‘107 Mothers’ di Peter Kerekes, storie femminili dietro le sbarre
Una pellicola di ricostruzione, ma realizzata come se fosse un vero documentario. Il film di Peter Kerekes entra nella Colonia 74, un penitenziario femminile di Odessa, raccontando le giornate e le relazioni tra le detenute
La pellicola107 Mothers (Cenzorka, 2021) di Peter Kerekes si è distinta al 78º Festival di Venezia, nella sezione Orizzonti, aggiudicandosi il Premio per la miglior sceneggiatura (scritta da Ivan Ostrochovský, Peter Kerekes).
Lesya (Maryna Klimova) ha commesso un crimine passionale per il quale deve scontare sette anni in un carcere femminile di Odessa. Ha appena dato alla luce il suo primo figlio e ora sta per fare il suo ingresso in un mondo popolato esclusivamente da donne: detenute, infermiere e guardie carcerarie, donne di tutte le età, mogli e vedove, figlie, sorelle, donne incinte e altre con bambini.
Se non fosse per il colore dell’uniforme, sarebbe difficile distinguere le une dalle altre.
Cenzorka: quando il titolo originale viene reso commerciale
Con questo film ci si imbatte in un altro degli infiniti casi in cui la distribuzione internazionale normalizza – o rende appetibile – il titolo originale.
Cenzorka significa “Censura”. Un divieto che pongono tutte le dittature o i paesi con bassa democrazia. Già segregare queste donne/madri in carcere è una censura, che il regista cerca di “svelare” al pubblico realizzando quest’opera.
Censura applicata dalle guardie carcerarie alle prigioniere, quando controllano i colloqui con i familiari, oppure quando leggono e correggono la corrispondenza.
Pubblicizzando la pellicola con il titolo 107 Mothers (il numero delle vere ragazze madri rinchiuse nel penitenziario) si cerca di far leva soltanto sull’aspetto esteriore della vicenda. In un certo qual modo, quello più compassionevole.
107 Mothers: un’indagine documentaristica
107 Mothers è chiaramente una storia ricostruita, che prende spunto dalla vita di alcune vere detenute (citate nei titoli di coda). Una storia “fittizia”, sceneggiata da Kerekes e Ivan Ostrochovský, che comunque non calca la mano sulla drammaturgia.
La ricostruzione serve soltanto per dare una direzione, per stabilire già cosa filmare oppure no. Eppure, nel film prevale una messa in scena da documentario. Il regista posiziona la cinepresa, e lascia che la scena si svolga come se fosse reale. Kerekes predilige le inquadrature fisse, per essere limpido e allo stesso tempo far trasparire quel senso di oppressione.
I colloqui tra alcune detenute e la sorvegliante (Tetyana Klishch) sono quasi dei close-up, in cui le donne parlano guardando in macchina raccontando (a noi) la loro storia.
Anche le scene in cui le madri sono con i loro bambini non riescono a trasmettere mai vera gioia, poiché prevale l’asfissia e il controllo del luogo.
Soltanto nella scena finale, che cita la famigerata sequenza della scalinata de La corazzata Potëmkin (Бронено́сец «Потёмкин», 1925) di Ėjzenštejn, la lunghissima e leggiadra carrellata laterale esprime la liberazione.
107 Mothers: un film femminile più che carcerario
In107 Mothers, benché il penitenziario sia luogo tangibile e necessario alla storia, diviene soltanto un contenitore dove raccogliere differenti figure di donne. Non soltanto le detenute, ma anche le guardie carcerarie, le addette dei servizi sociali e, quasi come contrappunto, le figure delle due madri.
Queste prigioniere hanno commesso la grave colpa di uccidere il loro uomo (perché colto con un’altra donna). Da ciò capiamo che l’Ucraina è ancora un paese maschilista. Ma queste donne non sono assassine, come si deduce dal loro comportamento quotidiano: mansuete, collaborative, e soprattutto materne con i figli.
Attraverso 107 Mothers veniamo però a sapere che l’Ucraina è anche un paese matriarcale, in cui molte donne anziane, legate a tradizioni passate, sono più criminali di queste assassine passionali. La madre del marito di Lesya vuole prendersi il nipote e far scomparire la madre. Ecco, l’ulteriore censura.