Sister di Ursula Meier è un potente e poetico spaccato sociale sulla povertà e sui sentimenti. I protagonisti Léa Seydoux e Kacey Mottet Klein sono indimenticabili.
Orso d’Argentospeciale 2012, distribuito da Teodora Film, secondo lungometraggio dopo il convincente esordio con Home (2008), Sister (L’enfant d’en haut) di Ursula Meier ci racconta le vite ai margini di Simon e Louise.
Simon ha dodici anni e ogni giorno sale alle piste da sci per rubare. Ruba di tutto: dagli sci, agli scarponi, ai guanti… Rivende la merce a chi sta sotto la montagna, e sopravvive. Divide con Louise una casa popolare. Louise, più grande di lui, senza equilibrio: cambia lavoro, cambia fidanzati. Non è un punto di riferimento per Simon. È un peso e basta. Un peso necessario. Lei e Simon sono uniti da un legame speciale. Louise per tutti è Sister, la sorella maggiore. Gli sforzi di Simon, sempre più al limite per cercare di dare un minimo di stabilità alle loro vite, vengono sistematicamente resi vani dalla totale negligenza e dall’assoluto egoismo di Louise. Per lei, Simon è il vero ed unico problema della sua vita.
Ascendenze e discendenze di classe
Usurla Mier convince nell’identificare anche simbolicamente un ambiente dove la divergenza sociale è di assoluta evidenza. Gli impianti sciistici del Cantone Vallese in Svizzera, l’ascesa che Simon compie quotidianamente in funivia rappresentano un mondo e una socialità completamente precluse al ragazzo. Simon esplora quello spazio come un animale in cerca di cibo. Conosce gli antri dove nascondere la refurtiva, le tane putride dove si rintana, mangiando i panini dagli zaini rubati. “Tanto se li ricomprano.” Così risponde ai ragazzi a cui rivende la refurtiva della caccia. Chi sta su non ha limiti. Lui e Lousie vivono in basso, nella torre, un casermone di edilizia popolare, presenza incombente, asfissiante; ce lo ritroviamo ‘addosso’, lo avvertiamo, nelle riuscite inquadrature sospese. Le salite e le discese quotidiane di Simon rimarcano la distanza, il confine lampante, incancellabile.
Due interpreti in perfetta simbiosi
In basso, le cose non sono affatto semplici. Simon è solo, totalmente solo. Louise non lo riconosce, approfitta dei suoi guadagni. Baratta le attenzioni che lei, la Sister, dovrebbe dargli, con briciole di accennata complicità. Léa Seydoux si carica addosso un personaggio femminile riuscitissimo, con tutte le contraddizioni, le fragilità, la mancanza di educazione affettiva, la paura di guardare in faccia la realtà. Kacey Mottet Klein è, al pari, empatico e convincente. Simon è forte e consapevole, pieno di rabbia e disperazione, voglia di abbandonarsi a una fanciullezza mai vissuta, a una figura materna sempre desiderata, rincorsa, i cui abbracci, le cui carezze si possono persino barattare con i soldi, sì. Anche questo. Tutto, purché ci si possa illudere per un istante.
Un cinema che rincorre il minimalismo estetico dei fratelli Dardenne, quello di Usurla Meier, da cui si emancipa con un proprio spirito visivo tanto poco accondiscendente con chi guarda, quanto intimo e penetrante emotivamente. La macchina da presa e la colonna sonora aggiungono altri livelli di linguaggio a ciò che si racconta, dando corpo alla materia, ai luoghi che popolano i suoi personaggi, essi stessi forma filmica indispensabile a decodificare sentimenti, vissuti, flussi umani.
Sister è anche un film capace di sondare senza la minima banalità, il mistero e lo scandalo della maternità.