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Messico! Cinema e Rivoluzione

Nel suo libro “Messico! Cinema e Rivoluzione”, Beniamino Biondi utilizza una scrittura ed un approccio semplici, contestualizzando storicamente e politicamente i film trattati. A cura di Eugenio Ercolani

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Negli ultimi giorni del Festival di Cannes del 2010, quando ormai i titoli di maggior richiamo erano stati visti e si attendeva di conoscere i vincitori, è stato proiettato, nella sezione Quinzaine, un piccolo film messicano, Somos lo que hay, a firma del giovane esordiente Jorge Michel Grau (nessuna parentela con il regista omonimo di Non si deve profanare il sonno dei morti). Una sorta di horror antropologico e sociale, nella concezione più romeriana del termine. Con un classico incipit da dramma familiare intimista, il film ruota intorno a un nucleo di cannibali metropolitani: sguardi e parole sussurrate dietro porte socchiuse, che celano desideri incestuosi, sessualità represse, rivalità, rancori, predominanze e giochi di potere, tutto quello che compone questo estremo affresco di famiglia ci viene mostrato con lucida intensità e lampi di sofferta violenza.

A distanza di più di un anno dal suo debutto a Cannes, i pensieri di chi scrive sono tornati su quel piccolo film, poi mai distribuito, almeno nel nostro paese. Il motivo di questa rimembranza, un libro: Messico! Cinema e Rivoluzione, a firma dello scrittore e saggista Beniamino Biondi. A essere onesti il legame tra i film di Grau e quelli trattati nel libro di Biondi è flebile, limitandosi quasi esclusivamente alla sola nazionalità. Forse però un ulteriore trait d’union si può trovare nella mala distribuzione dei prodotti messicani, come ci racconta il docente Stefano Tedeschi nella prefazione: “Che in Italia il cinema messicano sia in larga misura sconosciuto sembra un’affermazione ovvia e dimostrabile con una lunga serie di prove: i film messicani distribuiti in Italia negli ultimi venti-trent’anni sono in numero molto esiguo e quasi sempre sull’onda di qualche ‘inatteso e sorprendente’ premio internazionale (e a volte neanche questo riesce a smuovere la proverbiale pigrizia della distribuzione nazionale) […]. D’altronde se verifichiamo la presenza su mymovies.it dei registi analizzati da Biondi in questo suo lavoro possiamo scoprire che solo alcuni di essi vengono citati in quella che si considera la più ampia banca dati italiana di cinema, e per molti si tratta di una citazione solo per uno o due film, con notizie scarse e spesso errate”.

Come giustamente sottolinea lo stesso Tedeschi, ancor più tragica è la situazione se si prende sotto esame il periodo su cui si focalizza il saggio pubblicato dalla Arcipelago Edizioni, e cioè dall’inizio degli anni Sessanta fino ad arrivare ai novanta, soffermandosi in particolar modo sugli anni Settanta, periodo della nascita del manifesto del fronte di lotta. Prima di prendere in mano Messico! è assolutamente necessario armarsi di modestia, con la consapevolezza che sapere a memoria le filmografie di Cuarón, Iñárritu o Del Toro non vuol dire conoscere il cinema messicano. Si entra in un mondo cinematografico “invisibile”, lontano sia geograficamente che temporalmente e reso ancor più distante e ignoto da una stampa chiusa e spesso provinciale, come quella italiota.

Perdersi in una tormenta di polvere gialla, come quella che contraddistingue certe lande e pellicole messicane, sarebbe un destino quasi certo senza una guida chiara e preparata come Biondi. L’autore, difatti, cerca di mantenere una scrittura e un approccio semplici e accessibili a tutti, contestualizzando storicamente e politicamente i film trattati, senza mai perdersi in inutili voli pindarici o facili autocompiacimenti. In tal senso è azzeccata la struttura del saggio che, dopo una introduzione al Cinema Messicano del Fronte di Lotta, dedica ogni capitolo a uno dei dodici autori che hanno firmato il manifesto nel 1975, poi agli autori marginali e, per concludere, dedica uno spazio alla situazione attuale del cinema targato México, sempre includendo dati biografici e filmografie complete.

 Eugenio Ercolani

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