“Le jardin de jad di Georgi Lazarevski mette in scena con struggimento e ironia l’infinita questione israelo-palestinese. Il muro di Gerusalemme est è in costruzione davanti un ospizio, e la simpatica comunità di anziani che lo abita (Palestinesi) vive con stupore e sdegno, ma anche con un umoristico distacco del senno di poi, l’ennesima assurdità commessa in quest’area del mondo così caotica”.
Molta assortita la selezione di documentari al Med film festival: Le jardin de jad (2007) di Georgi Lazarevski mette in scena con struggimento e ironia l’infinita questione israelo-palestinese. Il muro di Gerusalemme est è in costruzione davanti un ospizio, e la simpatica comunità di anziani che lo abita (Palestinesi) vive con stupore e sdegno, ma anche con un umoristico distacco del senno di poi, l’ennesima assurdità commessa in quest’area del mondo così caotica.
Ma più che soffermarsi ad analizzare la vicenda politica – paradigmatica falsa questione inscenata dal teatro capitalista delle scelte (piuttosto che una parte o l’altra, meglio sarebbe cortocircuitare le coordinate che sostengono questa situazione) – è preferibile cogliere lo spirito di una comunità che, strutturata da un forte senso religioso, fatica a relazionarsi ai fatti con la gravità tipica dei discorsi occidentali, intrattenuti magari dopo un lauto pasto, intervallato dalle immagini lunari dei Territori.
Questi attempati signori e signore rimettono tutto nelle mani di Dio (Allah), che si sa, dicono, è grande. Molte volte li vediamo intonare delle nenie che ricordano non poco quelle sussurrate dalle nostre nonne mentre snocciolavano, instancabili, i grani neri di un infinto rosario.
Siamo proprio sicuri che il problema sia religioso e politico? No, lo sappiamo, è una questione di equilibri geo-economici, tenacemente gestiti dall’esanime alfiere dell’ordine imperiale (USA). Qualcuno potrà replicare che queste considerazioni le avevamo fatte sin da quando indossavamo i calzoni corti. Che dire, allora? Repetita iuvant.