Donne di Terra di Elisa Flaminia Inno è un documentario in concorso al RIFF Rome Independent Film Festival, prodotto da 15 06 Film con il sostegno di Film Commission Regione Campania e Regione Campania e la collaborazione di Agrocultura e Godmother Films.
Il documentario testimonia il progetto di consorzio Donne di Terra. Questo raccoglie contadine e donne pastore della Campania, appassionate di agricoltura biologica, strutturatesi in una rete di collaborazione e diffusione dei loro ideali e dei loro prodotti.
Donne di Terra di Elisa Flaminia Inno: la trama
Doris Formisano, Mariapia Cutillo, Anna Rita (Nanà) Falanga, Maura Sciullo e Marialuisa Squitieri: sono le cinque protagoniste del documentario Donne di Terra di Elisa Flaminia Inno. Ognuna di loro ha una storia e un percorso che per un periodo le ha condotte distanti dalla terra, il suolo della Campania in questo caso. Ma per scelte coraggiose, o semplicemente per favorire una chiamata, sono poi riapprodate tutte ai campi.
Le declinazioni di questo lavoro contadino naturale, sono diverse. Doris si batte per l’autosufficienza e per l’alimentazione sana e di qualità, Mariapia è la militante politicizzata del gruppo; Nanà si occupa di pet therapy con i suoi splendidi asini; Maura è la donna pastore, nonché il volto penetrante della locandina, mentre Marialuisa dopo gli studi in storia medioevale, ritorna alla terra di famiglia.
Narrato con continua voce fuori campo, le signore si raccontano e parlano poi del progetto Donne di Terra, che le ha avvicinate e ha reso la loro opera più strutturata e divulgabile, i loro prodotti più rispettati e le loro persone forti di appassionata dignità. Fuori dagli schemi di ruolo e dai preconcetti di classe.
La “schiavitù della terra”
Donne di Terra di Elisa Flaminia Inno, strutturato in due versioni, una integrale e una ad episodi, è una narrazione convenzionale e senza interventi in cui la regista non fa che seguire queste protagoniste dai volti forti. Le immagini lasciano chiaramente molto spazio al verde e ai frutti, ma l’insieme manca di tenacia, complice una musica malinconica, dove la malinconia non è per niente presente.
Sicuramente, è lo strumento giusto per aiutare la diffusione di questa importante iniziativa campana, i cui obiettivi educativi sono molto forti e necessari in questo periodo di revisione diffusa. Inoltre, nel confronto delle motivazioni, si questiona l’idea del ritiro alla terra come di una scelta controcorrente.
Non c’entrano niente le radici. C’entra la bellezza del posto, c’entra l’aria, c’entra vedere sorgere il sole la mattina e capire che è proprio quello che vuoi fare di svegliarti alle 6 per goderlo, c’entra che vai nella terra e ti mangi le cose senza doverle lavare. Non so più dirlo se è per nascita, se è per abitudine o se è per piacere personale. Ma ecco, è il mio yoga quotidiano. (Mariapia Cutillo)

Si riflette inoltre su quanto la presenza della vecchia generazione influenzi le scelte dei giovani, i quali tendono a fuggire le radici più che altro per timore. Un timore ereditato, quello della “schiavitù della terra”, che ha reso le mani callose e le pelli coriacee. Non c’è libertà in quel passato, ma nel presente di queste signore la libertà rivive e ribolle. La fuga dalla città ha permesso loro di interpretare molto più consapevolmente la ricchezza della campagna e della vita a contatto con la natura.
Narratrici in prima persona, queste donne sono rigeneratrici. Il rispetto dovuto e naturale che dedicano alla terra è una sorta di pietà filiale. Forti di quel sentimento, si sporcano mani e piedi, nel suolo che accarezzano con la stessa medesima delicatezza, con i polpastrelli e con le zappe.