La Casa dell’Amore è il film di Luca Ferri presentato all’undicesima edizione di Divergenti, Festival Internazionale di Cinema Trans, “TRANS, E BASTA” al Cinema Lumière di Bologna e online su Docacasa.it, dal 2 al 4 dicembre 2021.
Il documentario è scritto dallo stesso Luca Ferri e vede la partecipazione di Bianca Dolce Miele e Natasha De Castro. Prodotto da Effendem Film, Lab 80 film, in collaborazione con ENECEfilm, Primaluce e Start, il film è distribuito da Lab 80 film.
Si tratta di un film che ci fa entrare in contatto con una figura piena di tenerezza, poche volte mostrata così esplicitamente sullo schermo.
La trama de La Casa dell’Amore
Il film racconta la storia di Bianca, transessuale di 39 anni, residente a Milano e con una compagna, Natasha, attualmente in Brasile. In attesa di incontrarla di nuovo, Bianca trascorre il suo tempo a casa con i suoi clienti: fa la prostituta.
La Casa dell’Amore è il racconto delle piccole abitudini e degli incontri a pagamento organizzati dalla protagonista a casa sua con clienti dalle più svariate e stravaganti esigenze. È il racconto di un piccolo mondo popolato da persone che si rivelano in tutta la loro nudità, non solo fisica, di fronte alla macchina da presa di Ferri.
Un ritratto genuino e per nulla artificiale di un mondo che può apparire a tutti eccezionalmente lontano dal proprio, per tanti motivi, ma che si rivela incredibilmente emozionante.
In La Casa dell’Amore tutto si svolge in una casa, appunto. Lì Bianca organizza la sua giornata a partire dalla pubblicazione degli annunci. Poi arriva il contatto telefonico con il cliente e la preparazione all’incontro. Il tutto culmina nell’incontro vero e proprio.
Un progressivo avvicinamento alla casa dell’amore
Interessante la struttura scelta per il documentario: le storie ci vengono presentate in una escalation di complessità che descrive bene il variegato mondo di persone con cui ha a che fare Bianca. Non si tratta solo di clienti, ma anche di amici: questi le riempiono la casa periodicamente e in queste occasioni si ride, si canta e ci si diverte. Ma un costante pensiero affolla la mente di Bianca: il desiderio di rivedere la sua compagna Natasha.
A fare da collante di tutte le storie che ci vengono presentate è la straordinaria figura di Bianca. Ci viene mostrata in tutti i suoi aspetti: la sua figura è trasparente, la possiamo osservare mentre mangia o si veste, la possiamo ascoltare mentre parla al telefono, o sentire profondamente quando, in tutto ciò che fa, lascia nello spettatore sempre la sensazione di aver vissuto una grande esperienza di vita. Solo la sua voce e il suo modo di parlare sono catalizzatrici di una moltitudine di sensazioni, dalle più superficiali a quelle più radicate, come uno dei personaggi con cui ha a che fare le rivela.
La regia in La Casa dell’Amore
Luca Ferri ci mostra questa casa dell’amore in modo assolutamente discreto, consapevole di essere entrato nell’intimità di un mondo sacro. Questo elemento del sacro, inteso nel senso etimologico di ‘separato’ dall’ordinario, insieme al rito, è costantemente presente dentro il film. Già dalla prima scena ne sentiamo parlare, quando si citano le meretrici nei Vangeli. La sequenza iniziale ci svela il personaggio di Bianca gradualmente: all’inizio non la vediamo neppure, poi ne vediamo alcune parti del corpo e infine scopriamo il suo volto. Sempre in una delle prime scene, in particolare al primo cliente incontrato, il disvelamento progressivo, che è disvelamento di tutto un mondo, è mostrato attraverso l’atto di spogliarsi del cliente stesso: a poco a poco vediamo affiorare un livello che sta sotto la superficie, attraverso il mostrare l’abbigliamento fatto di calze a rete e baby doll nascosti sotto gli abiti “ufficiali” con i quali si frequenta il mondo di fuori.
“Bianca ma quando sei diventata così…Bianca?”
Una nuova estetica
Questa estetica della discrezione è esplicitata nella scelta di non avere musica. Tutto ciò che si sente proviene dall’ambiente e i suoni sono solo diegetici. Anche l’immagine è testimonianza di questo approccio alla specifica storia: a un certo punto vediamo Bianca nella sua camera, poi questa spegne la luce e lo schermo si fa nero. L’unica cosa che si riesce a vedere, dopo qualche istante, quasi a riprodurre l’effetto sugli occhi del buio improvviso che richiede una certa abitudine per riuscire a guardare di nuovo, è il display del cellulare che si illumina.
Luca Ferri non evita del tutto qualche incursione più vicina al mondo di Bianca. Lo fa quando mostra, in uno degli incontri, l’intreccio dei corpi nudi, quasi astratto e di valore scultoreo (lei è figlia d’arte, di uno scultore), illuminati da una particolare luce verde. Anche qui si tratta di un avvicinamento progressivo, però educato e non invadente: il primo incontro ci viene lasciato fuori campo, solo più avanti ci viene fatto vedere più da vicino.
Le inquadrature sono per lo più fisse. Solo raramente sono concessi movimenti o persino zoom e spesso per assecondare i protagonisti in scena.