Steven Spielberg riporta sul grande schermo West Side Story, il celebre musical di Laurents, Sondheim e Bernstein, già adattato cinematograficamente nel 1961.
Il film è disponibile in streaming su Disney+.
West Side Story: la trama
Nella New York degli anni ’50, l’Upper West Side è lo scenario della rivalità tra due gang locali, che si contendono il controllo. Gli Sharks, immigrati portoricani, e i Jets, composti da immigrati europei di seconda generazione. Riff, il leader dei Jets, propone a Bernardo, leader degli Sharks, di organizzare una rissa con cui risolvere la questione una volta per tutte. Mentre si avvicina lo scontro decisivo, Tony e Maria si incontrano durante una gara di ballo e si innamorano a prima vista, aumentando ancor più la tensione tra le bande.
L’avvento del musical
Il 2021 cinematografico è stato l’anno in cui sono usciti Annette, Tick, Tick… Boom!, In the Heights, Caro Evan Hansen, andati a rimpolpare (con fortune e risultati alterni) un genere, quello del musical, troppo spesso oggigiorno trascurato. Ad essi si può aggiungere The Beatles: Get Back, il fluviale e sorprendente documentario realizzato da Peter Jackson sulla genesi dell’ultima esibizione dal vivo della storica band britannica.
Come colpo di coda è arrivato in sala West Side Story di Steven Spielberg, secondo adattamento cinematografico dell’omonimo musical scritto da Arthur Laurents e Stephen Sondheim e musicato da Leonard Bernstein, che debuttò a teatro nel 1957 e che fu portato sul grande schermo una prima volta quattro anni dopo da Robert Wise e Jerome Robbins. È la prima volta che Spielberg si cimenta direttamente con il musical, eppure il suo è un cinema che ne è da sempre intriso. Non solo per le isolate incursioni, come la sequenza di apertura di Indiana Jones e il tempio maledetto o la gara di ballo in 1941 – Allarme a Hollywood, veri e propri omaggi al genere. Ma soprattutto per il senso ritmico, coreograficamente spettacolare e ammaliante, avvalorato dal prezioso sodalizio con John Williams (che nel West Side Story spielberghiano compare come consulente musicale), ben più di un semplice collaboratore.
Confronto-scontro con il passato
Per Spielberg West Side Story non è un musical qualsiasi. I brani furono infatti uno dei suoi primi grandi amori giovanili e l’idea di riproporlo al cinema lo ha rincorso per tutta la carriera. L’amore per quelle musiche si coniuga con il ricordo della propria infanzia e del proprio percorso cinematografico. Se da una parte si mantiene fedele all’originale, dall’altra trova una rimodulazione nella messa in scena che si dispiega sin dalla prima sequenza, definendo così l’anima e la traiettoria del film. West Side Story di Wise e Robbins si apriva con i titoli di testa quasi astratti realizzati da Saul Bass e a seguire sorvolava Manhattan, i suoi edifici, le sue geometrie, il suo spazio nitido e dinamico. Spielberg invece lo fa iniziare con le riprese di detriti, ruderi, un quartiere popolare in fase di demolizione. Uno spazio quindi esaurito, residuale.
Il film, tramite l’ingresso in scena di alcuni personaggi dal sottosuolo, sembra avere una genesi sepolcrale che, comprovata dalle macerie, riconduce ad un passato fonte di confronto-scontro con il presente. Sono le macerie della speranza di coesione culturale e sociale americana, tema fondante del musical, ispirato dal Romeo e Giulietta shakespeariano, che oggi sembrano fatali ancor più di mezzo secolo fa. Negli ultimi sei decenni, dalla realizzazione di West Side Story, il problema non è stato risolto. Il presente mostra ciclicamente come, anzi, poco sia cambiato. Il proverbiale multiculturalismo statunitense viene osservato dal basso e dall’interno con la metafora dell’amore impossibile, minato da continui scontri tensivi tra le due bande, quella portoricana e quella formata da ragazzi di origine europea.
I colori, gli spazi e i confini del conflitto
Ma sono anche le macerie di un certo cinema, che oggi appare così lontano. Quel cinema in cui Spielberg è nato artisticamente e che ha contribuito a plasmare. Quel cinema sviluppato negli anni sessanta, la New Hollywood, a sua volta generato da uno scontro con il passato e che in qualche modo West Side Story di Wise e Robbins ha preannunciato, andando a intaccare la tradizione del musical cinematografico. La versione spielberghiana racchiude tutto questo sin dall’incipit. Lo sviluppa nel suo incedere funereo, segnato da contrasti veementi che non riguardano solo la sfera sociale ma che si irradiano in profondità nell’immagine, nella messa in scena e nel suono. Si scontrano i corpi e i volti e si scontrano ancor più intensamente le ombre e i colori, che si intrecciano e si lanciano in una danza funebre e in un ribaltamento di valenza, sino a fondersi (come nella sequenza nella cappella o con i panni appesi).
La tensione dello scontro e dei limiti viene esaltata dallo spazio che li sottende e dalle sue geometrie. Quasi tutte le aree del film diventano luoghi del contendere, in cui il conflitto diviene difesa della persona, della propria identità, della propria cultura, impedendo un’armonia che sembra irraggiungibile. La sequenza del ballo scolastico è emblematica da questo punti di vista, è l’unico luogo in cui le due gang sono costrette a convivere pacificamente e la tensione, lo scontro, la difesa dello spazio esplodono tramite la danza.
La tensione nelle note
Ma è anche e soprattutto la musica di Leonard Bernstein (qui riarrangiata da David Newman) a esplicitare perfettamente questo nucleo tematico. Nel mambo della palestra, le dissonanze (ancor più stridenti) rimarcano l’impossibilità della convivenza, ammorbidendosi solo quando Maria e Tony si incontrano e si isolano. Perché solo immaginando uno spazio altro è possibile recuperare la speranza. Come sottolinea anche la canzone Somewhere che Spielberg fa cantare al personaggio di Valentina e che suona come una resa. Le dissonanze musicali non si presentano solo nel brano del ballo. Ricorrono nell’intera colonna sonora, con cui Bernstein racconta l’America e la sua anima frammentata. Fa un frequente uso del tritono, un intervallo dissonante che comunica inquietudine, persino spavento, e che per questo viene chiamato intervallo del Diavolo. La sua presenza in molti dei brani insinua strisciante quella tensione che pervade il racconto. Anche quando non si palesa, sino a esplodere nel finale con i tre rintocchi, a tragedia compiuta e con il definitivo tramonto ormai avvenuto.
Con West Side Story, Spielberg coniuga egregiamente ogni componente del racconto e lo estende alla propria memoria e alla propria passione. Puro manifesto di spettacolo e d’amore. Ritorna alla sua origine, a quello che è stato uno dei primi amori giovanili. Ritorna al cinema che lo ha formato e lo ha fatto emozionare, in una sorta di Alfa e Omega del proprio cinema. Un canto funebre di un’epoca lontana nel tempo, che non può ritornare se non tramite le ombre e i colori del cinema.