‘La Civil’ di Teodora Ana Mihai: il breaking bad della madre per trovare la figlia rapita
Premiato a Cannes nella sezione Un Certain Regard e vincitore del Premio Speciale della Giuria al Tokyo Film Festival, il film della regista rumena, potente e verace, trascina nel caos nella guerriglia messicana di narcos, militari e rapitori. Soldato speciale, una civile: una madre
Una barzelletta: “Eva si sveglia nuda e chiede ad Adamo dove si trovino. Adamo risponde: siamo nudi, senza casa, disoccupati e senza un soldo. E continuano a dirci che questo è il Paradiso. Non c’è dubbio: siamo in Messico!”. Finché può riderne, è così che Laura esorcizza con la leggerezza della sua età le ombre nere della violenza del proprio Paese. Raccontando alla madre Cielo, nel rilassato prologo domestico de La Civil, l’ultima freddura sul Messico. Prima che la temperatura del film si alzi, e il film di Teodora Ana Mihai diventi una specie di revenge-narco-western.
La svolta è precoce, tutta in una sterzata improvvisa dell’auto che taglia la strada a Cielo. Ne esce un giovanotto sorridente, dalla nonchalance più ghiacciata della coca in lattina che sorseggia mentre fa intimidazioni. “Lei è la madre di Laura, giusto?”: la domanda che è il contro-prologo. Laura non c’è. Inizia, dal suo rapimento, una spirale di violenza, tra gente del cartel, boss imberbi, militari dal manganello facile, decapitazioni, obitori e cimiteri. Facile a dirsi, il Messico non è un paese per vecchi. Ma nemmeno la giostra della fantasia di Hollywood: La Civil si ispira a una storia vera.
La trama
Cielo (Arcelia Ramirez) è una madre alla ricerca della figlia, rapita da un cartello criminale nel nord del Messico. Attorno, solo gente impaurita o poco collaborativa. Il marito (Alvaro Guerrero), che l’ha lasciata per una donna più giovane, ci mette un po’ di soldi, ma sembra un Don Abbondio poco risoluto. L’altro Don, Quique, negoziante della comunità, garantisce di non saperne nulla. Chissà. La autorità, poi, non offrono supporto nella ricerca, rassegnate ad accatastare fascicoli di gente scomparsa sulle scrivanie e cadaveri nelle fosse comuni. Cielo, allora, prende in mano la situazione. Inizia la sua indagine e guadagna la fiducia e la simpatia di Lamarque (Jorge A. Gimenez), tenente delle truppe straordinarie dell’esercito che lavorano nella regione. La collaborazione di Cielo con Lamarque condurrà la donna in un pericoloso circolo vizioso di violenza. La storia è stata ispirata da eventi reali.
Il trailer
I figli degli uomini e delle donne
Vincitore a Cannes del Prix du Courage nella sezione Un Certain Regard e recentemente insignito del Premio Speciale della Giuria al Tokyo Film Festival, La Civil si pone sulla scia di altre recenti produzioni cinematografiche come Fauna, Somose Sin Señas Particulares. Segni particolari di questi film: storie di prepotenza e sopruso, in cui narcos e rapitori sono carnefici senza volto e il punto di vista è quello delle vittime. Tutto, nel Messico dalle nuvole rosso sangue, sembra alludere all’agguato della violenza.
Preferiresti non sapere cosa fanno alla gente quelli del cartel.
La regista Teodora Ana Mihai, rumena di stanza in Belgio, dissemina las calles e gli interni del set dei semi del male. La tv racconta del recupero di due corpi di ragazze senza testa. Quando Cielo entra al commissariato, la prima immagine è quella della carta stinta degli annunci dei desaparecidos in bacheca. I blindati dell’esercito compaiono a intervalli regolari nel traffico della cittadina. Certi edifici abbandonati, in cui i militari fanno i loro raid , sembrano macerie iperrealistiche prese da qualche videogioco sparatutto, se non autentici campi di battaglia. I civili, di fatto, appaiono vittime di una guerra perpetua e silenziosa: tutti sono i figli o le figlie di qualcuno, o madri parallele con lo stesso dolore della perdita. Finché, nell’incivile silenzio, una madre non decide di farsi detective – e poco ci manca: sicario.
Breaking Bad in Messico
In un crescendo di paranoia e disperazione, tra pedinamenti ostinati, trattative snervanti e incursioni a mano armata, Cielo annerisce. Il suo personaggio, infatti, trascolora dalla civil che chiede giustizia per la figlia, alla casalinga disperata che abbraccia il dark side nella Gomorra della guerra di tutti contro tutti. La sua storia di coraggio, per quanto mossa dall’amore, è anche la fatale scelta della contro-violenza. Se le buone non funzionano, restano i modi degli spicci soldati, nelle cui spedizioni la donna stessa si maschera e mena.
Se hai una madre, sai cosa significa questo amore.
Arcelia Ramirez, veterana attrice messicana nota in patria per grandi programmi televisivi e rinomati film indipendenti, offre qui un’interpretazione imponente.
All’insegna del mantra voglio solo trovare mia figlia, che dalla tenera impotenza iniziale finisce per risuonare, poi, come un corno di guerra, sembra concentrare nella propria figura la tragedia contemporanea destinata a reiterarsi senza spiegazione. Di fronte ad essa, si attrezza con tanto di vestizione del guerriero: i capelli scorciati in punta di forbice allo specchio, la maschera nera, la tuta militare. Se non è Breaking Bad, almeno è Breaking Strong.
Una finzione doc
Se certe esplosioni di guerriglia di La Civil potrebbero far impallidire persino le efferatezze di Sicario, non è però per l’exploitation dei topoi di narcos e carteles che il film della regista rumena si carica di tensione morbosa. Il tossico nervosismo del racconto è anzi il contrario dello stereotipo hollywoodiano: non nel dispositivo narrativo, quanto in quello formale. Sorprende, a farsi raccontare il film, come il progetto originario di Teodora Ana Mihai fosse quello di un documentario.
Cielo con suo marito in auto. Altre scene saranno girate con la macchina da presa da dietro, in semi-soggettiva
Non è così, invece, per chi lo veda. Infatti, per quanto il risultato finale, frutto di una scrittura a quattro mani con l’autore messicano Habacuc Antonio de Rosario, abbia molto del lavoro di finzione, l’approccio osservativo del documentario resta impronta dominante. La camera a spalla, espediente di tanto cinema realistico, è precaria, tellurica. La forma sembra non potersi stabilizzare in un frame pulito, precaria come le esistenze su cui incombe la minaccia brutale. Al più, fanno da cornice i bordi del parabrezza durante i tallonamenti in auto di Cielo, tra le vibrazioni del motore.
La minaccia fantasma
La macchina da presa non si stacca un attimo dalla Ramirez: le gira attorno dopo che le hanno sfondato le finestre – il nemico è sparito come un ectoplasma – o la segue senza stacchi tra i fornelli non meno che tra le pallottole. E così, al poliziotto pigro dietro la scrivania, a cui Cielo si rivolge frustrata dopo tre ore di attesa, l’inquadratura risparmia il controcampo, tanto è inutile rivolgersi all’autorità. Nello stesso modo, con un anti-climax dopo aver rullato meravigliosamente oltre due ore di cinema potente e verace, La Civil si chiuderà, sullo stile de I Soprano, restando aperto: un altro controcampo fantasma, con qualcosa off screen – di buono o cattivo, non lo sapremo mai. Nemmeno importa, quando la frontiera tra bene e male è così confusa e puoi anche diventare cattiva per amore.