Con Une jeune fille qui va bien in concorso al 39esimo Torino Film Festival, l’attrice francese Sandrine Kiberlain scrive e dirige una storia sui sogni e desideri infranti con uno sguardo partecipe e capacità di messa in scena già mature.
Une jeune fille qui va bien: Trama
Parigi, estate del ’42, sotto occupazione tedesca. Irène (Rebecca Marder) è una giovane donna di religione ebraica alle prese con il sogno di diventare attrice e i suoi primi amori. Vive in modo spensierato dividendo la quotidianità con il fratello maggiore Igor (Anthony Bajon), André (André Marcon) padre premuroso e la nonna Marceline (Françoise Widhoff) sua confidente. Ma la persecuzione nazista incombe.
Tra illusioni e speranze di una giovane donna durante la persecuzione nazista degli ebrei
Ispirandosi al Diario di Anna Frank, ma soprattutto al Diario di Hélène Berr, Kiberlain crea un ritratto di una giovane donna ebrea puntando sulla bellezza della spontaneità dei rapporti di una famiglia coesa e complice, sempre pronta a confrontarsi e aiutarsi. La solare Rebecca Marder è un’interprete vivace ed empatica, riuscendo a rinchiudere in una bolla di felicità il suo personaggio. Il personaggio è protetto dal padre e consigliato negli affari di cuori dalla nonna. È presa totalmente tra il provino per entrare in Accademia per calcare il palcoscenico e i primi turbamenti passionali. Ma la Storia s’insinua lentamente e il Male non lo si può evitare illudendosi che non ti colpisca.
La regista francese sceglie un registro che lavora in sottrazione della messa in scena. Non si vede per tutto il film un solo soldato tedesco, non viene mostrato mai un simbolo nazista. Ma la persecuzione degli ebrei è illustrata attraverso sineddoche come il timbro obbligatorio di “ebreo” sulla carta di identità, la restituzione forzata di qualsiasi mezzo di contatto con l’esterno (telefono, radio, bicicletta) o costretti a cucire sugli abiti la famigerata stella gialla.
In Une jeune fille qui va bien queste scene appaiono lungo la storia con la macchina da presa che predilige il volto e il sorriso di Irène, ma che segue anche gli altri protagonisti della famiglia. Ognuno di essi deve fare i conti con umiliazioni prima striscianti e poi sempre più esplicite. Anche se lentamente sono abbandonati dagli amici, allontanati dal luogo di lavoro, evitati e additati dai conoscenti, Irène sarà avvolta dal suo mantello di felice ottimismo. Ma il tutto avviene senza scossoni, senza traumi, in un’accettazione del male come banalità degli avvenimenti che rende ancora più dolorosa la visione della storia di Irène.
Originalità ed equilibrio di scrittura al servizio di una storia universale
Kiberlain, in modo molto elegante fin dal suo incipit di stampo teatrale, mostra in primo piano tutte le compagne di corso di recitazione di Irène. Come a voler dire che non c’è nessuna differenza tra le ragazze, tutte giovani donne con lo stesso sogno, le medesime illusioni.
Inoltre, la scelta dell’assenza-presenza degli occupanti crea una maggiore tensione emotiva nello spettatore e rende Une jeune fille qui va bien una pellicola universale con una presenza onnisciente del Male pronto a colpire in qualsiasi momento. Del resto, l’inserimento di brani moderni all’interno della colonna sonora, come durante la sequenza della festa in campagna di giovani coppie a cui partecipa Irène con il giovane medico di cui si innamora, crea quasi un legame intergenerazionale in cui si rappresenta la giovinezza come l’età delle scoperte e delle aspettative in qualsiasi periodo storico ci troviamo.
Une jeune fille qui va bien si rivela un’opera prima di grande maturità stilistica e la Kiberlain stupisce per la capacità di scrittura in equilibrio e originalità e con un finale che lo spettatore non deve perdere.
Antonio Pettierre