Dal 20 al 28 novembre avrà luogo, a Firenze, il Festival dei popoli 2021. Abbiamo fatto qualche domanda ad Alessandro Stellino, direttore artistico della manifestazione. Qui per leggere il programma.
Il documentario oltre il Festival dei popoli secondo Alessandro Stellino
Prima di chiederti del programma del festival, volevo fare una riflessione più generale sul documentario, che ha subito e sta subendo una vera e propria evoluzione. Da genere, adesso è diventato anche una forma espressiva e un linguaggio. Cosa ne pensi?
Io credo che il documentario sia una delle forme più interessanti del linguaggio cinematografico perché è qualcosa di profondamente ambiguo. Chiamando in causa il rapporto con la realtà, il documentario presuppone una restituzione di qualcosa che è vero. E c’è da considerare che la fotografia del reale non è esattamente quello che vediamo nel documentario. Questo perché è sempre comunque filtrato dalla soggettività di chi filma. Un autore (o un’autrice) sceglie di filmare un mondo al quale è interessato/a e crea una narrazione. Possiamo prendere in esame gli autori più interessanti che si sono affermati sul panorama internazionale in questi anni. Dall’Italia, per esempio, Gianfranco Rosi o Roberto Minervini. Non è lo stesso documentario di quello che faceva negli anni ’60 Wiseman. Sono etichette che lasciano il tempo che trovano; vanno adeguate ai tempi e alle concezioni di stile e di linguaggio.
Quello che dici riguardo l’evoluzione è vero e quello che mi attrae del documentario, e che spero di restituire attraverso la programmazione del festival, è proprio la varietà di forme, di stili, di linguaggi. Aggiungo anche che in un’epoca in cui internet e le piattaforme ci stanno conducendo a un’esistenza e una fruizione del cinema sempre più digitalizzata, credo che la visione fisica sia importante. E il documentario, con il suo aggancio con il reale, ci permette di ricordare che noi esistiamo in un luogo e in un tempo ben preciso e, per questo, vogliamo sapere di più sul perché siamo al mondo. In questo, il documentario è molto più in prima linea rispetto al cinema di finzione che vediamo distribuito nei circuiti mainstream.
Un riferimento per il genere
Ormai il Festival dei popoli è un festival unico, anche perché voi siete capaci di fare il punto, vero e reale, sullo stato del documentario. In che modo il festival si colloca in quest’ottica?
Il Festival dei popoli è alla 62esima edizione; è stato fondato nel 1959. Ed è il festival di documentario più importante d’Italia e il più antico del mondo. Questo implica un prestigio, un onere e un onore che va salvaguardato e rispettato. Il documentario, in generale, è un’arte che si è evoluta tanto. Noi ogni anno riceviamo più di mille film attraverso il bando per la selezione, ai quali ne aggiungiamo almeno altri 400 che vediamo scrutinando i principali festival a partire da gennaio (per esempio Sundance, Rottherdam, Berlino). Li seguiamo per portare qui il meglio della produzione corrente. In questo senso il nostro spirito è quello di monitorare il meglio dove per meglio non intendiamo i film perfetti o i film più belli, ma quelli che secondo noi sono più originali, più nuovi, più coraggiosi che non vediamo altrove. Ogni film inserito in questa programmazione è scelto con cognizione di causa. Anche l’ultimo dei cortometraggi è importante perché ha una sua specificità. Quindi la selezione prevede tutte opere diverse e varie, per rendere conto di un cinema documentario estremamente vivo da questo punto di vista.
I temi del documentario e del Festival dei popoli 2021 secondo Alessandro Stellino
Il programma è molto ricco. Ci sono dei temi o degli argomenti ricorrenti che sottolineano l’evoluzione alla quale accennavamo prima, relativamente al programma del festival, e al mondo del documentario in generale?
Chiaramente, già a partire dall’anno scorso, abbiamo ricevuto un’infinità di film sulla pandemia o girati durante la pandemia. Però, credo che non abbiamo ancora avuto il tempo di elaborare la tematica a livello profondo. Per questo molti si sono fermati alla superficie, mostrandoci quello che ognuno di noi ha visto e vissuto con i propri occhi. Tra questi, noi apriamo con un film che credo sia il film più bello girato durante la pandemia. È la storia di una troupe che gira un film nei momenti più duri della quarantena e la particolarità è quella di essere raccontato al contrario. Cioè, si comincia con l’ultimo giorno di riprese e si finisce con il primo. All’interno (e questo è qualcosa a cui tenevo molto) non è molto chiaro quali sono le parti del film che stanno effettivamente girando e quali quelle più documentarie. Questo film è, quindi, l’emblema di un’idea che regge tutto il festival: far vedere cos’è il documentario per noi, cos’è il reale al cinema.
Al di là di questo, la tematica femminile è sempre più all’ordine del giorno ed è in cerca di una sistematizzazione che noi stiamo vivendo. A tal proposito, noi abbiamo in concorso internazionale il film As I Want che è agghiacciante perché racconta le violenze subite dalle donne, violentate in mezzo a una sommossa generale in Egitto. Si parte da immagini di repertorio, quasi giornalistiche, per poi arrivare all’oggi, con la regista che usa la macchina da presa come arma in difesa dagli uomini che lei filma. Si tratta di un film fortissimo e questa linea attraversa tutto il concorso. Poi ci sono anche altri due film su questo genere (uno su una famiglia disfunzionale e l’altro, A night of Knowing Nothing, sulle differenze di casta in India dove le donne devono sottostare a un sistema ancora arretrato).
Le sezioni collaterali del Festival dei popoli 2021 spiegate da Alessandro Stellino
Il festival è molto ricco e si rivolge a un pubblico il più eterogeneo possibile, partendo dai bambini. Volevo sapere qualcosa di più sulle sezioni collaterali.
Innanzitutto, abbiamo il concorso internazionale composto da diciotto film, e il concorso italiano con sette e un fuori concorso con dodici film in totale del panorama italiano. Poi, oltre a una retrospettiva importante, ci sono altre sezioni, tra cui una dedicata all’ambiente (altra questione all’ordine del giorno). E vogliamo raccontare tutto questo cercando di salvaguardare la varietà degli stili e dei linguaggi, variando in tutto il mondo. Lo specchio è quello di un mondo intero dove ognuno vive la propria problematicità. E questi problemi li possiamo raccontare anche con ironia, come nel caso di Stray Ducks.
In più, come dicevi, c’è un’attenzione particolare ai bambini e ai ragazzi. Perché noi crediamo che ci sia un pubblico del futuro che debba essere accompagnato nell’amore per il cinema. Spesso quello che loro vedono è solo una parte di quello che è il cinema e pensano, come anche altri, che il documentario sia noioso. Noi vogliamo fare capire che il documentario è il racconto di una vita e che anche loro si raccontano attraverso telefoni e social. Infine c’è la sezione musicale. Da sempre il documentario si concentra sulla performance: ci sono tanti film concerto nella storia di questo genere. A noi piace tenere presente l’interazione cinema e suono. Qui proponiamo cinque film molto diversi dal punto di vista dello stile e del genere. In particolare segnalo In the court of the Crimson King, documentario dedicato ai King Crimson.
Il rapporto con il pubblico
Poi c’è anche l’idea del Pop Corner dove, partendo da tematiche generali e facendo riferimento ad alcuni dei titoli presenti al festival, attraverso una strana coppia si potrà discutere e parlare. Penso sia un aspetto importante e non scontato che, anzi, dà la possibilità allo spettatore di rapportarsi con chi ha realizzato il film, o comunque di discuterne con altri che lo hanno visto.
Pop Corner nasce per “smontare” l’idea che il documentario venga identificato come qualcosa di noioso. L’intento è quello di far scoprire che può essere appassionante, emozionante, anche fonte di scoperta superiore rispetto al film di finzione che è più omologato. Abbiamo pensato di aprirci il più possibile all’esterno, verso un pubblico che non sa, non conosce e non è troppo interessato. E l’idea è quella di coinvolgere persone dell’ambito dello spettacolo, della cultura, dello sport e di tanto altro sui temi che emergono dalla programmazione del festival. Da questi si potrà dialogare scegliendo delle strane coppie, cioè due persone provenienti da ambiti diversi che useranno ognuno il proprio approccio e percorso.
Ed è importante, appunto, avere un rapporto diretto con gli ospiti per potersi confrontare.
Sicuramente. Infatti è una cosa che ho notato soprattutto dopo l’anno scorso (la mia prima edizione). Questi eventi devono essere in presenza anche perché le persone, dopo il film, devono poterne parlare e condividere. Per il futuro andremo nell’ottica di moltiplicare tutte queste occasioni.
La retrospettiva su Nicolas Klotz e Elisabeth Perceval e il premio a Michelangelo Frammartino
E passando, invece, alla retrospettiva, come mai sono stati scelti questi due nomi?
Si tratta di due autori francesi che sono una coppia anche nella vita. Lui è il regista e lei la sceneggiatrice, ma lavorano in simbiosi. Li seguo da molto tempo e in Italia non hanno quasi mai avuto visibilità, nonostante i loro film siano stati nei principali festival del mondo (Cannes, Berlino, Locarno). La scelta che li ha portati al festival è motivata da più ragioni. Una è che fanno film straordinari, l’altra è che anche loro non sono documentaristi puri. Così facendo noi rivendichiamo la possibilità di guardare al cinema partendo dal documentario, ma spalancandolo a tutte le sue ibridazioni. In sostanza abbiamo il film d’apertura che non è strettamente un documentario. E il nostro focus principale su due autori che non sono strettamente documentaristi, ma hanno fatto documentari meravigliosi. Inoltre, anche quando lavorano con la fiction, hanno un rapporto particolare con ciò che filmano. Hanno un approccio molto documentaristico; portano avanti un’idea di restaurazione del reale attraverso il cinema che è molto forte. E, per tutti questi motivi, sono assolutamente in linea con quello che è il mio pensiero intorno al cinema documentario e al cinema in generale. Secondo me non ci possiamo trincerare dietro uno steccato di cinema di osservazione, ma dobbiamo buttarlo giù.
Inevitabile chiedere qualcosa a proposito del premio a Michelangelo Frammartino che sarà ospite al Festival dei popoli 2021.
Lui è uno dei più grandi registi italiani a tutti gli effetti. Lavora con il reale come fosse una materia da plasmare. Ha fatto film straordinari, come Le 4 volte, Alberi, Il buco (qui per leggere la recensione del film, qui per l’intervista al regista e qui per la filmografia). Quest’ultimo film ormai è uscito e, quindi, invece della “classica” visione, abbiamo pensato di far incontrare il regista con il pubblico, facendogli fare una masterclass e riproducendo la sua visione attraverso le immagini che realizza. Ci sarà, infatti, una mostra dei disegni e dei bozzetti (acquerelli) che sono come gli storyboard che animano i film, disegnati da lui stesso. Saranno esposti nel foyer della Compagnia per tutta la durata del festival. Lui introdurrà e farà una visita guidata alla mostra prima di ricevere il premio “Energie rinnovabili”.
Poi c’è l’idea di attraversare passato, presente e futuro. Noi sappiamo di avere alle spalle cento anni di cinema e sulle retrospettive siamo legati ad autori ancora viventi. Per coniugare il passato al quale rendiamo conto e il presente abbiamo la sezione Diamonds & Forever, sezione che nasce con il 60esimo del festival (le nozze di diamanti). La portiamo avanti nell’ottica di realizzare ogni anno un focus specifico su un tema, su un ambito del cinema documentario. Quest’anno, per esempio, ricorrono i trent’ anni dal crollo dell’unione sovietica. L’abbiamo chiamato “Utopia rossa” e saranno otto film di grandi autori a proposito di quel periodo cruciale.
I titoli consigliati
Dovendo accompagnare lo spettatore nel Festival dei popoli 2021, quali titoli sceglierebbe Alessandro Stellino?
Il film d’apertura sicuramente. Poi nel concorso, al di là della questione femminile, non mi sento di citare qualcosa in particolare. Tra gli eventi speciali, invece, Us Kids, che parla di un movimento nato dopo una strage avvenuta in una scuola superiore in Florida. Poi c’è il concorso italiano che rappresenta il panorama nazionale raccontato attraverso le voci più giovani e innovative. Sono i nostri registi del futuro con sette film molto diversi di autori che faranno strada. C’è poi un piccolo focus toscano. E, a tal proposito, mi sento di citare Caveman – Il gigante nascosto che, in qualche modo, dialoga con Il buco perché girato dentro una grotta dove questo autore ha scolpito una scultura a seicento metri sottoterra. Ed è un gesto artistico gratuito in nome di un coraggio e un desiderio di essere fuori da ogni schema e meccanismo di arte commerciale.
Il Festival dei popoli di Alessandro Stellino
Se dovessi fare un nome, non per forza legato al documentario, che vorresti portare qui al Festival dei popoli, quale sarebbe?
Non riuscirei a non pensare a qualcuno vicino al cinema documentario. Anche se sto forzando le maglie del genere, diciamo che non posso portare qui David Lynch. Anche se pure lui lavora con la materia del reale. Dovessi fare un discorso più sensato, direi uno dei grandi nomi del documentario come Herzog o Wenders. Quest’ultimo, per esempio, non è un documentarista puro, ma ha fatto dei documentari straordinari. Ho già un’idea per l’anno prossimo e anche qui parliamo di qualcuno che non fa documentario, ma comunque di grande spicco per abbattere le limitazioni del cinema documentario come normalmente è inteso.
In conferenza stampa hai fatto riferimento all’edizione 2022. C’è già qualcosa che si può dire?
Prima di tutto non abbiamo parlato della sezione Doc at work – Future campus che è il laboratorio del festival, delle idee e dei giovani talenti. Uno spazio fisico e creativo. Noi porteremo una ventina di giovani talenti da tutta Europa, appena usciti dalle scuole di cinema di documentari. Questi ragazzi faranno un percorso dove vedranno ogni mattina l’uno i film degli altri, avranno delle masterclass, delle tavole rotonde per discutere e affrontare i temi che più li riguardano. L’anno prossimo ci piacerebbe estendere questo progetto non solo ai registi, ma anche ai produttori e ai programmer di festival in modo che si creino delle classi che poi si ritrovano per creare una rete, così che si possano anche scegliere. Ognuna con il proprio percorso, ma la possibilità di intrecciare le proprie esperienze.
Qui il sito del festival
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli