Una narrazione non unitaria nel senso temporale del termine. As I want racconta alcuni momenti della vita delle donne in Egitto, alcuni momenti della vita privata della regista SamaherAlqadi e alcune riflessioni, sogni e speranze. Tutto inizia subito dopo la rivoluzione egiziana che le donne portano avanti nel paese dal 2013. Seguendo da vicino alcune tragiche conseguenze delle violenze sessuali sulle donne nel corso delle manifestazioni collettive, SamaherAlqadi decide di usare la videocamera come vera e propria arma contro il modo di vivere di una gran parte degli uomini egiziani (e non solo).
Colore e bianco e nero
A intersecarsi molto bene tra loro sono sequenze in bianco e nero, che raccontano le speranze, i pensieri e il non detto della regista con sequenze a colori che, invece, raccontano il presente, l’oggi e spiegano la chiave del problema. Il documentario si apre in bianco e nero con la regista in dolce attesa (capiamo poi del secondo figlio), per poi alternarsi con sequenze a colori che si distaccano notevolmente perché raccontano una realtà crudele e spietata. Una realtà che nulla ha a che fare con la dolcezza e la speranza dei quadri in bianco e nero. Una realtà opprimente e nemmeno troppo distante.
As I Want: la fortuna di essere donna
Non so se posso considerarmi fortunata ad essere nata donna.
È questa una delle tante riflessioni alla quale conduce il forte documentario della regista palestinese. Ma a questa domanda retorica si dà anche una risposta: continuare a lottare, a prescindere da tutto e da tutti. Ed è ciò che l’intero film invita a fare, anche se a guardarlo è un pubblico europeo e, quindi, apparentemente lontano da dinamiche del genere, portate all’ennesima potenza e all’esasperazione. Ma non è lontano dagli aspetti più universali, come le molestie, fisiche e verbali di cui tanto, e sempre più, si sente parlare quotidianamente.
Una storia universale e di umanità
Come la stessa regista ha dichiarato, As I Want non è un film sul femminismo, ma sull’essere umani. Ed è per questo che si può considerare universale. È universale sentirsi colpiti da questa narrazione, è universale arrabbiarsi e voler spaccare il mondo al termine della visione ed è universale disperarsi perché tutto quello che si vede sullo schermo è successo e continua, purtroppo, a succedere. Così come umano comprendere le scelte della regista che, come lei stessa afferma all’interno del documentario, ha costantemente paura. Ma non può permettersi di mostrarsi vulnerabile perché ciò l’annienterebbe. Umano è essere solidali e combattere, come lei, per cause che, anche se non ci riguardano in prima persona, colpiscono comunque qualcuno.
La vita privata della regista e protagonista
Fa da contraltare alla crudeltà delle immagini e al susseguirsi delle proteste e delle rivolte il racconto intimo della regista di As I Want che, con dolcezza, mostra la sua vita. Si mette a nudo, raccontando attimi personali e rendendo lo spettatore partecipe di istantanee private. Ci viene mostrata l’attesa per l’arrivo del figlio, il parto stesso, alcuni dialoghi con il bambino più grande. Attraverso il racconto di Samaher Alqadi comprendiamo non tanto il suo essere donna, quanto il suo essere umano. Le siamo vicini nei momenti più difficili e più duri. E comprendiamo la sua sofferenza, ben resa dalle parole in voice over che accompagnano alcuni dei momenti felici che la regista ha vissuto con la madre, scomparsa mentre la figlia era lontana. Tutti dettagli che la rendono ancora più forte, soprattutto considerando la lotta quotidiana che ha dovuto (e, in parte, deve ancora) affrontare.
As I want: il film che sceglie la regista
Un film tutt’altro che semplice, sotto tutti i punti di vista, quello realizzato da Samaher Alqadi.
Sono stata scelta per fare questo film.
Al contrario di quanto si può pensare è As I Want che ha voluto Samaher Alqadi come autrice. Nel senso che la regista, considerato tutto quello che era successo nella sua vita, ha deciso di mettersi alla prova presentando insieme vari momenti. Non lo ha deciso volontariamente, ma spontaneamente. È stato come un susseguirsi di scelte che hanno avuto come conseguenza la realizzazione del film stesso. E nonostante questo abbia richiesto un enorme lavoro che è durato praticamente otto anni. Il ritratto perfetto e imperfetto di un essere umano, ancora prima che di una donna.
Ma che, da donna, Samaher Alqadi ha raccontato in prima persona e in maniera potente.
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