesto, e con le necessità di vivere con delle catastrofi annunciate, in realtà riguarda tutti quanti. E, dopo due anni di pandemia, questa cosa è più facilmente comprensibile dal pubblico. Il fatto incredibile è che ci si è abituati a convivere con un pericolo presente e questo accade da sempre nella storia.

Poi ci sono i personaggi che un po’ si raccontano. C’è chi dice che le persone hanno rimosso la paura di morire e quindi sono già morte per questo. Il Vesuvio, quindi, è l’esplosione e l’eruzione dentro le persone. Cioè questo vulcano esplode ogni giorno dentro le persone e dà questa energia cercando di vivere alla giornata e spremere il presente.

Perché il futuro non si può prevedere.

Lo strano sottotitolo di Vesuvio di Giovanni Troilo

E invece volevo chiederti qualcosa sul sottotitolo, un po’ anomalo, specie in un documentario.

Su questo c’è una duplice necessità. Vesuvio e basta avrebbe potuto trarre in inganno il pubblico facendogli credere che si trattasse di un film scientifico, di divulgazione scientifica. Però, poi, c’è anche la questione citazionistica. È, infatti, una citazione del Dottor Stranamore di Kubrick. Questo per lasciare intendere agli amanti del cinema che ci avrebbero trovato un approccio più cinematografico e anche ironico.

E, secondo te, si può considerare anche come un invito per affrontare determinati momenti e situazioni. Il sottotitolo recita come hanno imparato a vivere in mezzo ai vulcani, ma potrebbe anche essere come si impara a vivere in mezzo a qualsiasi altra cosa?

Certo! Anche spronare a superare stereotipi e cose che diamo per scontate. Io, per esempio, trovo nel popolo napoletano una capacità straordinaria di convivere con questo pericolo, e di tirarne fuori una vitalità meravigliosa. Poi c’è l’invito a mutuare questa esperienza e riproporla nel quotidiano e avere un approccio al futuro più agnostico perché alla fine, per quanto si cerca di prevedere, il futuro fa quello che vuole. Bisogna essere consapevoli, ma rimuovere quel pericolo dell’imprevedibile della quotidianità.

giovanni troilo vesuvio

Giovanni Troilo oltre Vesuvio

C’è qualche autore a cui ti ispiri o ti sei ispirato?

Sicuramente potrei citare Herzog, ma anche Kaurismäki con quella sua profondità estrema, ma anche inimitabile ironia. Un altro grandissimo maestro che fa una sorta di cinema del reale, diverso, è Carlos Reygadas con i suoi Japón, Post Tenebras Lux. Un altro punto di riferimento, europeo, è Bruno Dumont per il quale potrei citare il suo L’umanità, capace di sorprendere. Poi c’è il mondo dell’immaginario: Roy Anderson con quadri e personaggi che lui prende ispirandosi al quotidiano, ma che riesce a trasformare. E anche Carax che mi sembra fondamentale come abile e grandissimo esploratore dell’immaginario. Sul trono resta, però, Michael Haneke, più distante come riferimento diretto e ispirazione a cose concrete che mi trovo a fare; però è la luna a cui tendere.

Progetti futuri?

Dopo questi due anni di pandemia ci sono dei progetti già chiusi che stanno per uscire. Per esempio, distribuito da Vision Distribution e co prodotto sempre da Vision Distribution e da Sky Power of Rome, che uscirà ad aprile con Edoardo Leo. Si tratta di un altro oggetto molto interessante dal punto di vista dei linguaggi perché sperimentiamo un altro ibrido, costruito come se fosse un racconto di fiction che, però, ha la matrice contenutistica del documentario. Proviamo, attraverso un impianto filmico, a raccontare la Roma antica immergendoci nella città con Edoardo Leo.

Più recente c’è anche Borromini, un progetto con Lab di Sky, che uscirà in Italia al cinema e poi in Inghilterra e Germania sulla vita di Francesco Borromini. Uno dei più grandi artisti del Seicento.

Poi ci sono anche altri titoli in cantiere, ma è ancora troppo presto per parlarne.

Il trailer del film

Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli

Vesuvio

  • Distribuzione: I wonder Pictures
  • Genere: Documentario
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Giovanni Troilo
  • Data di uscita: 14-March-2022

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