“Archipelago“, Il film del canadese Félix Dufour-Laperrière presentato al Future Film Festival, sperimenta diversi linguaggi per affrescare l’identità del Canada francofono.
Immaginifico itinerario nell’identità più profonda di un popolo. Geografia fisica che si trasforma in animazione. Leggiadra danza tra mockumentary e cinema sperimentale.
Tanti modi potrebbero esserci per approcciare la fluida, magmatica narrazione di Archipelago. Fatto sta che l’originale opera di Félix Dufour-Laperrière è una riprova di quanto sia vitale il cinema realizzato negli ultimi anni in Québec.
Ne abbiamo avuto un assaggio anche da noi grazie alle Giornate del Cinema Quebecchese in Italia, giunte in grande spolvero alla diciottesima edizione. Un’edizione, quella del 2021, foriera di straordinarie scoperte cinefile. Su tutte il destabilizzante Le rire di Martin Laroche e l’intenso biopic dedicato da Yan Giroux al poeta quebecchese Yves Boisvert, ovvero A tous ceux qui ne me lisent pas.
Il Canada in Emilia
Sempre in tema di appuntamenti festivalieri, il redivivo Future Film Festival (da festeggiare qui vi è addirittura la XXI edizione, ripartita per la prima volta in condominio tra Modena e Bologna) ci ha consentito di scoprire Archipelago. Ed è stato un vero e proprio colpo di fulmine.
Del resto il tradizionale obiettivo della kermesse bolognese, fino alla brusca interruzione di qualche anno fa, è sempre stato monitorare determinate frontiere dell’immaginario cinematografico, di cui l’animazione e altre particolari tecniche cinematografiche sono parte integrante. Ebbene, proprio nel lavoro di Félix Dufour-Laperrière, una dozzina di tecniche e stili diversi si alternano sullo schermo, venendo a puntellare una poetica di notevole spessore, sia in quanto a ricerca formale che per le profonde implicazioni culturali. Poiché in fondo è l’anima stessa di una parte così presente e attiva della società nordamericana, quella che vive in Canada, avendo il francese quale prima lingua, a essere esplorata.
Navigando sul fiume San Lorenzo
Si è soliti dire, ed è Storia, che le grandi civiltà sono nate e hanno cominciato a svilupparsi nelle vicinanze dei fiumi. I popoli della Mesopotamia. L’Egitto. Roma, naturalmente. Spesso anche le colonizzazioni di terre lontane hanno finito per muoversi lungo certi corsi d’acqua. In Archipelago l’autore si avvale di due voci narranti, una femminile e una maschile (Florence Blain Mbaye e Mattis Savard-Verhoeven gli attori prescelti), per costruire un dialogo esistenziale sulle immagini del loro viaggio (in parte reale e in parte onirico) lungo il fiume San Lorenzo.
L’ossatura della complessa architettura filmica è costituita da spezzoni di un documentario, Les îles du Saint-Laurent, datato 1941 e realizzato percorrendo l’importante corso d’acqua dall’interno del paese fino alla foce. Geografia fisica che sconfina nell’antropologia spiccia, allorché si susseguono scene di vita rurale, riflessi di fermenti culturali presenti a Montréal o nei maggiori centri abitati, elegiache riprese degli isolotti e delle anse del fiume, panorami mozzafiato come quelli delle pareti rocciose con le fitte colonie di uccelli marini sui “faraglioni” dell’estuario.
Ma questa avventura “alla Huckleberry Finn” non è vero documentario, semmai mockumentary intriso di modalità da cinema sperimentale, quali possono essere alcune raffinate tecniche di animazione, arditi collage, frammenti di video-arte, estratti di poesie (raccolta davvero splendida, Bâtons à message – Tshissinuatshitakana di Joséphine Bacon) e altre emblematiche scritte in sovrimpressione. Producendo così esiti di un certo lirismo, talvolta stralunato al pari dell’inquadratura con un paesaggio sullo sfondo e alcune figure sospese in aria, scena da ammirare come se ci si trovasse in una tela di Magritte.