Per la sua prima volta senza il fratello, Joel Coen sceglie di portare sullo schermo una nuova versione del capolavoro scespiriano: Macbeth. Macbeth è un’opera più intellettuale che materiale in cui la parola viene esaltata dalla stilizzazione dello spazio scenico. Con le star Denzel Washington, nominato come miglior attore, e Frances McDormand nella parte dei protagonisti il film visibile su Apple TV+.
Macbeth di Joel Coen: tradizione e rinnovamento
Separati in casa – poiché al momento non è stato annunciato alcun scioglimento – il sodalizio dei fratelli Coen si prende una pausa dal normale corso delle cose. Ci viene così presentato l’assolo di Joel Coen che per il suo “nuovo esordio”, The Tragedy of Macbeth sceglie di portare sullo schermo un progetto, forse non a caso, diverso da quelli a cui di solito ci hanno abituati i registi americani. Ma è anche calzante con temi e personaggi della loro filmografia. Una commedia umana quella dei Coen dietro la quale è sempre stato possibile leggere un pensiero più alto rispetto alla farsesca rappresentazione che della vita hanno dato i loro personaggi.
È vero infatti che da sempre le considerazioni dei Coen si sono esercitate sulle forme del cinema di genere, prese in prestito per raccontare la parabola esistenziale dei loro antieroi. In questo caso specifico la natura della trasfigurazione cinematografica sembra farsi più scoperta. Il film intercetta alla radice il grumo della poetica filosofico-esistenziale che ne ha forgiato le storie. The Tragedy of Macbeth, infatti, presuppone un assoluto artistico, quello del sempiterno capolavoro shakespeariano, resistente a qualsiasi tentativo di mimesi per la forza con cui il suo immaginario archetipo si è sedimentato nel corso dei secoli e, dunque, per la capacità di imporre e non di subire le interpretazioni del mondo.
La tragedia della vita
Raccontando la vita nella forma della tragedia il classico shakespeariano altro non fa che inscenare in maniera classica una struttura compositiva che in qualche modo i Coen hanno battezzato fin dal principio. Basti pensare a come le scelte morali, come pure le costanti dell’essenza umana, arrivino a pesare sul destino dei loro personagg. Ma anche a quanta importanza abbia la componente filosofico-esistenziale in chiave di riflessione universale sulle sorti delle nostre faccende. E non ultima, alla mancanza di una narrazione a lieto fine, tanto per Shakespeare quanto per i Coen, destinata a essere liberatoria pur in presenza di un epilogo negativo.
Macbeth di Joel Coen: un film da ascoltare e da vedere
Se qui, come in altre trasposizioni, a creare lo scarto è la capacità di contestualizzare la modernità dell’opera in uno scenario – soprattutto visivo – capace di non tradirne la nobiltà del lignaggio, The Tragedy of Macbeth mette fin da subito le mani avanti. Di fronte alle innovazioni della sua messinscena, essenziale e stilizzata come solo la versione di Orson Welles era riuscita a fare, il film dichiara la sua natura filologica. Dunque, l’importanza della parola e della sua enunciazione. Esemplare in questo senso è lo schermo nero che accoglie i titoli di testa. Oltre alla voce di una delle streghe in procinto di annunciare a Macbeth la profezia del Regno, ad apparire, colorata di bianco, è la parola When. Che anche è quella con cui si apre la riduzione shakespeariano firmata dallo stesso regista.
Lungi dall’essere fine a se stesso, il frammento in oggetto funge da vera e propria introduzione a al film. Esso è dunque un’opera nella quale il verbo non è solo qualcosa da “ascoltare” ma anche da “vedere”. È il verbo ad essere accolto nello scenario che il regista si è premurato di preparargli per esaltarne la risonanza. Un bianco e nero, quello della sequenza trattata, che oltre a preannunciare il binomio coloristico scelto dal fedele Bruno Delbonnel. La fotogrfia riesce sapientemente a dare corpo ai fantasmi della coscienza e dichiara anche il legame tra opposti.
Gli opposti riguardano tanto la questione morale insita nella storia, la fascinazione del male e insieme la nostalgia del bene, quanto quella estetica, dominata dal connubio coloristico di cui si è detto. A dircelo, anche in questo caso, sono le immagini che seguono. L’opposizione è nel contrasto tra la sabbia bianca su cui si fissano le impronte dei viandanti, ancora vergine del sangue che si sta per versare, e il nero del saio che veste le membra delle funeste ambasciatrici. Ancora lo è la scelta di introdurre i singoli personaggi (tra cui Macbeth) con carrellate all’indietro e successivi primi piani, pronti a trasformare il corpo e lo spazio nel tramite in cui si manifesta la potenza della parola.
Tra vertigini architettoniche e apparizioni fantasmatiche
Insieme al sonoro, questi ultimi, dunque, sono decisivi in The Tragedy of Macbeth nel fare del film un’esperienza sensoriale. Un blockbuster della vista e dell’udito a cui il regista affida la ragione stessa della riedizione cinematografica. Per riuscirci Joel Coen sceglie di filmare il paesaggio facendolo risalire dall’insieme di linee che silhouette, strutture, luci e ombre disegnano davanti alla macchina da presa. Tra vertigini architettoniche e apparizioni fantasmatiche nelle quali la posizione dei corpi dei personaggi è sempre subordinata a quella dello spazio scenico. Interpretando al meglio il testo shakespeariano, The Tragedy of Macbeth traduce la dimensione allucinatoria dell’ambiente con un eccellente espressionismo cinematografico. L’interiorità dei personaggi e i sentimenti che li sovrastano esondano dal consueto contenitore. Tutta si riversa in una realtà destinata a perdere fin da subito la sua connotazione per abbracciare una dimensione metafisica.
Un’interpretazione più intellettuale che materiale
Una stilizzazione, quella imposta dal regista alla fonte letteraria, volta a rilanciare verso l’alto il tasso artistico. Esso è presente nel film con un’interpretazione più intellettuale che materiale della complessità umana. La pellicola é capeggiata dalle star Denzel Washington (un Macbeth schiacciato dai rimorsi della propria ambizione) e da Frances McDormand (Lady Macbeth).
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