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‘IT – Capitolo 2’ di Andrés Muschietti, su Netflix la parte “adulta” del romanzo di King

Su Netflix il film “It – Capitolo 2”, disponibile dal 19 Dicembre

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Dal 19 Dicembre 2021 è disponibile su Netflix  It – Capitolo 2 (2019), sequel del film horror del 2017, nuovamente per la regia di Andrés Muschietti e con un Bill Skarsgard dalla mimica facciale scatenata nei panni del malefico clown Pennywise. Fra gli interpreti della combriccola dei “Perdenti” – questa volta in versione adulta – i nomi più noti sono invece quelli di James McAvoy e Jessica Chastain.

Trasporre lo smisurato romanzo di King (ben 1216 pagine nell’ultima edizione italiana) non era sicuramente un compito facile, benché nel 1990 ci avesse già provato la miniserie diretta da Tommy Lee Wallace, con risultati ammirevoli ai tempi ma che non sono bastati per superare la prova del tempo. Muschietti invece, con il film del 2017, era riuscito più che discretamente nell’impresa. Purtroppo lo stesso non si può dire per questo secondo capitolo.

La trama di IT – Capitolo 2

Il Capitolo 2 riprende la storia ventisette anni dopo rispetto a dove l’avevamo lasciata. Ovvero quando i Perdenti, allora bambini, strinsero un patto che prevedeva di riunirsi a Derry per sconfiggere It nel caso questo fosse mai tornato. E quando nella cittadina la gente ricomincia a scomparire misteriosamente, Mike, l’unico rimasto ad abitarvi, richiama i suoi vecchi amici per portare a termine la missione. Questi – che hanno tutti, chi più chi meno, avuto un discreto successo nelle proprie vite – sembrano aver cancellato, a differenza di Mike, ogni ricordo legato alla mostruosa entità. Ancor prima di dover combattere l’incubo faccia a faccia dovranno quindi affrontare il proprio spaventoso e traumatico passato, recuperando ciò che fino ad allora era rimasto sommerso nel loro inconscio. In questo modo, l’unico rito apparentemente in grado di sconfiggere It potrà essere portato a termine.

Un meccanismo inceppato

La scelta di separare le diverse linee temporali che compongono l’opera di King in due film – nel primo le vicende dei Perdenti da bambini, nel secondo il loro ritorno a Derry ventisette anni dopo – si è rivelata in quest’ultimo caso tutt’altro che vincente. Rendere la parte adulta indipendente ne ha infatti portato alla luce l’incedere ripetitivo, che nel romanzo era mascherato dal fatto che il presente dei protagonisti adulti fosse alternato all’infanzia degli stessi. Non che questa trasposizione cinematografica non sia zeppa di flashback che ci mostrano i bambini già visti nel primo film, ma il problema è che essi non aggiungono o raccontano niente di più di quanto già sappiamo o ci serve sapere, diventando inutili intermezzi posti fra scene altrettanto superflue.

Sorvoliamo sulle transizioni utilizzate per passare dal presente al passato – veloci dissolvenze al bianco e altre diavolerie da serie TV di sottomarca – per parlare della lungaggine che trasuda da ogni poro della narrazione. Tale lungaggine non è dovuta solo all’abuso di flashback, posti lì esclusivamente per mettere in scena l’ennesimo spettacolino orrorifico, ma anche al continuo reiterarsi di situazioni ridondanti. Per esempio uno dei personaggi, inizialmente insicuro, prende coraggio e decide di restare ad affrontare It. Poi se la fa sotto e fa per andarsene finché uno degli altri non gli fa cambiare di nuovo idea. E questo è solo uno dei pattern che si ripete più e più volte durante tutto l’arco della narrazione.

Viene da chiedersi come abbia fatto lo sceneggiatore, Gary Dauberman, a trarre da un libro così denso una sceneggiatura tanto ripetitiva. Anche il presupposto del “rito” necessario a sconfiggere l’entità – che richiede a ogni componente del gruppo di ripescare dal proprio passato a Derry un oggetto significativo – contribuisce alla macchinosità di un meccanismo narrativo che impiega due terzi di film a mettersi in moto, per poi schizzare dritto verso un finale che, contro ogni aspettativa, anche dopo più di due ore passate davanti allo schermo, riesce a risultare comunque frettoloso e sbrigativo.

Un giro sulla giostra dei jump scare

Là dove il primo capitolo riusciva, se visto senza troppe pretese, a tenere incollati allo schermo grazie a un incedere della trama capace di alternare svolte narrative a momenti di puro spavento, questo secondo film si ritrova incastrato in un meccanismo tanto ripetitivo da diventare quasi snervante. E la durata esagerata (ben 169 minuti) non aiuta. Non che il primo film mettesse in scena un “tipo di spavento” particolarmente raffinato, questo va detto. L’utilizzo della paura “artificiale” innescata dall’uso continuo di jump scare – approccio da casa degli orrori dei luna-park tipico dell’horror di cassetta moderno – non era di certo contenuto, ma quantomeno era ben calibrato e il giro sulla giostra faceva arrivare lo spettatore soddisfatto alla fine del giro.

In questo secondo film invece la giostra non solo è troppo lunga, ma è mal progettata, alle volte avanza troppo veloce e altre decisamente troppo, troppo lenta. E talvolta sembra perfino incepparsi, permettendo al passeggero di sporgersi oltre la propria carrozza e vedere il manichino dietro la maschera del mostro (una delle svariate forme assunte da It) e tutti gli ingranaggi che lo muovono. Si arriva perfino al punto di riuscire a capire con precisione quando sopraggiungerà il prossimo spavento.

Già, perché per buona parte del secondo atto il film segue lo stesso schema ripetuto: uno dei personaggi arriva nel posto che gli scatena il ricordo, flashback spaventoso (o che almeno ci prova) che ci mostra il suddetto ricordo, poi ritorno al presente quindi ecco un’altra scena spaventosa in quello stesso posto. E così via.

Grottesco o involontariamente comico?

Anche nel capitolo del 2017 capitava di sorridere o perfino ridere – in genere grazie alle continue battute di Richie – mentre l’espressività, la parlata e le movenze grottesche di Pennywise contribuivano ad aumentarne l’aspetto inquietante. Ed è forse proprio perché avevano funzionato tanto bene la prima volta, che in questo caso si è deciso di premere così tanto l’acceleratore su questi aspetti. L’umorismo di It – capitolo 2 risulta quasi sempre inadeguato, fuori luogo, e soprattutto a volte è difficile capire se la risata sia un effetto ricercato dagli autori o meno.

In alcuni casi si tratta di battute totalmente fuori posto – ancora una volta provenienti quasi sempre da Richie, ora in versione adulta, ridotto a una macchietta monodimensionale come praticamente tutti i personaggi presenti – in altri è la messa in scena a lasciare perplessi. Se per un momento vi sembrerà di star guardando una scena slapstick-splatter in stile La casa, in quello immediatamente successivo vi ritroverete immersi in un’atmosfera d’orrore puro – o meglio, aspirante tale. E in quella dopo ancora vi troverete davanti il ralenti di un gruppo di bambini sorridenti e giocosi che pedalano fianco a fianco in bicicletta, col sole alle loro spalle e accompagnati da una musica nostalgica.

A intensificare l’effetto comico involontario c’è poi un overacting generale, esagerato da un montaggio che nei dialoghi sceglie di soffermarsi su piani d’ascolto, a volte brevissimi, in cui ci viene mostrato il volto dell’attore congelato in una qualche espressione esasperata. L’interpretazione di Bill Skarsgard nei panni di Pennywise resta comunque efficace, in quanto è il ruolo stesso a richiedere l’esasperazione della mimica.

Qualche buona trovata in IT – Capitolo 2

Per spiegare alcune scelte del film si può fare riferimento alla collana Piccoli brividi. La bellezza di questi libri stava nel creare singole situazioni orrifiche abbastanza vivide e coinvolgenti perché un bambino ci restasse incollato, senza però mai superare quel limite che l’avrebbe probabilmente portato a chiudere il libro e correre spaventato verso la camera dei genitori. Con i loro affascinanti disegni di copertina, con mostri e mostriciattoli di ogni genere, con quelle singole trovate capaci di fare da perno per un’intera storia, quei libricini hanno portato una generazione di bambini a provare fascino per l’orrore, ad essere attirati da nuove storie e ad immaginarne loro stessi.

La cosa che It – Capitolo 2 riesce a fare bene è attrarci, farci procedere, curiosi come bambini che vogliono sapere in quale nuova situazione spaventosa cascherà quel personaggio, desiderosi di vedere come sarà fatto il mostro che attende dopo il prossimo angolo. Riesce a intrattenerci con le sue scenette alle volte grottesche, alle volte spaventose, con le sue creature deformi (quasi caricaturali, a volte) tenute in vita da una CGI in alcuni casi inspiegabilmente scadente, grazie alle mostruosità che spuntano di colpo davanti allo schermo o alle spalle dei protagonisti prima di sommergerli con svariate tipologie di disgustoso liquame.

Un film da guardare in una di quelle serate in cui non si ha troppa voglia di tenere alta l’attenzione e considerando le singole scene come simpatici siparietti horror, ognuno a sé stante, senza dare troppa importanza al resto.

Il pop-horror per eccellenza

Se già il primo film rappresentava quanto di più mainstream ci potesse essere in un horror moderno – un’opera riuscita, ma anche molto family-friendly, diciamolo – e non a caso è, all’interno di questo genere, la pellicola ad aver incassato di più nella storia del cinema, con IT – Capitolo 2 è diventato il pop-horror per eccellenza. Esagerato, zeppo di jump scare, fin troppo colorato, con quel tocco di nostalgia anni ’80 in stile Stranger Things che sta sempre bene.

In conclusione, se avete particolare voglia di un horror senza troppe pretese o siete fan sfegatati del romanzo, It – capitolo 2 potrebbe fare al caso vostro, altrimenti restate pure fermi al primo film, decisamente meglio riuscito e tutto sommato autoconclusivo.

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