Dopo essere stato un successo di pubblico in patria, grazie a Le Stanze di Rol arriva anche al Torino Film Festival l’ultimo film del prematuramente scomparso Benny Chan, regista di punta del cinema di Hong Kong. Un trionfo adrenalinico di azione dall’anima noir che ripropone quel grande cinema aggiornandolo ai nostri tempi.
Raging Fire: trama
Cheung Sung-bong (Donnie Yen) è un poliziotto pluridecorato e dalla condotta irreprensibile. Questo gli ha procurato più di un nemico, dentro e fuori la polizia. Quando scopre che forse dietro a una nuova serie di efferati crimini c’è l’ex collega e amico Yau Kong-ngo (Nicholas Tse) dovrà fare i conti con le conseguenze del suo codice morale.
Made in Hong Kong
Il senso del dovere, la morale, la lealtà, l’amicizia. Non poteva che aprirsi e chiudersi su questi punti cardine il cinema di Benny Chan, uno dei nomi di punta della tradizione cinematografica hongkonghese che fu. L’ultimo film del regista, prematuramente scomparso dopo la lavorazione, è infatti la summa del cinema suo e dei suoi colleghi, John Woo in primis (ma anche Johnnie To, Ringo Lam e molti altri). Al centro della vicenda lo scontro archetipico tra l’incorruttibile Cheung Sung-bong di Donnie Yen e la sua nemesi perfetta, il Yau Kong-ngo di Nicholas Tse, suo ex amico e collega ora passato dall’altra parte della barricata.
Guardie e ladri
È in fondo tutta qui la forza di Raging Fire. Una storia di vendetta diretta e potente che fa delle scene di azione il suo centro nevralgico ed emotivo. Tra sparatorie, esplosioni, inseguimenti d’auto e arti marziali va così in scena un film di guardie e ladri che frulla in sé la lezione del passato ma non trascura nemmeno quella dei grandi d’Oltreoceano (Heat di Michael Mann, citato esplicitamente). Il risultato è un action dall’anima noir che per 126 minuti non perde mai di vista l’obiettivo, forte di un comparto tecnico superlativo e di interpreti sempre all’altezza, dalla super star Donnie Yen, poliziotto granitico e tutto d’un pezzo, al suo rivale Nicholas Tse, diabolico, astuto e tragicamente disilluso.
Sinfonia di una città
Ma è la città, in Raging Fire, a tornare davvero protagonista come non si vedeva da anni. Qui Hong Kong non è più sullo sfondo, infatti, ma è viva e pulsante come dovrebbe essere. Teatro di quello scontro violento tra forze elementari che regolano destini, vita e morte. Ma anche unico scenario possibile per il testamento perfetto di un regista che firma il suo atto d’amore definitivo a un cinema che si credeva finito ma vive ancora.