Dopo l’anteprima del concorso ufficiale di Venezia 78 arriva nella sale Illusioni Perdute dove esperienza esistenziale e vita materiale si incontrano nella Parigi del diciannovesimo secolo in cui cerca fortuna un giovane e sconosciuto poeta. Tratto dall’omonimo romanzo di Honoré de Balzac, abbiamo parlato di Illusioni perdute con il regista Xavier Giannoli. Distribuzione: I Wonder Pictures.
Illusioni perdute di Xavier Giannoli e Barry Lyndon di Stanley Kubrick
Ho appena finito di vedere il tuo film. La prima cosa che mi viene in mente per cominciarne a parlare con te è Barry Lyndon di Stanley Kubrick.
È una corrispondenza che mi va benissimo (ride, ndr). E poi esiste anche nella realtà perché William Makepeace Thackeray, l’autore del romanzo da cui Kubrick ricavò il suo film, ammirava molto Honoré de Balzac e scrisse il suo romanzo nello stesso periodo di Illusioni Perdute. Sono due libri molto vicini, anche se Barry Lyndon è ambientato prima della rivoluzione francese: in una delle ultime scene, mentre Marisa Berenson firma una carta, si nota la data 1789 corrispondente all’inizio della rivoluzione. Si tratta di due opere correlate perché entrambi, Balzac e Thackeray, hanno visto la fine del vecchio mondo e della sua nobiltà e l’arrivo di quello nuovo, materialista ed egoista come la sua generazione, ossessionata solo dai soldi.
I personaggi di Lucien Rubempré e Barry Lyndon sono desiderosi di fare qualcosa della propria vita, di diventare qualcuno, di guadagnare soldi, di comprare cose. Dunque il film di Stanley Kubrick e il romanzo di Balzac sono molto simili nello sguardo che hanno verso questa nuova realtà.
Un altro collegamento tra i due film è dato dall’utilizzo della voce fuori campo.
In Barry Lyndon la voce fuori campo mantiene una certa distanza, è molto ironica e scortese quando si tratta di denigrare i personaggi. Personalmente amo come la usano i vari Martin Scorsese e Paul Schrader e gli altri grandi. Mi piace il fatto che tu puoi mostrare una storia mentre la voice over ne fornisce un punto di vista che te la fa vedere sotto una diversa luce; come capita in Barry Lyndon.
Io ho cercato di fare qualcosa di diverso perché la mia è, a volte, ironica, altre, invece, dimostra di conoscere il personaggio più dello stesso Lucien. Nel romanzo di Balzac accade la stessa cosa: Lucien non sa come sarà il futuro mentre la voce fuori campo sì. Lavorarci sopra assieme a Xavier Dolan – che nel film presta la sua a quella del narratore onnisciente – è stato come modulare un brano musicale: dovevamo trovare il giusto equilibrio tra il troppo e il poco. Tutto il mio impegno è stato quello di trovare la giusta emozione, l’esatta luce da dare alla storia grazie alla presenza della voce fuori campo.
La voce fuori campo
Nel tuo film la voce fuori campo ha un effetto molto potente anche perché tu la usi come contrappeso alla soggettività del personaggio. Una forma, questa, che in qualche modo rispecchia l’oggettività quasi scientifica con cui Balzac costruiva la sua letteratura.
Con Xavier abbiamo lavorato per molte settimane, provando giorno e notte, cercando la giusta ironia ed esplorando varie forme di humour. Per me è stato un mezzo per dire che stavo facendo un film fuori dal tempo. Non mi interessa se sarebbe risultato classico oppure no. Bisognava scegliere qualcosa che potesse andare bene per il film, e così è stato. Poi la cosa divertente è che le persone diranno che si tratta di una maniera antiquata di fare cinema mentre non si azzarderebbero mai a pensare la stessa cosa di Quei bravi ragazzi o di Casinò in cui Scorsese ne fa ampio utilizzo.
Sì, in effetti esiste questo pregiudizio. Per esempio per Il collezionista di carte è stato preso da molti come parametro negativo, segno di un modo antiquato di girare. Stiamo parlando di un film che per me è uno dei più belli in assoluto tra quelli realizzati da Schrader.
Esatto, si tratta di un film fantastico per cui si capisce che questi giudizi sono frutto di stereotipi. Non riesco a capire perché se viene utilizzata da certi autori va bene e per altri no. Comunque sono del tutto d’accordo con te.
L’inizio e la fine di Illusioni perdute di Xavier Giannoli
La sequenza iniziale e quella finale sono tra le più interessanti del film in quanto sono le uniche illuminate dal sole mentre il resto della storia è girata con colori scuri, con il sole per lo più assente. Secondo me questa divisione così netta rispecchia la natura della vicenda in cui non esistono mezze misure; in cui o sei bianco o sei nero.
Esatto, hai capito benissimo ogni cosa. Quello che hai detto nella tua domanda era esattamente quello che stavo cercando di fare. Grazie ai progressi dell’elettronica sono riuscito a lavorare molto sui colori del film, specialmente sui toni del rosso e del verde. Considero il cinema un’immersione sociale per cui questo deve essere spettacolare come un’opera: attraversato dalla musica, dai colori e dal sonoro. Guardando il film volevo che gli spettatori vivessero un’esperienza molto potente: miravo ad avere dialoghi forti, volevo l’azione e la suspense. Desideravo realizzare un lungometraggio divertente, ma anche triste, proprio come lo era il romanzo di Balzac che risultava spettacolare come un’opera.
Nei romanzi di Balzac la descrizione dell’ambiente è molto dettagliata proprio perché per lo scrittore si trattava di un elemento in grado di influenzare i comportamenti dei personaggi. La tua messa in scena lo riflette nella capacità di includerlo e darne conto all’interno dell’inquadratura.
Questo è il problema principale nella nostra come nella vita di Lucien, ovvero che il ragazzo non è solo una vittima dell’ambiente in cui vive. Lui commette molti errori che non c’entrano nulla con i luoghi e le persone che frequenta. In altri romanzi di Balzac, come per esempio in Papà Goriot, abbiamo un personaggio come De Rastignac che è molto più intelligente di Lucien e che riesce a diventare molto più importante e potente di lui. Il nostro protagonista è scrittore e poeta in un mondo ossessionato dai soldi: il suo errore è non rendersene conto. Io ho fatto esattamente gli stessi errori nella mia vita e credo sia lo stesso per te (ride, ndr). Questo è il motivo per cui Balzac è così fondamentale. Lui riesce a raccontare il fatto di combattere con il mondo, ma anche l’ossessione che nasce dall’idea di diventare qualcuno nello stesso ambiente da cui si cerca di prendere le distanze. La bellezza di un romanzo come Illusioni perdute sta nel saper descrivere l’essenza dell’essere umano con le sue contraddizioni. Quelle del protagonista, ossessionato dal riuscire a realizzarsi.
Il modo in cui la storia è narrata
Nel film utilizzi molti campi lunghi in cui strade, case, teatri e interi quartieri diventano protagonisti della scena. È chiara da parte tua la scelta di mostrarcele facendone una componente determinante per la comprensione della storia.
Ero ossessionato dal far vedere la bellezza di Parigi e del suo mondo durante il diciannovesimo secolo. Sono sempre stato un grande ammiratore di Ludwig, de Il Gattopardo e tutto quel cinema capace di farti vedere il mondo nella sua completezza, con i suoi colori, i suoi scorci. Volevo che ci fossero tutti questi dettagli perché erano la sintesi di un’ intera civiltà, quella europea. Ho fatto Illusioni perdute per ricordare che la nostra cultura è qualcosa di bello e importante. In tutte le strade, in tutti i ristoranti, in tutte le sale da ballo dove ho effettuato le riprese si respirava la cultura europea e francese: è qualcosa di importante e bello che dobbiamo preservare.
In alcuni passaggi la presenza di una plasticità di tipo pittorico mi fa pensare che ti sia rifatto ai dipinti dell’epoca per riprodurre la Francia di quel periodo.
Proprio così: ho lavorato molto con lo scenografo e con i costumisti, ho guardato molte immagini e letto molti testi. Illusioni perdute è ambientato prima della scoperta della fotografia, quindi non abbiamo testimonianze di quel tipo. In compenso Balzac fornisce agli occhi dei lettori molte informazioni: i suoi romanzi si possono leggere con gli occhi; attraverso essi si possono vedere molte cose, arrivando a sognare quel mondo. Dunque quegli ambienti sono un mix di quanto sono riuscito a sognare di quell’universo. Prima di iniziare a girare ho guardato Barry Lyndon con degli storici, i quali mi hanno detto che nel film c’erano molti errori. Questo per dire che per me a contare non è la precisione storica, ma il poter restituire il feeling di quel particolare momento. Naturalmente tutti i riferimenti sono stati molto importanti, specialmente i dipinti. Mostrando i film di Luchino Visconti alle persone che lavoravano con me facevo notare loro i movimenti della macchina da presa, i colori. Lui per me era un genio!
Passato e presente in Illusioni perdute di Xavier Giannoli
L’ossessione dei soldi, la corruzione endemica dello stato sociale, le fake news e la macchina del fango, giornali e scrittori etichettati come mercanti di parole. Illusioni perdute racconta un passato molto simile alla nostra contemporaneità.
Dopo la Rivoluzione francese Balzac ha visto arrivare il nuovo mondo, un universo egoista e ossessionato dai soldi. Le similitudini che vede lo spettatore esistono perché ne siamo ancora dentro. Mentre leggevo il romanzo pensavo sempre quanto quel tempo fosse simile al nostro. Non ce l’avevo con i giornalisti, mio padre lo è stato e so quanto sia difficile praticare quel mestiere in questo momento. In realtà attraverso Illusioni perdute volevo far vedere come questo cosiddetto nuovo mondo chieda a tutti di essere ossessionati dai soldi.
Oltre a questo, mi pare che Illusioni perdute sia il racconto di un tradimento sentimentale, ma anche etico e morale.
Sì, è vero. La tua domanda è molto precisa e c’è poco da aggiungere. Il tema del tradimento per me è molto importante: la fedeltà e l’onore sono valori fondamentali che, però, vengono meno quando i soldi occupano così tanto spazio nella tua vita.
Il cast
Gli attori sono tutti molto bravi, ma Benjamin Voisin nella parte del protagonista merita una menzione speciale per come si carica il film sulle spalle. Così giovane è in grado di stare davanti alla mdp dalla prima all’ultima scena restituendo la complessa gamma emozionale del suo personaggio.
Ho detto a Gaumont, il mio produttore, che per fare questo film il personaggio di Rubempré doveva essere interpretato da una star. Il problema è che non esistono divi così giovani per cui abbiamo iniziato un casting molto difficile: ho visto molte persone e all’improvviso la mia attenzione è caduta su una foto in bianco e nero di Benjamin. Andava in bicicletta e aveva l’aspetto tipico dei ragazzi di oggi. Del nostro primo incontro ricordo il suo umorismo: gli dissi che i molti lettori di Illusioni perdute non avrebbero visto l’ora di vedere il film e lui, per contro, mi rispose che ancora più spettatori dopo averlo guardato non avrebbero più letto il libro. È stato molto divertente e provocatorio. Abbiamo provato i costumi, le mise dei capelli e improvvisamente è diventato il Tancredi de Il Gattopardo, con la bellezza autentica, complessa e molto emozionante che era stata del protagonista di Visconti. Anche in abiti moderni Benjamin mantiene queste caratteristiche, il che mi fa dire che sarà lui la prossima star del cinema francese. Per me è stata un’opportunità averlo nel film ed è stato molto divertente vederlo di fronte a Gérard Depardieu mentre parlava con lui senza alcun timore. Non è una cosa scontata per un giovane attore trovarsi così a suo agio di fronte a un collega importante come Gerard.
La forza di carattere è essenziale per sostenere una carriera come quella dell’attore. In Italia l’avevamo conosciuto in Estate ‘85 e anche lì aveva mostrato di essere una presenza che non si dimentica.
Assolutamente sì. Benjamin ha molta forza e, sai una cosa, ha il “dono”. Quando parla o si muove ogni cosa che fa è cinema, dunque averlo con me in questo film è stata una grande occasione.
Xavier Giannoli oltre Illusioni perdute
Per finire, volevo chiederti quali film o registi ti piacciono.
Ce ne sono così tanti. Per questo film ho pensato molto a Martin Scorsese perché lo amo come regista; per quello che riesce ad esprimere con la macchina da presa, per l’energia e l’intensità che trasmette ai suoi attori. A parte questo, un’altra cosa molto importante in Scorsese, come anche in Paul Schrader, che tu prima citavi, sono il personaggio e la sceneggiatura. I protagonisti dei loro film combattono sempre contro se stessi e questa è una dimensione esistenziale che amo molto raccontare. Forse questo succede perché siamo entrambi cattolici.
Continuando nell’elenco dei miei autori preferiti ti dico Max Öphüls che in Madame de… riesce a muovere la mdp in ogni angolo di spazio con effetti a dir poco spettacolari. Lo sottolineo perché oggi, come regista, sono dell’avviso che per contrastare la televisione il cinema debba essere qualsiasi cosa: non solo molto spettacolare, ma anche in grado di scavare nella profondità dei personaggi. Deve essere musica, intelligenza, deve essere divertente ed emozionante. Questo è esattamente ciò che provo di fronte ai film di Stanley Kubrick o Martin Scorsese. È come l’opera: tu reciti come se fossi in un film o in un teatro e improvvisamente ti ritrovi in un altro mondo, sovrastato dalle emozioni, dal suono della musica: l’energia traspare negli occhi degli attori e in tutti i colori e i suoni del film. Questo è il cinema che voglio fare. Penso a persone come Francis Ford Coppola e, naturalmente, al maestro assoluto che è Federico Fellini. Mi ricordo che da giovani lessi una frase di John Ford che mi colpì molto. Lui diceva che preferiva filmare il muso di un cavallo al galoppo piuttosto che il viso di una donna piangente. In quel momento mi ripromisi di fare l’esatto opposto, ovvero che avrei ripreso il viso di una donna che piange su un cavallo che corre (ride, ndr).
Per la traduzione dall’inglese si ringrazia Cristina Vardanega
Leggi anche: ‘Illusioni perdute’ la prima esclusiva clip italiana del film di Xavier Giannoli