A conclusione del suo percorso di studi cinematografici, la regista Olga Lucovnicova realizza come cortometraggio di diploma il documentario My Uncle Tudor (Nanu Tudor, 2020). Ciliegina sulla torta che corona la conclusione dei suoi studi è la vittoria dell’Orso d’oro alla Berlinale del 2021 come miglior cortometraggio. Col suo sguardo attento e metodico sugli ambienti, un occhio improntato verso le problematiche sociali e familiari, questo film approda al Festival dei Popoli di Firenze del 2021.
La trama di My Uncle Tudor
My Uncle Tudor si apre con il ritorno della regista nella casa dei nonni in Moldavia, una tenuta di campagna all’apparenza tranquilla: al primo sguardo un ambiente familiare unito. Attraverso i dialoghi con le donne della casa, il recupero di vecchi filmini e di fotografie in bianco e nero, Olga fa un tuffo nel suo passato, un nostalgico sguardo verso l’innocente periodo della sua infanzia. Qualcosa di oscuro però si aggira dietro l’angolo, pronto a macchiare il puro e idilliaco ambiente di campagna. L’infanzia innocente di Olga è stata sporcata da un doloroso elemento. Questo elemento è incarnato dalla persona che dà il titolo alla pellicola: lo zio Tudor.
Luoghi vs personaggi
Lo sguardo della Lucovnicova si attacca agli ambienti. Ispeziona ogni anfratto, ogni angolo e ambiente della casa. Si aggrappa alle foto di famiglia, agli oggetti lasciati sui tavoli, agli avanzi di cibo e, con precisione, ascolta le parole dei familiari intervistati. I felici ricordi rievocati dalle donne si interrompono attraverso il confronto con lo zio Tudor. La camera da presa è in esplorazione e spia. Spia le donne parlare, dormire, pregare, ma soprattutto spia lo zio Tudor. Sin dalla prima inquadratura lo vediamo attraverso una finestra, spaparanzato su un divano beato nel suo dolce far niente.
Durante tutta l’intervista lo zio Tudor non viene quasi mai mostrato mentre parla. Si alternano sullo schermo immagini che incupiscono i felici ricordi evocati nella prima parte. Crepe sul muro, un bruco sul divano, un ragno che avvolge la propria preda nel suo bozzolo. Dopo l’inizio del confronto con lo zio Tudor, ogni scena successiva, dall’intervista alle donne della famiglia alla cena in cui sono tutti attorno a un tavolo a mangiare, inizia a venir meno tutta l’innocenza iniziale. Pian piano che la narrazione avanza, un senso di angoscia inizia a invadere l’animo dello spettatore. I luoghi parlano da soli, caricando di significato ulteriore le parole in sottofondo. Un grande autore documentario deve avere la capacità di far parlare i luoghi e di trattarli come dei personaggi a tutti gli effetti. E la Lucovnicova riesce appieno in questo compito, mettendo in mostra il suo grande talento.
La banalità del male
L’aspetto più interessante di tutto il corto si annida senza dubbio nel dialogo tra la regista e lo zio Tudor. Gli scambi tra i due sono quasi tutti fuoricampo mentre sullo schermo si stagliano le immagini degli interni della casa. Centrale ed esemplificativa è la scena in cui un ragno avvolge la sua preda nel proprio bozzolo, parallelo efficace e lampante dei traumatici eventi che avvennero tra i due in passato. L’aspetto più disturbante che permea tutto il film è la calma inquietudine che traspira a ogni immagine e a ogni parola. Più ci si avvicina alla fine e più questo sentimento cresce all’interno dello spettatore. A incarnare perfettamente tutto ciò è proprio lo zio Tudor. Rievocando assieme a Olga le molestie che le ha inflitto in passato, il suo tono tranquillo e pacato contribuisce a rendere l’atmosfera ancora più cupa. Cerca continuamente una giustificazione, una scusa per discolparsi e minimizzare il male del suo gesto.
Arrivati alla conclusione di My Uncle Tudor si mettono insieme tutti i pezzi e ci si rende conto che il male è sempre dietro l’angolo. La calma c’è prima e dopo la tempesta, ma quella calma non coincide con la serenità. Prima della tempesta gli elementi preparatori all’evento funesto minacciano questa serenità. Dopo la tempesta diventano visibili i danni che questo fenomeno ha provocato. Il male si annida dappertutto, e forse il male peggiore, si nasconde proprio tra le mura e gli angoli di casa.
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