Negli anni Settanta la sfiducia nei confronti del sistema politico e la conseguente paranoia dilagante raggiunsero uno dei picchi più alti nella Storia degli Stati Uniti, trovando uno sbocco ideale nel mezzo cinematografico. Gli assassinii politici del decennio precedente e una costante sensazione di cospirazioni in atto, che esploderà poi con il caso Watergate, sono alla base di un gruppetto di pellicole realizzate in quel periodo. Le più conosciute sono senz’altro i capolavori The Conversation (Francis Ford Coppola, 1974) e All the President’s Men (Alan J. Pakula, 1976), ma anche un film meno riuscito come Three Days of the Condor (Sidney Pollack, 1975). Due degli esempi più curiosi sono invece The Parallax View (1974) e Winter Kills (1979).
Secondo capitolo, dopo Klute (1971) della trilogia “della paranoia” di Pakula, The Parallax View racconta le indagini del giornalista investigativo Joe Frady (Warren Beatty). Scosso dalla morte di una amica, Frady scopre informazioni che lo portano nell’orbita di una misteriosa organizzazione, la Parallax Corporation, tra i cui obbiettivi pare esserci anche l’assassinio politico. Ben presto capisce che i sospetti sulla morte del candidato presidenziale Charles Carroll (nonché della sua amica), avvenuto tre anni prima, sono tutt’altro che infondati. Deciso ad infiltrarsi nell’organizzazione, Frady è convinto di poter fermare l’imminente omicidio dell’ennesimo politico in corsa per le presidenziali. Totalmente ignaro del suo vero ruolo, quando alla fine realizza appieno la sua situazione è già troppo tardi.
A visione conclusa, la trama di The Parallax View risultata decisamente improbabile. Tratto dal racconto di Loren Singer, la sceneggiatura ad opera di David Giler e Lorenzo Sample Jr. (come sempre con Beatty di mezzo c’è stata anche la collaborazione non accreditata del solito Robert Towne) ad una riflessione più attenta fa acqua da tutte le parti. Il merito di Pakula infatti sta proprio nel mantenere la plausibilità del tutto, ma soprattutto la suspense, fino alle ultime inquadrature. Rispetto ad un film dalla tematica simile come Executive Action, diretto da David Miller (su sceneggiatura di Dalton Trumbo) e uscito all’incirca nello stesso periodo, Pakula pensa in primis allo spettacolo. Sarà solo con il suo film successivo (grazie ad una delle migliori sceneggiature di sempre), All the President’s Men, che l’equilibrio tra intrattenimento e commento sociale sarà perfetto. La disillusione, riassunta assai bene nelle parentesi che racchiudono il film, però è la stessa. The Parallax View rimane comunque un’opera affascinante e allo stesso tempo inquietante (forse più oggi che all’epoca della sua uscita), dalla messa in scena sopraffina (splendida come sempre la fotografia di Gordon Willis). Tra i film migliori del regista.
Se il film di Pakula in alcuni momenti sembra poter addirittura scivolare nella parodia, tanto è assurda la trama, Winter Kills fa esattamente questo e lo fa squisitamente a tradimento. In origine i produttori avevano in mente Milos Forman, ma appurata l’indisponibilità del regista, il compito fu affidato allo sconosciuto William Richert (un personaggio decisamente interessante). La sceneggiatura ad opera dello stesso Richert è un adattamento del romanzo di Richard Condon. Quest’ultimo, in un certo senso, ha dato il via al sottogenere dei film di cospirazione politica, essendo l’autore del seminale The Manchurian Candidate (portato al cinema nel 1962 da Frankenheimer).
Winter Kills è, in breve, una versione fittizia dell’assassinio di John F. Kennedy, incluse la moltitudine di teorie cospirazioniste che nel corso degli anni hanno circondato l’evento. Rispetto al libro, Richert insiste maggiormente sullo humour e tira fuori un film, a metà tra la satira politica e la black comedy, piuttosto riuscito. Questo aspetto però non è subito evidente e anzi emerge, se per abilità del regista o per caso non è ben chiaro, lentamente nel corso della pellicola fino a cambiare il tono iniziale, partendo completamente per la tangente e chiudendo, inoltre, con un finale ambiguo e privo di logica. Lo stupore di fronte alla serie di avvenimenti, che ben si trasforma in uno spettacolo al limite del demenziale, in cui incorre il protagonista, non è certo inferiore a quello di chi guarda.
Ma parliamo del cast, uno degli assortimenti più schizofrenici nella storia del cinema. Jeff Bridges, John Huston, Anthony Perkins, Sterling Hayden, Eli Wallach, Toshiro Mifune, Elizabeth Taylor, Richard Boone, Ralph Meeker, Belinda Bauer e persino Joe Spinell e Tisa Farrow. Bridges – non si capisce se per scelta interpretativa – sembra un pesce fuori dall’acqua, inciampando da una scena all’altra con l’aria perennemente confusa e incredula. Come dargli torto visto l’assurdità del tutto. Anche dietro alla cinepresa i talenti recrutati sono da far tremare le ginocchia. La fotografia è ad opera dell’immenso Vilmos Zsigmond, le scenografie di Robert F. Doyle (l’art director di molti film di Hitchcock) e la colonna sonora di Maurice Jarre. Il risultato è un film bizzarro, ma altamente divertente. Un autentico guilty pleasure.
Ma non finisce qui, perché i retroscena di Winter Kills sono, se possibile, ancora più strani del film stesso. La produzione iniziata nel 1976, quasi subito supera il budget stanziato di 6 milioni di dollari, tanto che le riprese vengono interrotte per ben tre volte. A film quasi terminato, rappresentanti del sindacato, infatti, si presentano sul set per il mancato pagamento degli stipendi. La MGM chiude tutto, immagazzina i negativi e viene dichiarata bancarotta, ma il peggio doveva ancora arrivare. I produttori del film, Robert Sterling e Leonard Goldberg, avevano fatto fortuna spacciando ingenti quantità di marijuana. Goldberg viene trovato morto nel suo appartamento, ucciso con un colpo alla testa in pieno stile mafioso, mentre Sterling viene arrestato poco dopo e condannato a 40 anni di prigione. A questo punto, Richert e parte del cast (tra cui i protagonisti Jeff Bridges e Belinda Bauer), si spostano in Germania per girare la The American Success Company (tratto da una sceneggiatura di Larry Cohen è conosciuto con almeno altri 4 titoli), nella vana speranza di recuperare (attraverso la vendita dei diritti di distribuzione) guadagni sufficienti per finire Winter Kills. Il film, che tra l’altro merita una riscoperta, però affonda al botteghino. Dopo l’interruzione di due anni, nel 1978 la Avco-Embassy si fa convincere a sborsare i soldi necessari per terminare le riprese. Distribuito brevemente nel 1979, pur raccogliendo recensioni positive sul New York Times, New Yorker e Newsweek, quando finalmente esce nelle sale non se lo fila nessuno. Richard Condon teorizzò che il distributore – Avco-Embassy – avesse altri interessi (contratti di difesa nazionale non meglio precisati) e che fosse stato obbligato dalla famiglia Kennedy a sotterrare il film. Infine, nel 1983 viene distribuita una versione rivista e rimontata (include le scene con Elizabeth Taylor e il finale originale), che rispecchia l’intenzione originale del regista ed è quella poi uscita in DVD.
Paolo Gilli