The Surrogate,opera prima di Jeremy Hersh, è un film indipendente prodotto da Jonathan Blitstein, Julie Christeas e Taylor Hess e distribuito per la prima volta dalla Monument Releasing il 12 giugno 2020.
La storia ruota attorno a tre persone sui trent’anni, che si trovano ad affrontare una situazione spinosa.
Jess (Jasmine Batchelor) è una web designer per un’organizzazione no-profit. Non si sente pronta a metter su famiglia, malgrado ci sia un uomo con cui si vede occasionalmente che pare tenere molto a lei. La relazione più forte di Jess è quella con il migliore amico Josh (Chris Perfetti), che conosce dai tempi del college, e col marito di lui, Aaron (Sullivan Jones).
Jess si presta a fare da “madre surrogata” per la coppia, che le assicura di coprire qualsiasi spesa medica. A seguito di un test prenatale, il trio viene a sapere che il feto ha una probabilità del 99% di avere la sindrome di Down.
Improvvisamente, i due uomini non sono più così convinti di avere il bambino, mentre Jess inizia a informarsi e s’interroga sulla possibilità di proseguire la gravidanza per conto proprio.
The Surrogate e discriminazione
Jeremy Hersh, regista e sceneggiatore, racconta le sfaccettature dei vari personaggi attraverso una sottile attenzione per le enormi problematiche collaterali di cui ciascuno è investito.
Il dilemma della storia non si riduce a una decisione da prendere, ma passa attraverso i conflitti di classe, di genere, di sessualità e, addirittura, di “razza”: Jess è una donna, Jess e Aaron sono neri, Aaron e Josh sono omosessuali e coppia mista.
In più occasioni, il film si premura di richiamare l’attenzione su tradizionali stereotipi da abbattere. Così accade, per esempio, quando Jess racconta alla madre che sta considerando l’ipotesi di tenere il bambino, gettando all’aria istruzione e carriera, e confermando lo stigma della donna nera, single, con un figlio a carico. Lo stesso vale per Josh che, di fronte alla richiesta insistente di Jess di ripensare alla possibilità di tenere il bambino, lamenta di essere stanco di doversi accontentare sempre delle “briciole”. Jess lo comprende e si rende conto che il bambino non sarebbe “perfetto”, ma la situazione degenera non appena Josh rettifica con la parola “normale”.
In questo senso, discriminare giustifica la distanza nei confronti di qualcosa di divergente. Queste tensioni si radicano all’interno di persone con i loro difetti, le loro preoccupazioni, i loro demoni.
The Surrogate e disabilità
Il nucleo fondamentale del film è il tema della disabilità, seppur declinato in maniera trasversale.
Matteo Schianchi, ricercatore all’Università di Milano-Bicocca e responsabile della Mediateca LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità) ovvero della componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per la disabilità), ha spiegato: “La scelta di proporre questo film nasce dalla volontà di collocare la disabilità in una prospettiva più ampia rispetto a quella a cui siamo abituati e farla uscire da una dimensione ‘specialistica’ a cui spesso viene relegata. La disabilità, invece, è un tema trasversale che attraversa la società a diversi livelli. Per questo ci sembrava interessante proporre agli spettatori un film che inserisce la disabilità all’interno di un altro tema, quello della gestazione per altri, che in questi ultimi anni ha trovato molto spazio nel dibattito pubblico”.
Il percorso a ritroso
Fin da subito, Jess si pone come paladina di ogni battaglia: pensa di partorire e prendersi cura del bambino, ingaggia una lotta con la coppia di amici e si batte per la giustizia sociale. Jess è un’eroina, ma gli ostacoli che incontra sulla sua strada ne spezzano l’entusiasmo.
Dapprima, è pronta a difendere il valore del figlio che porta in grembo, a rivendicare la sua uguaglianza rispetto a qualsiasi altro bambino, a prendersi una pausa dal lavoro per accudirlo, a confrontarsi con le famiglie che hanno più esperienza di lei con la questione.
Eppure, non appena ricorda che il figlio è biologicamente anche di Josh, tutto crolla. Jess non vuole avere più a che fare con il ragazzo, non sopporta l’idea di avere un legame che la vincoli a lui. Da qui, la sua indecisione sparisce e tutto si risolve: andrà ad abortire.
La regia
Il perno fondamentale del racconto è il dialogo, efficace o meno. Si potrebbe quasi dire che The Surrogate sia una pièce teatrale, in cui i personaggi collidono fra loro a suon di ottimi discorsi ben argomentati. Si configura così uno scontro non solo ideologico, ma politico, culturale, e umano. È una storia avvincente e molto ben recitata, che costituisce una sorta di “teatro virtuale”.
Da ciò discende anche l’immensa naturalezza dei rapporti fra i personaggi. La macchina da presa si fonde con lo spettatore, lo proietta nella storia come parte integrante della stessa, gli consente di muoversi nel microcosmo di Jess e dei suoi amici. Le inquadrature sono frenetiche, nette, dinamiche, quasi un reportage immediato.
Sicuramente interessante è la scelta di tripartire il film con un semplice elemento visivo, ovvero lo stacco su nero. Questo meccanismo compare due volte, a sancire la separazione dei tre momenti cruciali: 1) l’inizio di pochi minuti, in cui allo spettatore viene presentata Jess, 2) il corpo del racconto, con la definizione dei temi e le conseguenti complicazioni che ne derivano, 3) la breve immagine di chiusura, in cui Jess pare essersi lasciata tutto alle spalle e aver “ceduto” a una vita più serena e “normale”.
Trailer
The Surrogate
Anno: 2020
Durata: 93'
Distribuzione: Monument Releasing
Genere: Drammatico, indipendente
Nazionalita: USA
Regia: Jeremy Hersh
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