Non Aprite Quella Porta (in originale The Texas Chainsaw Massacre) è il nuovo remake-reboot dell’originale capolavoro di Tobe Hooper; ed è disponibile dal 19 febbraio su Netflix.
La trama
Quasi 50 anni dopo la follia omicida di Faccia di Cuoio nel 1973, gli imprenditori Melody e Dante, la sorella di Melody, Lila e la fidanzata di Dante, Ruth, si recano nella remota città texana di Harlow. La città è stata abbandonata da tempo e il gruppo intende mettere all’asta le proprietà per creare un’area alla moda e fortemente gentrificata.
Il meccanico locale Richter lavora con riluttanza con il gruppo come appaltatore e si scontra spesso con Dante sui suoi piani per la città. Durante l’ispezione di un vecchio orfanotrofio, Melody e Dante scoprono con sorpresa che è ancora occupato da un’anziana signora di nome Virginia Mc.
Invitando la coppia a prendere il tè, la signora Mc afferma di avere i documenti che dimostrano che possiede ancora la proprietà, nonostante Melody e Dante affermino che la banca l’ha sfrattata. Scoppia una discussione, brevemente interrotta dall’altro occupante dell’orfanotrofio; un uomo più anziano silenzioso e imponente, prima che la signora Mc collassi improvvisamente per un infarto.
La recensione
Oggi più che mai, tra Spencer di Pablo Larrain e Una Femmina di Francesco Costabile, è ancora più evidente che l’horror dà i suoi migliori frutti quando viene usato come mood per raccontare il nostro presente. D’altronde, anche Texas Chainsaw Massacre di Tobe Hooper nel 1974 era sì un film dell’orrore, anzi splatter, che preconizzava un genere, l’horror rurale, e che metteva al centro la vicenda di un gruppo di ragazzi il cui viaggio viene interrotto quando incontrano il Male.
Dopo quest’incontro, i giovani non potranno mai più riprendere le loro vite di prima, verranno mondati dai loro peccati e giudicati dall’Entità Superiore, scopriranno qualcosa che non dovrebbero sulla natura umana e pagheranno con la vita la loro eventuale impurità.
Con il suo Non Aprite Quella Porta, vero e proprio spartiacque, Hooper teorizzava lo scontro tipico dei meat movie, quello tra i nuovi valori che tenta(va)no di avanzare e gli antichi valori tradizionali su cui si è fondata l’America, oramai stantii e inutili.
Era (e forse lo è ancora) una vera e propria Guerra Civile in cui purtroppo a soccombere sono prima di tutto gli hippies, metafora chiara di quello che sarebbe avvenuto nella realtà con la crisi del movimento hippy e il riflusso successivo che porterà allo yuppismo degli anni ’80 (e all’edonismo reaganiano); ma anche i redneck, costretti a sparire a causa dell’urbanizzazione serrata e della incessante colonizzazione tecnologica.
Conseguentemente, riprendere il film è ancora oggi impresa impossibile, proprio perché l’originale Texas Chainsaw aveva ed ha una valenza e una portata teoretica così massiva e stratificata da risultare di difficile ripetizione: i sette seguiti (i primi tre ad opera dello stesso Hooper, di Jeff Burr e di Kim Henkel; il remake di Marcus Nispel del 2003; L’Inizio del 2006 di Liebesman; il 3D di Luessenhop del 2013, e il bel Leatherfacedei bravissimi Baustillo e Maury del 2017) non potevano fare altro che tentare di ricatturare lo shock gore -anche questo difficile, in tempi in cui la macelleria è di casa in ogni tv- o tuttalpiù giocare con le origini dell’iconico protagonista.
Fede Alvarez e Rodo Sayagues si erano fatti notare nel 2013 con quel gioiellino misconosciuto e ingiustamente sbertucciato che era l’Evil Dead rifatto da Raimi, un horror che non lasciava scampo claustrofobico e terrorizzante: oggi ci riprovano ma solo in fase di scrittura, perché il fiasco del nuovo Non Aprite Quella Porta va attribuito in tutto e per tutto al regista David Blue Garcia, giovanotto di belle speranze ma con poche idee. Quelle buone, presenti nella pellicola distribuita da Netflix, partono tutte da uno script con tanti guizzi e che rende finalmente onore al concetto di massacro insito nel titolo del film.
Dovrebbe far riflettere già quel suo porsi con sicumera come sequel diretto del capostipite degli anni ’70, riprendendo l’unico personaggio superstite (Sally Hardest interpretata da Olwen Fourere in sostituzione della scomparsa Marilyn Burns): perché questo Chainsaw Massacre è alla fine solo un seguito furbetto che si appropria indebitamente del ricordo ancora vivo di un incredibile cult assoluto, ma che purtroppo annacqua con una regia senza nerbo alcuni spunti interessantissimi -i soliti e onnipresenti social, la carneficina sul pullman- e che oltretutto mette in scena protagonisti antipatici senza riuscire alla fine a caratterizzarli degnamente, sbagliando colpo senza poter aggiungere il giusto strato di sgradevolezza probabilmente ricercato.
Certo, di buono c’è che gli effetti speciali sono molto vintage, che il sangue e le frattaglie sgorgano in abbondanza e che il retrogusto è analogico: ma non basta, e si spegne la tv avendo già dimenticato tutto.