La miccia che gli stati indipendentisti del Doneck e di Lugansk – in un luogo tristemente conosciuto come Donbass – hanno acceso nel corso degli anni avanzando sempre più determinate e violente richieste di indipendenza allo stato ucraino, a cui appartengono sia politicamente che geograficamente, ha permesso allo scaltro presidente russo Putin di appoggiare la causa di indipendenza di costoro, come presupposto per separare sempre di più uno stato confinante e scomodamente amico dell’Occidente come appare l’Ucraina, al punto da richiedere a costui di poter entrare a far parte della NATO.
Circostanza, quest’ultima, che porterebbe il tanto temuto ed inviso Occidente, alle porte dei confini di un “impero” russo da sempre storicamente avverso a questo tipo di ideologie.
“L’Ucraina è nostra… l’ha inventata Lenin”
afferma sprezzante il premier Putin, che nel suo discorso mette di mezzo pure i bolscevichi.
In un periodo caldo e drammatico come quello che stiamo attraversando, ove le intese diplomatiche fallite o rese vane dai fatti avversi preannunciano, ora più che mai, spiragli da Terzo conflitto mondiale, non può non tornarci alla mente e rendersi più attuale che mai, un gran bel film come Donbass, diretto dal valido regista bielorusso Sergei Loznitsa. L’opera fu presentata al Festival di Cannes nel 2018 nella sezione Un Certain Regard, ma fu opinione di molti che, per qualità e tematiche trattate, meritasse senz’altro l’ammissione nella sezione principale del Concorso.
Lo sfondo devastante e devastato risale alla rivolta di Donbass del 2014, ovvero la guerra separatista civile ora più che mai in corso e solo fino a pochi mesi orsono spesso trascurata dalle cronache di stampa, da anni appoggiata nemmeno molto segretamente dalla Russia di Putin. Lo scontro venne a crearsi nel momento in cui alcuni dissidenti armati si imposero occupando i palazzi governativi dell’Ucraina, e richiedendo l’indipendenza,
Sergei Loznitsa – grandissimo cineasta conteso dai più prestigiosi festival mondiali – ci catapulta, col suo Donbass dalla narrazione mista a documento, nel bel mezzo di una fauna umana tutta protesa a sopravvivere a qualsiasi prezzo e circostanza al malcostume dilagante, diventato un costume di vita utile a sopravvivere entro un panorama devastato da attentati e un controllo pressante degno di uno stato di polizia.
Corruzione, degrado, ruberie e violenza ci circondano e ci immergono entro una rutilante giostra umana, bestiario sin grottesco e solo semiserio che racchiude una umanità rassegnata alla sopraffazione e sottomessa ad una situazione perennemente in bilico, che relega un intero popolo nelle mani di un manipolo di rivoluzionari senza scrupoli, nonché di approfittatori corrotti e vili, oltre che scaltri.
Impossibile o difficile riassumere, in Donbass, un tessuto narrativo ad incastro, sovraffollato di personaggi kitsch e grevi, entro cui tuttavia appare chiaro e lucido il messaggio costellato di potente sarcasmo e una costruzione anche macchiettistica di certi vertici corrotti, mostri tassello assemblati per dar vita ad una rivolta che serve solo a danneggiare e insanguinate lo strato sociale più povero ed indifeso: il popolo. Loznitsa insiste sui volti e gli atteggiamenti dei personaggi, creandosi un senso di nausea profonda ed indistinta nel seguire all’infinito ognuno dei loschi elementi che popolano il suo film.
Una magnifica sequenza fissa di oltre quindici minuti regala una drammatica, ma straordinaria lezione di cinema, documentando da una visuale preferenziale gli attimi immediatamente successivi ad un attentato ai danni di una troupe cinematografica: uno dei momenti più alti di cinema in quel festival di Cannes edizione 71, per una delle migliori e più preziose pellicole viste in quella prestigiosa occasione.
Nel film di Loznitsa la guerra si consuma non tanto tra comunicati ufficiali ai vertici e summit internazionali di fatto inconcludenti, ma tra il popolo, tra la gente comune, che si arrangia e tenta la resistenza quotidiana, finendo poi quasi sempre per pagare il prezzo più alto da un conflitto che la vede come unica vera vittima designata e senza responsabilità né colpa.
Come accennavamo sopra, Donbass è stata un’opera degna da Concorso, ma inspiegabilmente “parcheggiata” nella sezione del Certain Regard.