Lina Wertmuller, la prima donna ad essere candidata all’Oscar, è venuta a mancare lo scorso 9 dicembre, all’età di 93 anni.
La Gian Burrasca del cinema italiano ha abbattuto ogni barriera di genere. Ironico, irriverente e grottesco, il cinema di Lina Wertmuller rifiuta ogni etichetta di comodo e con disinvoltura passa dall’impegno politico alla commedia brillante, senza tralasciare western e musicarello.
“Libertà assoluta, non credo nei generi. La gioia di vivere è la cosa più importante. Le regole? Vanno tradite”.
In questi termini si esprime la regista in un’intervista rilasciata a Stefania Ulivi per il Corriere della sera. La libertà assoluta, in effetti, è la principale fonte d’ispirazione per Lina Wertmuller.
Cinema impegnato, i musicarelli, i western e la televisione
Il suo esordio dietro la macchina da presa avviene con I basilischi (1963). Il film viene considerato dalla critica come un esempio di cinema sociale e lei, donna irriverente e ironica, si sente appesantita da questa classificazione e sbaraglia tutto e tutti.
Tra il 1964 e il 1965, accetta la regia de Il giornalino di Gian Burasca, sceneggiato televisivo trasmesso dalla RAI, con Rita Pavone. Dopo poco, Lina Wertmuller realizza il suo secondo film, Questa volta parliamo di uomini. Una brillante commedia, in cui Nino Manfredi è il protagonista di quattro episodi collegati da un’unica cornice.
Nel 1966, Lina Wertmuller ritrova Rita Pavone nel musicarello Rita la zanzara e l’anno successivo in Non stuzzicare la zanzara. Ma la regista non si fa mancare proprio nulla e, nel 1968, dirige anche un western, Il mio corpo per un poker, con Elisa Martinelli e Robert Woods.
Insomma, in questi primi anni della sua carriera, dimostra di essere in grado di affrontare qualsiasi sfida. Inoltre, riesce a rapportarsi, senza rinunciare alle sue idee, con il sistema produttivo industriale del cinema italiano degli anni ‘60.
“Fin da ragazzina non sopportavo le ingiustizie. Le mie reazioni forti procuravano guai. Vendicai mio fratello da un’offesa mordendo a sangue un ragazzino. Feci la pupù in classe quando la maestra mi negò il permesso di andare in bagno. Ricordo la sensazione piacevole di vedere lo stupore buffo sulle loro facce”.
Non stuzzicare la zanzara
Il gioco e la provocazione
È la provocazione leggera e ludica che diverte Lina Wertmuller, come la sua peculiarità nel scegliere titoli lunghissimi per i suoi film. Un esempio: Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici.
La provocazione non ha mai abbandonato la regista, neanche nel 2019, quando riceve l’Oscar alla carriera. In questa occasione, nientemeno dal Roy Dolby Ballroom di Los Angeles, propone di cambiare il nome da Oscar ad Anna.
Una provocazione, detta con sorriso, ma che rivela il suo interesse per l’emancipazione delle donne, come viene sottolineato nell’intervista realizzata da Gianlorenzo Franzì per Taxidrivers.
Con Luciano De Crescenzo
Una donna ironica che ama la provocazione, ma Lina Wertmuller ha un carattere duro, capace di imporsi anche con forza. Come è avvenuto con Luciano De Crescenzo, durante le riprese di Sabato, domenica e lunedì.
L’episodio viene ricordato da Giuseppe Fantasia su Huffpost:
“Ho sempre detestato quando gli attori gesticolano troppo, soprattutto se si trattava di miei attori. Eravamo sul set di Sabato, domenica e lunedì e c’erano anche Sophia Loren, Luca De Filippo e Pupella Maggio. Lui non smetteva mai di muovere quel dito e la cosa mi diede molto fastidio. Gli dissi di fermarsi, di smetterla, ma lui nulla. Alzai anche la voce. Alla terza volta però, glielo morsi. Gli cucii poi la mano nella tasca, per far sì che non la tirasse fuori mai più”.
È questo un piccolo incidente di percorso nel rapporto di stima e affetto tra Lina Wermuller e Luciano De Crescenzo.
Con Nanni Moretti
In modo del tutto diverso, invece, sono andate le cose con Nanni Moretti, il quale, in Io sono un autarchico vomita alla notizia che Lina Wertmuller è diventata docente di cinema in una prestigiosa università americana.
La regista non se la prende, anzi ironizza sulla cosa, ma anni dopo i due s’incontrano, Lina Wermuller si avvicina a Nanni Moretti per salutarlo e ridere insieme ripensando alla scena. Il regista, però, la ignora e lei, ovviamente risponde con un generoso: vaffa…
Il tutto viene raccontato da Lina Wertmuller in un capitolo intitolato: L’abominevole Nanni Moretti, contenuto nella sua autobiografia Tutto a posto niente in ordine: Vita di una regista di buonumore, pubblicata da Mondadori nel 2012.
Con Federico Fellini
L’incontro più importante, che ha segnato non solo la sua filmografia, ma l’intera vita, è quello con Federico Fellini.
“Fellini è stato un regalo unico che mi ha fatto la vita e non potrei delegare a poche parole quanto sia stato importante per me. Posso dire che conoscerlo è stato come affacciarsi a una finestra e guardare un panorama meraviglioso che non avevo mai visto prima”.
Lina Wertmuller da Federico Fellini eredita senza dubbio il senso del grottesco, in bilico tra ironia e drammaticità. La regista arriva sul set di 8 e mezzo nel 1963, grazie all’amicizia con Flora Carabella, moglie di Marcello Mastroianni.
Di quell’esperienza sono rimaste alcune preziose riprese realizzate dalla stessa regista e poi utilizzate da Valerio Ruiz nel suo documentario Dietro gli occhiali bianchi (2015).
Per Lina Wertmullr, Federico Fellini, insieme ad altri mostri sacri del nostro cinema, come Vittorio De Sica e Roberto Rossellini, ha saputo attribuire al cinema il ruolo della letteratura. Sono i grandi registi del Novecento, infatti, che hanno costruito la struttura dell’Italia, raccontando le loro storie.
Giancarlo Giannini e Mariangela Melato
Lina Wertmuller nasce a Roma il 14 agosto 1928, ma il suo vero nome è lunghissimo, come i titoli dei suoi film: Arcangela Felice Assunta Wertmuller von Elgg Spanol von Braueich, nome ereditato da una potente e nobile famiglia svizzera.
A diciassette anni, la futura regista frequenta l’Accademia teatrale diretta da Pietro Sharoff, allievo di Stanislavskiy. Dopo una breve esperienza con gli spettacoli dei burattini di Maria Signorelli, collabora con diversi registi teatrali, come Guido Salvini, Giorgio De Lullo, Pietro Garinei e Sandro Giovannini.
A metà degli anni ‘50, con la collaborazione di Matteo Spinola, lavora a due prose radiofoniche trasmesse dalla RAI: Prova generale (1956) e Un Olimpo poco tranquillo (1957).
Il primo contatto con il cinema avviene con E Napoli canta! di Armando Grottini, dove Lina Wertmuller è assistente alla regia.
Dopo l’esordio con I basilischi (1963), vincitore del Festival di Locarno, nella seconda metà degli anni ‘60, Lina Wertmuller instaura un sodalizio con Giancarlo Giannini e Mariangela Melato.
“Giancarlo e Mariangela formano una coppia con un forte senso dell’umorismo e nel contempo riescono a essere drammatici. Non tutti i grandi attori hanno i doppi sensi, ma i migliori si!”
L’incontro con Enrico Job
Nel 1965, invece, incontra Enrico Job, pittore e poi costumista per il cinema e il teatro. I due si sposeranno nel 1967 e adottano la figlia Maria Zulima.
“Ho avuto il dono di stare con lui 44 anni, siamo stati due compagni di gioco”.
Lina Wertmuller è la prima donna a essere candidata all’Oscar, con Pasqualino Settebelezze, nel 1977: il film ha ricevuto tre nomination, tra cui quella per la miglior regia.
Nella sua lunga carriera la regista ha diretto 30 film. Il suo ultimo lavoro è Roma, Napoli, Venezia… in crescendo rossiniano (2014), un docufilm con Stefano Belisari (alias Elio delle Storie tese) e Giuliana De Sio.
I basilischi
Il primo film di Lina Wertmuller è I basilischi, vincitore della Vela d’argento per la regia e premio internazionale della stampa al festival di Locarno.
Francesco, Sergio e Antonio sono tre giovani privilegiati che vivono in un tipico paesino di provincia tra la Puglia e la Basilicata. Un giorno, la zia di Antonio offrirà al nipote la possibilità di continuare gli studi a Roma; poco dopo egli tornerà al paese, incapace di abbandonare pregiudizi, luoghi comuni e rituali della provincia.
Sara Perego nella sua recensione per Taxidrivers, definisce l’esordio di Lina Wertmuller, come un ritratto lucido e appassionato di una piccola, ma significativa realtà del sud.
La regista, con questo film, prosegue le riflessioni socio-culturali sull’emigrazione di Luchino Visconti, riallacciandosi, ovviamente, anche a I vitelloni di Federico Fellini.
Già in questa sua prima fatica cinematografica, la regista crea un’atmosfera sospesa tra il grottesco e la tragedia, raccontando le vicende di personaggi sull’orlo della depressione.
Il cast: Antonio Petruzzi, Stefano Satta Flores, Rosanna Santoro, Flora Carabella.
I Basilischi (The Basilisks, 1963) – Clip – The Chase – English subtitles – YouTube
Questa volta parliamo di uomini
Nel 1965, Lina Wertmuller realizza il suo secondo film, Questa volta parliamo di uomini, con Nino Manfredi che si aggiudica il Nastro d’argento, come miglior attore protagonista.
Nel primo episodio, Un uomo d’onore, un industriale in crisi finanziaria spinge la moglie a rubare per procurargli del denaro. In Il lanciatore di coltelli, un artista circense colpisce la propria partner, ferendola a morte. In Un brav’uomo, un contadino passa le giornate disprezzando la moglie che lo mantiene. Nell’ultimo episodio, intitolato Un uomo superiore, una moglie esasperata dall’arroganza del marito, tenta di ucciderlo.
È questo, forse, uno dei primi esempi di testimonianza del fermento femminista che iniziava a prendere piede in Italia. Il titolo, infatti, è la versione al femminile di Se permettete parliamo di donne, esordio alla regia di Ettore Scola.
Lina Wertmuller decide di realizzare questa commedia per scrollarsi di dosso l’etichetta di regista impegnata, dopo l’esordio de I basilischi. Il tema del femminismo, infatti, è presente nel film, ma viene trattato in chiave ironica e ovviamente grottesca.
Questa volta parliamo di uomini ha, senza dubbio, delle pecche; però, è già ben evidente lo stile innovativo della regista e la sua gioia nel divertirsi, manipolando il materiale narrativo.
Il cast: Nino Manfredi, Luciana Paluzzi, Patrizia De Clara, Margaret Lee, Milena Vukotic.
Rita la zanzara
Dopo l’esperienza televisiva con Il giornalino di Gian Burasca, Lina Wertmuller ritrova la cantante torinese in Rita la zanzara (1966). La regista firma questo suo terzo film con lo pseudonimo di G. Brown.
Rita è una liceale pestifera, ospite di un collegio, innamorata del suo professore di musica. Insospettita dalla frequente sonnolenza dell’insegnante, scopre che l’uomo ha una doppia vita: di giorno professore e di notte scatenato esecutore di musica yeye.
Rita la zanzara è un tipico esempio di musicarello. Il genere, di matrice popolare, ha raggiunto il suo apice negli anni ‘60, usato principalmente per pubblicizzare le abilità canore dei nuovi esponenti della scena musicale.
È questo il primo film, in cui Lina Wertmuller dirige Giancarlo Giannini, il quale interpreta il ruolo del professore Paolo Randi. Rita la zanzara è un lungometraggio leggero, comico e reso piacevole dalla partecipazione di ottimi attori, come Nino Taranto, Peppino De Filippo, Vittorio Congia e Gino Bramieri.
Lina Wertmuller evita di usare un registro serioso, ma con spregiudicatezza rappresenta il mondo dei giovani, che per la prima volta si oppone alla vecchia generazione. Interessanti, inoltre, sono i riferimenti, mantenendo sempre un tono leggero, ad alcuni fatti di cronaca del movimento studentesco.
Il cast: Rita Pavone, Giancarlo Gianni, Peppino De Filippo, Laura Efrikian, Turi Ferro.
Il film è disponibile su Rai Play
Il mio corpo per un poker
Dopo Non Stuzzicare la zanzara, sequel del precedente film, Lina Wermuller realizza Il mio corpo per un poker, western diretto con Piero Cristofani, entrambi accreditati con gli pseudonimi di Nathan Wich e George Brown.
Per sfuggire a un matrimonio non voluto, Myra Belle Shelly scappa e assunto il nome di Belle Starr, si dà ai furti di cavalli, insieme a un suo vecchio amico.
Come suggerisce Luca Biscontini, il film, già dai titoli di testa, si presenta come un interessante esperimento per affrontare la questione di genere. La protagonista, infatti, è un’avventuriera che compete con gli uomini.
In un film di Lina Wertmuller non può mancare l’ironia ed ecco varie scene umoristiche: un sigaro aspirato con voluttà e una partita a carte dove la protagonista, con la potenza dell’ironia, riesce a vincere.
Luca Biscontini conclude affermando che il western di Lina Wertmuller è un film da vedere, per la sua originalità e intelligenza.
Il cast: Elsa Martinelli, Robert Woods, George Eastman, Eugene Walter, Bruno Corazzari.
Mimì metallurgico ferito nell’onore
Nel 1972, Lina Wertmuller realizza Mimì metallurgico ferito nell’onore, presentato alla 25° Edizione del Festival di Cannes.
Mimì viene licenziato a causa delle sue idee politiche di sinistra e si vede costretto a separarsi dalla moglie e partire per Torino. Solo, in una città sconosciuta, Mimì conosce Fiore, una ragazza lombarda. I due s’innamorano e concepiscono un figlio. Trasferito di nuovo nella città natiam Catania, Mimì si divide tra l’amante e la moglie. Ma quando quest’ultima gli confessa di aspettare un figlio da un brigadiere di finanza, Mimì decide di vendicarsi, seducendo la moglie del militare. Dopo varie vicissitudini, tra cui l’arresto, Mimi viene abbandonato da Fiore, l’unica donna che ha veramente amato.
Questo film potrebbe essere considerato come il primo capitolo di una trilogia dedicata alla storia operaia italiana. Gli altri due film, realizzati successivamente, sono: Tutto a posto niente in ordine (1974) e Metalmeccanico e parrucchiera in un turbine di sesso e politica (1996).
È sempre il grottesco, che viene utilizzato dalla regista per raccontare il potere e la prepotenza della mafia, ma ciò non la rende meno inquietante; tutt’altro.
Il cast: Giancarlo Giannini, Mariangela Melato, Agostina Belli, Luigi Diberti, Elena Fiore.
Film d’amore e d’anarchia – Ovvero “Stamattina alle 10 in via dei fiori nella nota casa di tolleranza
Film d’amore e d’anarchia – Ovvero “Stamattina alle 10 in via dei fiori nella nota casa di tolleranza…”. È un lungometraggio del 1973, presentato alla 23° Edizione del Festival di Cannes, premiato con la miglior interpretazione maschile, attribuita a Giancarlo Giannini.
Roma, anni Trenta del Novecento, in pieno regime fascista. Il lentigginoso goffo Antonio Soffiantini, dopo l’uccisione, da parte dei carabinieri di un suo compagno anarchico, si reca a Roma per assassinare Benito Mussolini. Nella capitale entra in contatto con Salomè, una prostituta che lo ospita nella casa di tolleranza in cui lavora. Qui Antonio, che tutti chiamano Tunin, s’innamora di un’altra prostituta, alla quale svela la causa che lo ha portato a Roma.
Ancora una volta, Lina Wertmuller non rinuncia alla sua ironia. Il film è senza dubbio drammatico, con un finale tragico, ma la regista gioca con la storia e l’immagini. Esemplari sono le prime sequenze del film, dove l’amico anarchico di Tunin, guardando la macchina da presa, sembra rivolgersi allo spettatore, con un irriverente marameo.
Il film fu in parte stroncato da un autorevole critico, come Lino Miccichè, il quale non apprezzò il linguaggio grottesco e ironico per una tematica così tragica.
Notevole è la scenografia del film curata da Enrico Job.
Il cast: Giancarlo Giannini, Mariangela Melato, Eros Pagni, Lina Polito, Pina Cei.
Film d’amore e d’anarchia – Trailer – YouTube
Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto
Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto è un film del 1974, con Giancarlo Giannini e Mariangelo Melato. Il film ha ricevuto il David di Donatello per la musica, curata da Piero Piccioni.
Una ricca signora milanese, Raffaella Pavoni Lanzetti, è in crociera nel Mediterraneo. Non si fa scrupolo di snobbare crudelmente la ciurma, ma quando naufraga su un’isola deserta, con il rude e comunista marinaio i ruoli si capovolgono.
“Bottana industriale e socialdemocratica”.
È questa una delle battute più celebre del film, che il rude Gennarino Carunchio, rivolge a Raffaella, sofisticata e snob.
Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, oggi un vero cult, rappresenta, metaforicamente, la situazione politica di allora. È 1974, lo scontro politico e sociale del Paese ha toccato le sue punte più alte.
La sofisticata signora bionda è l’incarnazione dell’arroganza del potere, il marinaio Gennarino, invece, è il popolo, che deve subire in silenzio. Il finale del film sembra suggerire la crudele, ma realistica conclusione, che la borghesia e il proletariato possano incontrarsi solo fuori dal mondo, appunto su un’isola deserta.
Il cast: Mariangela Melato, Giancarlo Giannini, Riccardo Salvino, Isa Danieli, Aldo Puglisi.
Pasqualino Settebelezze
Con Pasqualino Settebellezze (1975), Lina Wertmuller riceve tre nomination all’Oscar: migliore regia, miglior film straniero e migliore sceneggiatura originale. Giancarlo Giannini, inoltre, riceve la nomination come miglior attore protagonista.
Pasqualino è un poveraccio che commette un delitto d’onore. Per questo motivo viene chiuso in un manicomio criminale, ma esce a causa della guerra. Viene catturato e finisce in un lager nazista dove commette un altro omicidio. Alla fine delle ostilità ritorna in una Napoli tragicamente euforica che festeggia l’arrivo degli alleati.
Nella recensione di Sara Perego per Taxidrivers, Pasqualino Settebellezze viene definita una tragicommedia, in cui il gusto per il grottesco emerge in maniera naturale.
Il film e il suo protagonista sono l’incarnazione della mentalità italiana propensa alla tragedia, ma legata da un doppio filo alla farsa. È il tipico esempio dell’uomo che vuole evolversi, non trovando mai il tempo e le modalità giuste per farlo.
Un senso straniante e ironico è suggerito dalle musiche di Enzo Jannacci.
Il cast: Giancarlo Giannini, Fermando Ray, Shirley Stoler, Elena Fiore, Piero Di Iorio.
Pasqualino Settebellezze – YouTube
Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedeva. Si sospettano moventi politici
Nel 1978, Lina Wertmuller realizza Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedeva. Si sospettano moventi politici. Il titolo di questo film è uno dei più lunghi ideati dalla regista, ma esiste anche una versione più estesa: Un fatto di sangue nel comune di Siculiana fra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici. Amore-Morte-Shimmy. Lugano belle. Tarantelle. Tarallucci e vino. Quest’ultimo vanta il record nei Guinnes dei primati come titolo più lungo nella storia del cinema.
Anno 1922. In un paesino della Sicilia, tutti sanno che a uccidere Angelo Paternò è stato Vito Acicatena, ma al processo nessuno parla. L’avvocato Spallone, fervente socialista, vorrebbe indurre la vedova a far riaprire il caso. Tra i due nasce una relazione che si complicherà con l’arrivo di un cugino del defunto, al quale la donna non nega le sue grazie.
Una visione superficiale di questo film porterebbe a considerarlo un’opera stereotipata, con personaggi senza profondità. In realtà, Lina Wertmuller, con questo lungometraggio, realizza un’operazione molto ambiziosa, facendo rivivere gli archetipi e gli schemi narrativi della tragedia greca.
Tutto va in quella direzione: il pathos narrativo, lo sviluppo della vicenda e persino la scenografia. I personaggi, infatti, si muovono tra le rovine della Magna Grecia.
Il cast: Sophia Loren, Marcello Mastroianni, Giancarlo Giannini, Turi Ferro, Mario Scarpetta.
Il film è disponibile su Rai Play
Sabato, domenica e lunedì
Nel 1990, Lina Wertmuller torna alla televisione, con Sabato, domenica e lunedì, tratto dall’omonima commedia di Eduardo De Filippo. Il film è andato in onda su Canale 5 in due puntate e solo successivamente è stata realizzata una versione cinematografica.
Una coppia vive insieme da trent’anni ed è apparentemente felice. Ci sono tre figli già grandi, il padre di lei, una zia e il fidanzato della figlia. Qualcosa s’incrina nel loro rapporto per colpa di un ragù e per la pesante maleducazione del marito nei confronti di un professore un po’ troppo gentile con la moglie.
“La camicia te la preparo io perché la devo toccare solo io”.
È questa una delle battute di Rosa Priori, interpretata da una magistrale Sophia Loren, la quale non si limita a recitare, piuttosto si coinvolge e coinvolge il pubblico con gli stati d’animo del suo personaggio.
Ma in Sabato, domenica e lunedì ci sono tanti altri talentuosi attori. Il primo è senza dubbio Luca De Filippo, nei panni dello scorbutico e appassionato don Peppino Priori, ruolo creato e interpretato anni prima a teatro dal padre Eduardo.
E poi, Pupella Maggio, Luciano De Crescenzo, Nuccia Fumo e Alessandra Mussolini. Per quest’ultima sicuramente la sua migliore interpretazione.
Io speriamo che me la cavo
Nel 1992, Lina Wertmuller realizza Io speriamo che me la cavo, con Paolo Villaggio. Il film è tratto dall’omonimo libro di Marcello D’Orta.
Marco Tulio Sperelli, un maestro ligure, per errore viene trasferito in una scuola elementare nel napoletano. Qui deve affrontare varie problematiche a lui sconosciute: genitori assenti e bambini lasciati a loro stessi.
Lina Wertmuller non abbandona il suo registro grottesco e ironico per rappresentare problemi molto spinosi.
Come ricorda Alessandra Farro su Il mattino, Io speriamo che me la cavo è un cult degli anni Novanta. I bambini protagonisti del film sono indimenticabili, come Vincenzino che porta i caffè al bar, Totò con la sua poesia sporca e Tommasina che vende l’aglio al mercato.
Lina Wertmuller con questo film ha offerto una grande opportunità a quei ragazzi che non vivevano una vita facile. L’articolo di Alessandra Farro informa che il regista e sceneggiatore Giuseppe Marco Albano sta lavorando a un documentario dal titolo Noi ce la siamo cavata, che mostrerà i protagonisti del film dopo più di trent’anni.
Il cast: Paolo Villaggio, Isa Danieli, Giorgio Morra, Sergio Solli, Paolo Bonacelli,
Ninfa plebea
Ninfa plebea (1996) è tratto dall’omonimo romanzo di Domenico Rea, vincitore del Premio Strega.
Il film è ambientato nei primi anni della seconda guerra mondiale, in un piccolo paesino alle porte di Napoli. Nunziata, madre di Miluzza, non resiste al richiamo del sesso. Ad ogni occasione, allontana il marito per ricevere i suoi amanti. Con una madre così il destino di Miluzza sembra segnato, tutti si prendono gioco di lei, persino il prete. Dopo l’8 settembre, la giovane sposa Pietro e durante la prima notte di nozze si scopre che Miluzza è illibata.
“La mia Miluzza è la Lolita in un presepio del sud”.
Con queste parole della regista il film viene presentato da Roberto Rombi su Repubblica.
Miluzza, come Lolita è poco più che una bambina che si affaccia ingenuamente alla femminilità.
Nel film s’intrecciano due mondi: il primo sanguigno, denso di carnalità e odori del sud; il secondo è quello favolistico, che trova le sue radici nella novella popolare.
La contrapposizione di questi due mondi opposti è già presente nel romanzo di Domenico Rea. Ma ciò che più interessa alla regista è il personaggio di Miluzza, descritta dallo scrittore come un’identità di purezza corruttibile. Una ragazzina sul punto di perdersi, ma che ha avuto il coraggio di salvarsi.
Il cast: Stefania Sandrelli, Raul Bova, Lucia Cara, Giuseppe De Rosa, Isa Danieli
Metalmeccanico e parrucchiera in un turbine di sesso e politica
Metalmeccanico e parrucchiera in un turbine di sesso e politica è un film del 1996, con Veronica Pivetti e Tulio Solenghi.
Un operaio di Rifondazione Comunista, sposato e senza lavoro, perde la testa per una bella parrucchiera, fanatica della Lega Nord di Umberto Bossi.
Il lungo titolo sembra richiamare in causa i capolavori degli anni ‘70 realizzati dalla regista, ma il risultato non è entusiasmante. Il film è una brutta copia de Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto. Ma la contrapposizione, lo scontro e infine l’incontro di due personaggi di estrazione sociale opposta non ha la stessa potenza.
Il turbine che travolge la parrucchiera e il metalmeccanico ha perso la magia, la poesia e il fascino che possedeva, quando investì il rude marinaio e la snob signora bionda.
Nel 1974, la regista offrì ai suoi personaggi una fuga dal mondo reale, ma questa viene negata ai protagonisti de Metalmeccanico e parrucchiera in un turbine di sesso e politica. Tutto ciò rende il film una sequela di tops tipici della regista, ma un po’ svuotati.
Il cast: Irene Pivetti, Tullio Solenghi, Gene Gnocchi, Piera Degli Esposti, Cinzia Leone.
Altri film
Non stuzzicare la zanzara (1967)
Tutto a posto niente in ordine (1974)
La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia (1978)
Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo come un brigante da strada (1983)
Sotto… sotto… strapazzato da anomala passione (1984)
Un complicato intrigo di donne, vicoli e delitti (1985)
Notte d’estate con profilo greco, occhi a mandorla e odore di basilico (1986)
In una notte di chiaro luna (1989)
Ferdinando e Carolina (1999)
Peperoni ripieni e pesci in faccia (2004)