Il 2021 che sta finendo e che sarà ricordato come il secondo anno di pandemia, è stato il settantesimo anniversario di Miracolo a Milano. Una carezza al cuore questo film: se pure dimostra tutti gli anni che si porta addosso, è decisamente ancora attuale.
Miracolo a Milano: una storia di sentimenti buoni
Possiamo consigliarvi di recuperarlo su Youtube in una versione molto buona per la parte video, meno per il sonoro. Alcune battute in milanese poi non sono comprensibili ai più, ma il senso della narrazione non va perduto. Pochi i dialoghi, del resto, e potente l’uso delle immagini.
Una storia di buoni sentimenti, ma soprattutto di sentimenti buoni, gli stessi che nel 2020 abbiamo nutrito all’inizio della diffusione del virus: sarebbe andata bene, e saremmo anche diventati migliori.
Ci abbiamo creduto, per un po’, prima che queste affermazioni si facessero retorica, ostinazione di chi non voleva arrendersi, ancoraggio a una realtà che avremmo voluto molto più solidale di così.
Miracolo a Milano: la trama per i più giovani che non lo conoscono
Il piccolo Totò viene trovato nudo, sotto un cavolo, dall’anziana, giuliva, Lolotta (Emma Gramatica), che lo tiene come un figlio. Lolotta però muore e per il bambino, verso gli otto anni, si aprono le porte dell’orfanotrofio. Quando ne esce, è un giovane adulto che ha mantenuto l’incrollabile ottimismo ereditato dalla madre adottiva, quella serenità d’animo da cui sarà accompagnato in tutte le vicende del film e nelle sue relazioni. Insieme agli altri barboni, Totò (Francesco Golisano) costruisce una sorta di bidonville milanese e diventa leader della comunità raccogliticcia che, con metodi sempre pacifici, difende dalle angherie dei prepotenti. Incontra anche l’amore, nella figura di Edvige (Brunella Bovo).
Il piccolo Totò e Lolotta (Emma Gramatica)
Miracolo a Milano I poveri disturbano
Miracolo a Milano nel 1951 fu accusato di buonismo, di consolazione facile, da parte della sinistra italiana di allora, mentre la destra lo bistrattava per l’intento rivoluzionario; che dire di quel volo sulle scope verso Oriente! Non poteva che indicare la direzione del Sol dell’Avvenire di tanta propaganda comunista!
La Democrazia Cristiana lo ripudiava anche per lo spettacolo sconveniente degli straccioni. I poveri disturbano, infatti, doveva essere in origine il titolo provocatorio del film. A dispetto dei panni sporchi che si devono lavare in famiglia, come disse Andreotti a proposito di Umberto D., Miracolo a Milano vinse la palma d’oro a Cannes (un film che uscendo dalla sala ci fa sentire migliori, dissero i giornali francesi) e il premio come migliore scenografia ai Nastri d’Argento.
La scena finale, il volo sulle scope, di Miracolo a Milano
Miracolo a Milano le location e la nebbia tanto cara a Za
La baraccopoli del film fu costruita a Lambrate, allora estrema periferia di Milano, ora cuore di manifestazioni culturali: il Fuorisalone, Milano Design Week, locali alla moda, murales artistici, mostre e installazioni. Allora, il nulla avvolto nella nebbia, che tanto piaceva a Zavattini, convinto sceneggiatore del film e autore, dieci anni prima, del romanzo Totò il buono.
Persino il buongiorno di Totò è intriso di nebbia (V.Fortichiari)
Ricorda Valentina Fortichiari, sua collaboratrice e biografa, che per Cesare Zavattini la nebbia era “Un po’ fredda ma molto bella”. L’indomani, appena arrivato al Nord, aveva la polmonite e 40 di febbre, costretto a letto per otto giorni!
Quindici anni dopo Celentano cantava Il ragazzo della via Gluck per denunciare che là dove c’era l’erba ora c’è una città. Incredibili le trasformazioni del territorio milanese! Sono continuate dopo gli anni del boom economico in questa città che è sempre un cantiere a cielo aperto e che ama adattarsi, modificarsi, accogliere. A Milano (quanto diversa, ora!), non c’è più nemmeno la nebbia di una volta. Rivedere il film oggi intenerisce anche per questo.
La magia dalla parte dei buoni
Location avvolte nella nebbia, ma anche nel realismo magico, di cui De Sica e Zavattini sono stati perfetti anticipatori. Tanto che Gabriel Garcia Marquez, che si è fatto addirittura seppellire con il basco regalatogli da Za, ha detto che Cent’anni di solitudine non sarebbe esistito se non avesse visto Miracolo a Milano.
C’era una volta: il film inizia così, a suggerire subito l’atmosfera da favola; come in una favola, la bontà viene premiata, la cattiveria giustamente punita. E l’egoista, altezzoso invidioso mentecatto che vuole sentirsi superiore (Paolo Stoppa), insieme alle guardie che vorrebbero sfrattare i poveri, finisce nel dileggio collettivo, mentre noi, con gli amici di Totò, ridiamo di gusto.
Magia e miracoli aiutano le persone di buon cuore: la colomba realizza tutti i desideri, il petrolio sgorga improvvisamente dal terreno, la statua prende vita, le scope volano verso un paese in cui buongiorno vuol dire veramente buongiorno.
Uno dei miracoli nella baraccopoli: la statua diventa viva
Con De Sica e Zavattini andiamo a scuola di empatia
Di Miracolo a Milano, ciascuno possiede le proprie scene (ognuna una piccola operetta morale), quelle che la memoria ha voluto trattenere. Tra le prime, la sequenza del fiume di latte, per esempio. Lolotta torna a casa e coglie Totò, bambino orami cresciuto, mentre guarda rapito il latte che dalla pentola scende sul pavimento fino a formare una scia bianca. Lo sgrida? Niente affatto. Prende dalla borsa casette e alberelli, li pone ai lati di questo fiume, si mette a saltellare contenta, invitando Totò a fare altrettanto.
Nessuna sorpresa se poi comparirà dal cielo per aiutare Totò adulto con la colomba magica! Il bianco del latte, il bianco della colomba, a significare l’innocenza verso cui tende tutta la narrazione. Nessuna sorpresa se il figlio ha maturato, grazie alla base sicura di cui parla la psicologia, fiducia entusiasmo e la dote straordinaria dell’empatia.
“Nel bambino la fame dell’amore e della presenza materna è non meno grande della fame di cibo”: diceva John Bowlby. Era il 1951. Strana coincidenza: lo stesso anno di Miracolo a Milano. E ancora, sempre da Bowlby:
“Il bambino si costruisce un modello interno di se stesso in base a come ci si è preso cura di lui”.
La scena de buongiorno
Seconda scena che testimonia l’equilibrio interiore di Totò: quando esce dall’orfanotrofio, dice buongiorno a tutte le persone che incontra. Il milanese frettoloso, che non concepisce l’amabilità gratuita, risponde: “A chi l’a di’ buongiorno”. E brontolando lo definisce bamba, cioè ingenuo, stupido. Non è affatto un bamba, Totò: è mite, gentile, disponibile, affettuoso. Altruista e capace di rispecchiarsi nell’altro.
Totò saluta i milanesi che incontra all’uscita dell’orfanotrofio
Bamba si chiama anche la città immaginaria di Totò il buono di Zavattini. In Miracolo a Milano la città si fa reale, carica di vita, pur nella miseria dei mendicanti. Anzi, proprio per questo contrasto, ancora più palpitante.
Tutto cambia nel giro di pochi anni
Il film di De Sica non ha perso neanche un grammo della sua poesia, dell’incanto negli occhi del protagonista e degli spettatori. Nel giro di un decennio, ahinoi, quel sogno è destinato a sbriciolarsi nelle location milanesi emotivamente tetre, e tristi, molto più delle baracche di Totò.
Rocco e i suoi fratelli (Luchino Visconti -1960): la Stazione Centrale (approdo di tutti gli immigrati), le case popolari, la palestra sotterranea dell’attuale circolo Bellezza, le periferie che ricalcano quelle descritte da Giovanni Testori ne Il ponte della Ghisolfa da cui il film è tratto liberamente. Gli spazi desolati della speranza di una vita migliore al Nord. Recuparabile su RarPlay.
La notte (Michelangelo Antonioni – 1961): lo squallore di Sesto San Giovanni e il contrasto con interni ed esterni borghesi, il palazzo Pirelli, il centro della città, l’industria. A rendere noia, alienazione, incomunicabilità. Versione integrale su Youtube.
La vita agra (Carlo Lizzani – 1964): ancora il Pirellone, i giardini pubblici, la torre Velasca, il bar Jamaica, una Milano composita, dalla periferia al centro, con tanta gente che lavora con tanta gente che produce, canterà Giorgio Gaber. Ma non c’è entusiasmo, qui, se mai la volontà nevrotica di affermarsi. Su Youtube, qualche reperto Rai.
Tre racconti emblematici della difficoltà d’integrazione (sociale, esistenziale, intellettuale). Con i film polizieschi degli anni a venire le strade della città si fanno teatro di forsennati inseguimenti: Banditi a Milano, Milano Calibro 9, Milano trema: la polizia vuole giustizia o Milano odia: la polizia non può sparare. Nessun commento, invece, sulla Milanodabere movies degli anni Ottanta.
La poesia di Miracolo a Milano e il suo candore
Quanta malizia abbiamo accumulato nel tempo! E quanta genuinità si è perduta! Eppure, Miracolo a Milano emoziona ancora. Alcuni elementi fanno sorridere, come la canzoncina: ci basta una capanna/per vivere e dormir!Chiediamo un paio di scarpe/E anche un po’ di pan/A queste condizioni/Crederemo nel doman. Ma il ritornello risuona per giorni dopo la visione.
La baraccopoli di Miracolo a Milano
E se il sottotitolo di Totò il buono era Un romanzo per ragazzi che anche gli adulti possono leggere, sicuramente Miracolo a Milano è un film per adulti che i ragazzi dovrebbero vedere. Andrebbe proposto nelle scuole, a qualunque età, o in famiglia. Perché no, in queste vacanze di Natale, per rinnovare poesia e candore di un film che mantiene intatta nel tempo la sua meraviglia.
Diceva sempre Garcia Marquez che il neorealismo è stato il cinema con meno risorse e il più umano che sia mai stato fatto. Non possiamo che dargli ragione.