9. Ravenna Film Fest Nightmare: “LITTLE DEATHS” di Sean Hogan, Andrew Parkinson e Simon Rumley
Little deaths è un’antologia composta da tre episodi narrativamente non correlati, in cui l’elemento soprannaturale, la fantamedicina e il sadomasochismo si innestano con feroce disinvoltura nella relazione complicata di alcune coppie
Anche gli incubi finiscono e, incredibile a dirsi, qui al Ravenna Nightmare, si avrebbe invece voglia di rimandare il risveglio! La visione dell’ottima selezione internazionale di lungometraggi horror si è conclusa con la vittoria dello spagnolo Secuestrados (2010) di Miguel Angel Vivas, che è riuscito a catturare, oltre a tre sventurati cui sullo schermo succede di tutto, pure la giuria composta da Stefano Coccia, Miguel Parra ed Edo Tagliavini, per aver messo “in gioco le paure recondite della famiglia borghese”. Anello d’oro iberico a parte, alcune delle emozioni più forti del festival sono arrivate dall’Inghilterra, con il regista Sean Hogan e la biondissima produttrice Samantha Wright, di cui sono stati proiettati The devil’s business (2011) e l’ottimo Littledeaths (2011), realizzato da Hogan insieme ai colleghi Andrew Parkinson e Simon Rumley.
Little deaths è un’antologia composta da tre episodi narrativamente non correlati ma tematicamente e stilisticamente affini, in cui l’elemento soprannaturale, la fantamedicina e il sadomasochismo si innestano con feroce disinvoltura nella relazione complicata di alcune coppie: “tre storie d’amore” le ha provocatoriamente definite il direttore organizzativo del Nightmare Alberto Bucci.
House and home (Casa dolce casa) è il titolo ironico del primo episodio, che gioca con brio e sarcasmo sulla contrapposizione essere/apparire e prende le mosse dall’ipocrisia di un marito e una moglie maniaci, dediti ad attirare giovani senzatetto con la promessa di un pasto caldo, al quale puntualmente fa seguito il sequestro e la violenza sessuale. La cura nei dettagli, i dialoghi e gli sguardi studiati alla perfezione ne fanno un raffinato rape and revenge, che si distingue per l’originale introduzione dell’elemento fantastico, a sorpresa, nella trama.
Il secondo episodio, Mutant tool, è un angosciante quanto efficace viaggio metaforico nella dipendenza. Precipitando nelle spire di una droga creata in laboratorio con esperimenti e sacrifici umani, la protagonista pronuncia parole penetranti e indimenticabili: “Talvolta mi sento come se fossi in gabbia, una gabbia che mi sono costruita da sola. Devo trovare una via d’uscita, avrei bisogno di un nuovo inizio, di una svolta”. Purtroppo, non sa che sta parlando proprio con il suo carnefice.
Nell’ultimo episodio, intitolato Bitch, una giovane impiegata esorcizza la sua fobia per i cani, mettendo il guinzaglio al proprio partner in un rapporto sadomaso che trascende la sfera prettamente sessuale e si estende alla violenza psicologica. In nome dell’amore, l’uomo non si ribella e cerca di compiacerla, finchè lei valica egoisticamente il punto di non ritorno. La sofferenza di una persona costretta a nutrire alternativamente forti sentimenti di amore-odio-paura è visualmente resa da una sequenza in contrasto di primi piani virati al rosso e soggettive virate al blu.
Sebbene il distributore abbia censurato e tagliato alcuni fotogrammi della pellicola, il lavoro dei tre registi britannici con l’unico direttore della fotografia Milton Kam risulta interessante e ben coordinato. Finalmente, tra i tanti lungometraggi del Nightmare che hanno mostrato uomini misogini e seviziatori, Little deaths ristabilisce una sorta di parità sessuale fra orchi e vittime, con personaggi femminili e maschili da entrambe le parti. Azzeccati e bravi gli interpreti, in particolar modo Holly Lucas e Tom Sawyer.