Fusako Shigenobu
I conflitti generazionali sono sempre complicati e, anche quando il tempo ha fatto il suo percorso, certe memorie possono essere molto spiacevoli, se non dolorose, da rivisitare.
Soprattutto quando ci si confronta con un passato molto poco ordinario.
Come nel caso di Bettina e May, la cui vita di bambine è stata segnata dalle scelte radicali delle proprie madri, che, ad un certo delle loro esistenze, hanno deciso di darsi alla clandestinità.
È in questo territorio intimo, ma allo stesso tempo politico, che si spinge l’avvincente documentario di Shane O’ Sullivan, “Children of the revolution”, che racconta, attraverso gli occhi delle loro figlie, le storie di due donne che diventeranno figure centrali del movimento rivoluzionario in Germania e in Giappone nel 1968, Ulrike Meinhof e Fusako Shigenobu.
Le loro storie pubbliche sono bene o male arrivate a noi, anche se l’Europa è più familiare con la figura di Ulrike Meinhof che di Fusako, ma l’aspetto privato su cui si muove Shane offre nuovi spunti di riflessione su delle vicende di una storia destinata a lasciare tante domande in sospeso.
Il film si apre con le inquietanti immagini di un attentato aereo e prosegue con un ritmo molto serrato e deciso nel raccontare gli eventi, con tanto di interessante materiale di archivio, fotografie mai viste prima ed interviste a persone vicine.
Non si può fare a meno di respirare la violenza.
Nonostante ciò il documentario riesce comunque a catturare qualcosa di differente, di piu profondo che va al di là delle vicende che conosciamo tutti.
Shane penetra nel complesso rapporto madre-figlia, investigando su i loro ricordi e sulle loro opinioni riguardo alle scelte delle loro madri e su quelli che possono essere i limiti dell’azione rivoluzionaria.
Ciò che ne viene fuori inoltre è il ritratto assolutamente insolito di quel periodo, facendo riflettere, in un’analisi più ampia, su come in fondo i media costruiscono una certa immagine della storia e dei suoi protagonisti.
“È da dove si decide di far iniziare la Storia che fa la differenza”.(May Shigenobu)
Entrambe Bettina e May non hanno seguito le orme politiche delle loro madri, ma le loro opinioni a riguardo sono molto differenti.
Bettina Meinhof e sua sorella gemella Regina erano poco piu che adolescenti quando la loro vita cambia completamente in seguito alla scelta di Ulrike, affermata giornalista e figura intellettuale di sinistra, di dedicarsi alla causa del movimento rivoluzionario tedesco.
Da figlie della media borghesia diventano figlie della rivoluzione e per poco non finiscono in Giordania per essere addestrate come soldati.
May invece nasce già come figlia della rivoluzione. Sua madre Fusako era parte della forza armata giapponese quando la da’ alla luce in seguito alla relazione con un ribelle arabo. Negli anni a venire si sarebbe spostata di volta in volta, cambiando continuamente identità per ragioni di sicurezza, ma il rapporto con sua madre sebbene fugace, riesce comunque a restare forte e a creare intesa e comprensione.
Mentre Ulrike sembra essere stata meno cosciente di quelle che sarebbero state le conseguenze delle sue scelte, fino al punto di sentirsi divisa tra la sua identità di madre e quella di rivoluzionaria, Fusako pare aver avuto un percorso più omogeneo e cosciente, unendo insieme le due donne che erano in lei, la madre e la rivoluzionaria.
Infatti le testimonianze di Bettina e May creano un forte contrasto emotivo.
Entrambe sanno però che quelli erano anni complessi, dove la rivoluzione era dovunque nell’aria e le azioni di chi ne restava coinvolto dovevano essere chiare, nette, imponenti, perché ogni epoca ha i propri mezzi per comunicare e una propria voce per farsi sentire.
Girato tra Tokyo, Beirut e Germania, “Children of the revolution” è il terzo documentario scritto e diretto da Shane O’Sullivan, che ha accettato di rispondere ad alcune domande di approfondimento sul suo lavoro.
Ulrike Meinhof
Com’è maturata l’idea di lavorare ad un argomento cosi complesso come il movimento terroristico in Germania e Giappone, da dove è partita l’idea ?
Le mie ricerche su queste storie sono iniziate prima del 9/11.
Le dimostrazioni anti-capitalistiche di Seattle e Genova richiamarono le rivoluzioni studentesche degli anni ’60 e lo spirito di quel tempo. Poi l’attentato del 9/11 fece ricadere il tutto nell’incubo del terrorismo e il movimento anti-global si eclissò. Quando la guerra in Iraq ha riportato i movimenti di protesta nelle strade, i governi li ignorarono e “l’operazione free Iraq” iniziò.
Cosi ho iniziato ad interessarmi all’energia e all’idealismo del ’68 e a ciò che ne conseguì. In Germania e Giappone il movimento ebbe un impronta più internazionale tanto da portare i propri esponenti in medio-oriente.
Nel documentario ti sei voluto principalmente occupare delle due protagoniste femminili del movimento. Cosa le ha rese cosi interessanti ai tuoi occhi?
Le consideravo i personaggi più forti del movimento e, dopo aver letto dell’infanzia delle loro figlie, Bettina e May, ho trovato la maniera di raccontare un grande evento politico attraverso un punto di vista esclusivo.
La relazione madre-figlia, che è al centro del documentario, mette in risalto non solo l’aspetto personale della vicenda, ma rivela anche altre motivazioni delle due protagoniste.
Nel documentario hai mantenuto sempre una posizione neutrale e distante raccontando però la storia delle due donne da un punto di vista molto intimista.
Pensi che questo sia un aspetto della vicenda che è stato tralasciato e che invece è importante nell’analisi dei fatti successi?
Credo che, come spesso accade, si crea il mito attorno a figure cosi controverse. Queste due donne sono state calunniate e diffamate, ma esistevano motivazioni molto umane e complesse dietro le loro azioni che sono state prese in un contesto politico e culturale molto diverso da quello di oggi. Aspetti della società di cui adesso siamo quasi noncuranti sono stati invece motivo di conflitto a quei tempi. Non giustifico le loro azioni ma cerco di comprenderle.
Trovo che l’aspetto piu forte del film sia il punto di vista soggettivo di May e Bettina nel raccontare la storia delle loro madri. Un punto di visto unico che nasce dall’esperienza personale e dalle profonda ricerca e conoscenza della storia e della politica di quel tempo.
Le loro storie personali ci aiutano a riflettere in maniera piu ampia su vari temi politici: la natura della protesta e della resistenza e come sfidare una guerra ingiusta, la società o un sistema economico. Relazionandoci a loro e al rapporto madre-figlia si può immaginare, fino ad un certo punto, come possa essere stata la loro vita.
La relazione madre-figlia di entrambe le protagoniste sembra essere stata molto complessa da analizzare. Dove hai avuto maggiori difficoltà?
La relazione tra Fusako-May è stata più facile da capire perché, nonostante gli eventi in corso, May ha continuato a mantenere un rapporto di amore e supporto con sua madre e con i suoi compagni del movimento. Tra Bettina e Ulrike il rapporto era molto più instabile e psicologicamente più complesso.
La trasformazione di Ulrike, divisa tra il sentimento materno e gli ideali del movimento, ha influito molto sull’infanzia e la crescita di Bettina, distorcendo il rapporto tra le due.
Quanto influiscono le differenzi culturali di Bettina e May nell’approccio sia nei confronti del passato delle loro madri sia nell’idea di rivoluzione in generale?
Influiscono di molto direi. May è cresciuta nel medio-oriente dove sua madre veniva vista come un eroina. L’ambiente in cui è cresciuta condivideva gli stessi ideali di sua madre, e la rivoluzione era vista come una giusta causa contro l’imperialismo, nonostante in occidente venissero visti come terroristi. In Germania invece, Bettina viveva in una società molto più borghese, con un padre capitalista e in una periferia alienata in Amburgo, lontano dalla madre e dai suoi ideali rivoluzionari. A tutt’oggi la generazione del ’68 riscontra giudizi opposti tra destra e sinistra, ed Ulrike è vista come un idealista o come una terrorista psicopatica.
Il documentario esplora parallelamente sia il passato che il presente in una maniera che induce a riflettere su quelli che possono essere in generale gli errori umani. Qual’è la tua opinione a riguardo?
Le questioni dietro il movimento studentesco del ’68 sono ancora vive: le lotte per un’istruzione alla portata di tutti, la protesta contro un sistema economico corrotto che rischia di far implodere l’Europa, cercare di fermare una guerra. La natura delle proteste si è trasformata: dai dirottamenti e gli assedi alle ambasciate alle rivoluzioni popolari in medio oriente; operazioni degli hacker della società occidentali e i saccheggi dei negozi nelle strade di Londra, da parte di una gioventù insoddisfatta. Ma la domanda è sempre la stessa: quali sono i mezzi legittimi per combattere l’ingiustizia sociale?
Negli anni ’70, l’unico modo che i Giapponesi o i Palestinesi avevano per attirare l’opinione pubblica era dirottare un aereo e poi dare una conferenza stampa per esporre le proprie richieste e farsi conoscere come movimento.
Le cose adesso sono cambiate. Disponiamo di strumenti piu sofisticati per comunicare, organizzare e mobilitare le persone che rendono l’operazione di controllo da parte delle autorità, un lavoro molto piu difficile.
I movimenti della “Primavera araba” puntano ad una maniera piu efficace per essere ascoltati e chiedere cambiamenti. Ma come si fa ad evolversi in un movimento che arriva ad avere una voce permanente all’interno del sistema politico?
Le proteste sono molto più potenti ora, ma siamo ancora in attesa di una nuova ondata.
Puoi dirci qualcosa sul tuo prossimo progetto?
Il mio prossimo progetto si chiama “JFK and the Unspeakable” tratto dal libro di libro di James Douglass. Sto pensando di fare un dramma-documentario come il lavoro di George Clooney, “ Good night and good luck”, tracciando le strade parallele di JFK e Lee Harvey Oswald a Dallas nel 1963 quando Kennedy lottava per fermare una guerra nucleare contro l’allora URSS.
Carla Castadiva Cuomo
Per visionare il trailer del documentario: Children of the revolution