Trieste Film Festival

‘Crane lantern’ le lanterne della salvezza, ma anche dell’inganno fatale

Il potere della suggestione che crea cieco proselitismo, ma anche forti sospetti di circonvenzione di massa

Published

on

Passato al Trieste Film Festival, l’atteso ritorno alla regia del cineasta azero di In between dying, Hilal Baydarov con Crane Lantern.

Le lanterne, poste già dall’antichità in rassegna, da parte degli uomini, sul culmine dei rilievi, delle costruzioni e degli alberi, con lo scopo di agevolare il percorso migratorio degli stormi di gru e indurli a trovare con più facilità la via per tornare nel posto ove erano migrati, costituiscono anche una trappola che lo stesso uomo talvolta utilizzava per trarre in inganno tali stormi, fino a condurli in una trappola mortale ove venissero storditi dal fumo, catturati e, ahinoi, uccisi.

Allo stesso modo, il comportamento di quell’ammaliante, ma difficilmente etichettabile profeta che è Davud (stesso nome, e non certo a caso, del protagonista “innamorato” del precedente film di Hilal Baydarov, quel In between dying visto con sorpresa in Concorso al Festival di Venezia un paio di anni orsono), presenta un duplice effetto: quello di irretire quattro donne che, ad ascoltarlo, abbandonano ogni strascico delle rispettive vite precedenti per seguirlo alla stregua di un nuovo messia, e quello più spiacevole e inquietante di presentarsi come un rapitore di anime, oltre che di corpi, in grado di far sì che le sue vittime lo seguano senza attuare alcuna forma di coercizione.

Ti ho già detto che la lanterna della gru viene usata per guidarle. Ma non ti ho detto che viene usata anche per la caccia: di notte del fumo sale dalla lanterna. Gli uccelli lo vedono e lo seguono fino a terra. A quel punto i cacciatori li catturano e li uccidono, uno per uno. Gli uccelli credono di essere guidati per la strada giusta, ma non sanno che invece troveranno la morte.

Crane Lantern: la trama

Un giovane studente di criminologia di nome Musa, si interessa a questo caso che potrebbe definirsi, a una prima analisi, come la conseguenza di un’azione di suggestione collettiva.

A tal fine lo studente prova a incontrare l’individuo, lasciandosi sedurre dal suo modo di esporre la presunta verità dei fatti e prova a indagare sull’azione del personaggio, e sulle conseguenze della sua azione sul comportamento delle vittime, succubi, ma per nulla contrariate da quella sorta di lavaggio del cervello.

Le donne infatti non intendono denunciare l’uomo, ma anzi paiono colte da una nuova visione di vita, da un più aperto e variegato orizzonte visivo che spinge quelle ipotizzate vittime a una presa di coscienza meno materiale e più mistica.

Sono umano, e niente dell’essere umano mi è estraneo.

Una concezione ben poco terrestre che pone le donne in una dimensione assai poco terrena e concreta e che le rende tutto fuorché vittime soggiogate.

Crane lantern: la recensione

L’ultimo film di Hilal Baydarov, prodotto anche stavolta da Carlos Reygadas, abbandona ancor più la dimensione narrativa, già scarna nel suo ultimo film In between dying, per lasciare che la suggestione di immagini a effetto di incantevoli paesaggi azeri tenti di immedesimare anche noi spettatori dentro questa nuova consapevolezza di vita di cui il nostro protagonista, l’indagatore Musa, si appresta con un certo sforzo a prender coscienza.

Il film ambisce a porsi domande cardine e spesso così complesse da risultare senza risposta.

Fra gli enigmi che affiorano in quel racconto suggestivo, fatto soprattutto di immagini e riprese mozzafiato aperte a panoramiche sempre suggestive e mai banali, certamente in rilievo risulta quello inerente il senso della giustizia, inteso come la capacità di quest’ultima di riuscire a districarsi tra enigmi moral-esistenziali come quelli che ruotano attorno alla figura messianica o, al contrario, da impostore di Davud, di fronte alla quale non possono più apparire credibili e convincenti quelle sentenze di colpevolezza che si poggiano unicamente su una concretezza di fatti qui decisamente inesistente.

Una verità che finisce compromessa da condizionamenti della mente che rendono tutto a metà strada tra l’esoterico e il mondo delle illusioni, e di fronte alla quale perde di significato il concetto più materiale e del tutto inefficace di giustizia e di conseguente punizione correlata.

Le parole del regista

“Il mio film è come tutti gli altri… semplicemente un film. L’unica cosa diversa è che ho fatto questo film basandomi sull’anima, sullo spirito, non sulla storia”.

E l’impressione che ci si trovi in un’altra dimensione rispetto a un film già piuttosto contemplativo, ma al confronto completamente narrativo, come è In Between Dying, ne costituisce una puntuale e opportuna conferma.

TIFF:al Festival di Tokyo molto cinema italiano

Exit mobile version