In Bergman Island, una coppia di cineasti in cerca di ispirazione sbarca sull’isola svedese di Fårö. È l’isola cara a Ingmar Bergman e consorte, luogo di residenza, ambientazione di alcune sue pellicole, rifugio intimo. Ora è divenuta una sorta di parco tematico votato alla sua memoria.
Questo il sunto scarno di Bergman Island, diretto dalla francese Mia Hansen-Love. Già in concorso a Cannes , è stato ospite al TFF 2021 nella sezione Surprise.
È un bizzarro accostamento il cinema dei due registi. Quello del maestro scandinavo – ripercorso a tratti attraverso citazioni, memorabilia e suggestioni – affonda in una visione crudele e angosciosa del vivere. La scrittura della cineasta francese percorre leggera i paesaggi insulari in cui a tratti si palesano guizzi di creatività.
I protagonisti primari di Bergman Island, una coppia di professionisti del cinema e legati nella vita privata da una figlia, una volta approdati a Fårö superano velocemente lo stupore iniziale. Dapprima stregati dalla bellezza della natura e ammaliati dall’eco di Bergman, prendono le distanze l’uno dall’altro. Abitano separati, si muovono spesso in maniera autonoma fra gli splendidi scorci dell’isola e sperimentano uno scollamento progressivo rispetto alla loro intimità.
Non si tratta di squarci netti, rotture drastiche, voragini bergmaniane. Ma tra i due serpeggia a tratti un fastidio, a volte insofferenza o semplicemente una routine che smette di destare meraviglia. Tony (Tim Roth) in aggiunta è produttivo, scrive, disegna. Chris (Vicky Krieps) è in perenne ricerca di inchiostro, langue, spesso inascoltata e sopraffatta dal successo del compagno di cui spia gli scritti e stenta talvolta a riconoscere.
E allora si cerca conforto nell’arte che si sostituisce alla realtà e prende il sopravvento nella seconda parte della pellicola, quasi interamente concentrata sul lavoro di Chris, che finalmente prenderà forma, si fonderà con la sua stessa vita, istigherà tentazioni, seminerà rimpianti e restituirà, a conclusione delle riprese, una normalità che è tutt’altro che rassicurante.
Bergman timidamente fa capolino perché, come dice Tony alla figlia, i fantasmi esistono davvero e infestano il nostro presente. Ad addomesticarli ci pensa il cinema…