Cosmos 1996.
“Le Technetium” . Opera d’esordio. Da questo episodio in bianco e nero si capisce la stoffa di un grande film-maker, già corredato da una elegante fotografia e da idee mai banali.
Montreal, Canada, 1996
Stranamente la penso uguale al protagonista di questo inizio di Cosmos che già segna le orme, che poi diventeranno calcate, di un grande regista, di un grande gusto, di grandi idee: Denis Villeneuve.
Atmosfera fumosa. Bar interno. Bianco e nero. Beve un caffè. Scrive. Si alimenta. Beve un altro caffè. Scrive. Nervoso. Lo ingurgita. Senza gustarlo. Sembra me quando scrivo degli articoli al mattino, conscia che il caffè possa contenere la sostanza unica e irripetibile al mondo per farti scrivere da Dio.
Una dipendenza innanzitutto mentale, quella del protagonista di Villeneuve. Un giovane film maker viene preso in ostaggio dalla sua emotività che poi esonda e colpisce anche i suoi spettatori con cui creerà un fil rouge per sempre. Solo secondariamente in TV è rapito dalla folla isterica di un talk show e, a capirlo, sarà il tassista più intelligente e saggio del mondo: Cosmos, appunto, forse nome metaforico per dire che l’universo prima o poi ci sostiene tutti.
Ne “L’individuo” di Marie Julie Dallaire un serial killer, dall’aspetto insospettabile, si aggira per la città regalando fiori alle proprie vittime. Ne “Il lancio” di Manon Briand una coppia formata da Yannie e Joel girovagano per la città cercando di capire se è giusto o no sapere il risultato del test dell’Aids di Joel. Ne “Jules e Fanny” di André Turpin, Jules vuole vedere a tutti i costi il seno rifatto della sua ex. Ne “Aurora e crepuscolo” di Jennifer Alleyn Aurora, bidonata dal proprio ragazzo, conosce un uomo anziano che dice di chiamarsi Crepuscolo. Ne “Cosmos e l’agricoltura” di Arto Paragamian, Cosmos subisce il furto del suo amato taxi.
Montreal in bianco e nero vista da cinque punti diversi.
Film in cinque episodi diretti da altrettanti giovani registi canadesi con stili e ritmi diversi, ma fusi assieme. Tutti in bianco e nero. E gestiti dall’immigrato tassista greco Cosmos che li conduce dentro e fuori se stessi. Un’orgia di punti di vista, inquadrature sghembe, percorsi paralleli, itinerari alternativi di un gruppo di curiosi “sopravvissuti” che s’agitano per le strade di Montreal. Un moderno mosaico di scene tratte dalla giungla urbana che ci portano in contatto diretto con la natura umana. “Cosmos” è l’universo nel suo insieme, ma anche il nome del simpatico tassista filosofo di origine greca che fa da collante.
La potenza di questo racconto è l’essere frastagliato e olistico al tempo stesso. Tante teste. Tante sceneggiature, ma in enorme dialogo tra loro rendono la visione fluida, raccolta, idilliaca, grazie anche alla splendida fotografia, e a storie che, finalmente, hanno qualcosa da dire. I temi sono i più svariati: l’amicizia durante una probabile malattia, la vicinanza di due anime lontane d’età, ma vicine nel sentire, l’aiuto reciproco durante un furto. Il dialogo tra due ex.
Seppur interpretate in modi diversi, sempre da ottimi e credibili attori, le storie incarnano un’unica visione: quella del sapersi sostenere tra esseri umani nelle difficoltà, qualsiasi esse siano.
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