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Torino Film Festival

‘Le bruit des moteurs’ di Philippe Grégoire in concorso al Torino Film Festival

Il regista canadese Philippe Grégoire al debutto nel lungometraggio con Le bruit des moteurs racconta una storia tra il biografico, il politico e il grottesco piena di ambizioni immature. Presentato in concorso al 39° Torino Film Festival

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Presentato in concorso al 39esimo Torino Film Festival (qui il sito della manifestazione) il giovane regista canadese Philippe Grégoire con Le bruit des moteurs racconta una storia tra il biografico, il politico e il surreale sconclusionata e ambiziosa.

Le bruit des moteurs: Trama

Alexandre (Robert Naylor) è un doganiere canadese e insegna all’uso delle armi i colleghi. Un’allieva ha un malore durante un rapporto sessuale con lui e, per questo motivo, la direttrice lo accusa di comportamenti inappropriati e lo sospende dal servizio. Il giovane allora si rifugia dalla madre, che gestisce una pista da corsa privata, al suo villaggio natio nel Québec a pochi chilometri da Montréal. Poco dopo il suo arrivo alcuni disegni osceni appaiono all’entrata della chiesa e la polizia locale lo accusa di esserne il responsabile.

Tra denuncia politica ed esperienze autobiografiche

Al contrario degli Stati Uniti, in Canada vige una legislazione molto stringente per quanto riguarda l’utilizzo delle armi da fuoco. Pur avendo avuto anche loro stragi eclatanti come quella avvenuta nel 1989 al Politecnico di Montréal e ben raccontata da Denis Villeneuve nel suo Polytechnique, i canadesi sono generalmente ostili alla loro ostentazione e utilizzo indiscriminato come amano applicarsi i cugini statunitensi. Ma dopo l’11 settembre e l’attacco alle Torri Gemelle a New York, il governo conservatore canadese dell’epoca emanò una direttiva che imponeva il possesso della pistola ai doganieri fino a quel momento disarmati.

Le bruit des moteurs di Philippe Grégoire parte da un’esperienza personale: anche lui quando studiava cinema all’università lavorava part time alla Dogana per pagarsi i corsi (come molti suoi colleghi, del resto) e ha vissuto in prima persona il dibattito scaturito nell’uso delle armi all’interno del Corpo. Così come la descrizione del villaggio ameno e bigotto, i ricordi familiari, la vita in campagna sono gran parte frutto della biografia del regista. Il tema portante, quindi, dell’opera prima del giovane regista canadese è una critica feroce nei confronti di un governo che utilizza la forza bruta per il controllo dei cittadini sfruttando la paura di comunità che si rinchiude in se stessa, ostile al diverso, all’alieno inteso come non facente parte del gruppo sociale di appartenenza.

È quello che succede ad Alexandre quando ritorna al suo paese natio. Dopo due anni di lontananza è visto come uno straniero, una persona non gradita e per questo accusato di destabilizzare la tranquillità della comunità. Il fattore sessuale scatenante la persecuzione, in realtà, è solo poco più di un pretesto per dare una motivazione all’isolamento del protagonista. Non c’è uno sviluppo di questo aspetto trattato in modo grottesco fin dall’incipit con Alexandre che entra nella camera dell’allieva in accademia mentre questa sta stirando e con il casco in testa per un esercizio. In realtà, l’atto sessuale, i disegni osceni, le perversioni non si vedono, ma sono narrate dai personaggi in scene che vorrebbero essere surreali ma che il più delle volte rasentano il ridicolo.

Simboli dell’alienazione e Teatro dell’assurdo

Tutto Le bruit des moteurs si fonda su uno stile in cui il simbolico si alterna a dialoghi che sono debitori del Teatro dell’assurdo. L’incontro con la pilota islandese in trasferta Aðalbjörg (Tanja Björk) nascosta da un casco totale sul bus di linea, le inquadrature in totale di differenti auto in derapata all’inizio del film, la trasferta in terra islandese nel finale, le immagini in cui Alexandre subisce le violenze da parte dei poliziotti rientrano in un tentativo di creare un tessuto di simboli della violenza subita da parte della società urbana e dall’alienazione subita e vissuta che però sfuggono di mano a Grégoire con l’effetto di apparire in quel punto della storia più come riempitivo dal vago sapore intellettualistico al contrario di una necessaria esigenza drammaturgica o cinematografica. Così come i dialoghi con la direttrice dell’Accademia, quelli con i poliziotti e soprattutto con Aðalbjörg rientrano nella casistica teatrale di cui abbiamo detto. Ma se il Teatro dell’assurdo rappresenta il ridicolo che tracima nel grottesco, Grégoire compie l’azione contraria con la stessa intenzione ma costruendo sequenze e dialoghi che partono dal grottesco e finiscono nel ridicolo.

Le bruit de moteurs è un piccolo film con un budget risicato (è costato poco più di centotrentamila euro), con un cast e una troupe ridotta all’osso. E spesso l’essenzialità dei mezzi a disposizione di un regista scatenano soluzioni originali, semplici, appassionanti. In questo caso invece la povertà si traduce in pochezza di contenuto e di messa in scena, il tutto zoppicante su un intellettualismo un po’ fine a se stesso, ombelicale, diremmo legato al divertimento della distruzione del corpo di Alexandre pieno di lividi e ferite. Ma tutto forzato, espressione di una manualistica cinematografica, più che liminare, fuori tempo.

Le bruit des moteurs

  • Anno: 2021
  • Durata: 79
  • Genere: drammatico, grottesco
  • Nazionalita: Canada
  • Regia: Philippe Grégoire

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