Dal particolare all’universale. In Yaya e Lennie – The Walking Liberty Alessandro Rak trasfigura il suo mondo d’elezione facendone un laboratorio di amore, libertà e nuove relazioni sociali. Presentato in anteprima nella Piazza Grande del 74 Festival di Locarno, l’uscita nelle sale dal 4 al 7 novembre è stata l’occasione per parlare del film con il suo autore.

Yaya e Lennie – The Walking Liberty secondo Alessandro Rak
La prima e l’ultima sequenza di Yaya e Lennie – The Walking Liberty, oltre alla funzione narrativa, ti servono per raccontare fuori campo il superamento delle attuali contrapposizioni geopolitiche. Da una parte la catastrofe ambientale che ha azzerato la civiltà, dall’altra il dollaro abbandonato nell’erba mentre i ragazzi corrono verso la città della musica ci parlano della fine del vecchio sistema di valori e l’inizio di un altro.
In Yaya e Lennie – The Walking Liberty c’è l’idea di essere il più possibile sensibili alle tematiche contemporanee senza diventare troppo teorici. Ci apriamo alle più svariate letture nella consapevolezza di non poter dare risposte certe e precise perché la nostra comunque è un’opera di perlustrazione, non un modo per dirimere le questioni. Tu citi la geopolitica, io invece parlerei più di una dimensione delle cose che vengono mosse dall’essere umano. In questo senso le sequenze iniziali e finali servono probabilmente a collocare l’autodeterminismo della nostra società e del pensiero umano all’interno di un contesto che li rende meno potenti. Nelle situazioni terrene, che poi sono quelle maggiormente al centro della nostra storia, si parla di questioni politiche e sociali rispetto alle quali ci si divide: alcuni ritengono che per la convivenza civile ci sia bisogno di regole, altri che non le tollerano e si ribellano, altri ancora invece che guardano alla dimensione esistenziale in una maniera più sobria.

I punti di vista del film
In Yaya e Lennie – The Walking Liberty ho trovato forte e poetica la contrapposizione tra il punto di vista pragmatico, e direi quasi mercantile, dei rapporti umani suggerito dal dettaglio sulla moneta americana abbandonata sul prato e il sentimento espresso nella corsa dei protagonisti verso la città della musica, simbolo di una bellezza gratuita, di quelle che non chiedono nulla in cambio.
È ovvio che la moneta rappresenta un sistema di valori economico e capitalistico destinato a portarsi dietro una struttura binaria che divide le persone in ricchi e poveri. La terra della musica è tutt’altro: è il sogno dei protagonisti, ma anche di tutti coloro che lavorano in ambito artistico. È un paesaggio della cui esistenza ci si convince nel momento della creazione artistica: senza di esso viene meno qualsiasi presupposto di questo tipo.
Nel film ci sono due punti di vista che danno vita ad altrettante filosofie di vita: quello immersivo del qui e ora, pronto a portarci nel bel mezzo dell’azione, corrispondendo all’io di Lennie e Yaya. L’altro, tendente all’astrazione, volto a considerare le vicende dei protagonisti e dell’intera umanità da una prospettiva più ampia che fa del mondo una parte del tutto.
Yaya e Lennie – The Walking Liberty è abbastanza concentrato sulle relazioni umane e su quello che la società ritiene giusto o sbagliato, però l’idea fondamentale era di mettere al centro della questione l’amore disinteressato dei due protagonisti e confrontarlo con chi invece si preoccupa di stabilire regole e comportamenti. Per quanto mi riguarda penso che a premessa di qualsivoglia società ci debba essere un dialogo fatto anche di duro confronto – come capita a Lennie e Yaya che litigano spesso – e ancora la benevolenza reciproca che porta avanti le cose.

I temi secondo Alessandro Rak
Lennie e Ya Ya hanno nel loro DNA la libertà e l’anticonformismo che di fatto costituiscono il racconto tematico del film. Se rapportato alla nostra società il carattere dei protagonisti potrebbe essere l’antidoto capace di liberarci dall’egotismo della nostra società.
Il tema della libertà è centrale anche nella difficoltà di manifestarsi all’interno delle varie situazioni sociali. I personaggi del film hanno un’anarchia e un anticonformismo che gli deriva dal fatto di rispondere alle leggi della natura. Lennie e Yaya sono infatti estranei alle regole dello stato sociale e ai criteri della convivenza civile che per loro sono tutte cose da inventare lì per lì. Di contro c’è un mondo come quello dell’Istituzione che tenta di propinare un costrutto sociale fatto di regole destinate ad apparire non funzionanti dal punto di vista di quei due ragazzini. Lennie soffre di un ritardo mentale e, in una comunità legalizzata come quella messa in piedi dall’Istituzione, non può che essere identificato come pura forza lavoro mentre Yaya sfugge a qualsiasi classificazione anche perché riesce a non farsi cooptare dall’autorità vigente. Da qui la considerazione che, per quanto si sforzi di essere cavillosa e di riuscire a prevedere tutte le situazioni, la società non riuscirà mai a essere aderente alla nostra umanità. Questa è un po’ la mia sensazione ed è per questo che a emergere nel film è il suo contrario, ovvero un’elasticità di relazione che risulta più calzante alle caratteristiche della natura umana. Per riuscirci bisogna essere consapevoli del fatto che gli uomini come singoli sono sempre interpreti del bene e del male, del giusto e dello sbagliato e di tutta questa enorme complessità che siamo noi in termini di relazione.

Riferimenti e ispirazioni per Alessandro Rak
Tutto il film è un continuo oscillare tra ribellione e subordinazione. In questo senso l’inserto de Il grande dittatore in cui Charlie Chaplin vestito da Hitler invoca la democrazia e la fine della guerra mi pare possa essere la sintesi di questi opposti.
Quella scena oltre a essere un omaggio al cinema che resiste attraverso messaggi senza tempo risulta centrale perché essendo il mio un film sulla società e sulle relazioni, far vedere quella scena ai personaggi mentre condividono il pasto diventa la metafora dell’umanità in cui tutti siamo commensali della stessa tavola, pronti a dialogare sul destino delle cose. Se la tavolata rappresenta un consesso fatto di voci e opinioni diverse come lo sono quelle all’interno della varie nazioni il discorso di Chaplin, invocando all’unione tra i popoli, assume un significato che non posso non condividere.
A partire dagli anni ’80 è diventato chiaro a tutti che fumetto e cinema d’animazione avessero le potenzialità per affiancare forme di narrazioni più blasonate e tradizionali. Con l’uscita di graphic novel come Watchmen e The Dark Knight Return il fumetto dimostra di non essere solo uno svago per giovani e bambini, ma di aver raggiunto una maturità tale da saper affrontare filosofie e massimi sistemi. Il tuo cinema mi sembra figlio di questa consapevolezza, essendo prima di tutto un linguaggio e poi un genere.
Non posso non essere figlio di quello che hai detto perché oltre a venire dopo stai parlando di artisti e di opere che appartengono alla formazione di tutte le persone che lavorano nel mio ambito. Nella fattispecie ritengo l’animazione il grande calderone nel quale si riversa non solo il fumetto, ma anche il cinema stesso perché è uno spazio nel quale partendo da zero si va a inventare il singolo fotogramma. A differenza delle riprese dal vivo, che portano con sé un universo già tracciato, nell’animazione si tratta di riempire un foglio bianco: qualsiasi cosa tu decida di mettere deve essere prima pensata e poi creata e questo, bisogna dirlo, lo rende uno strumento un po’ faticoso.
Per contro lo ritengo il mezzo ideale per raccontare le cose perché poi dentro ci metti la musica, le immagini, le foto e così via. Per me è qualcosa che mi si spalanca davanti con infinite possibilità di linguaggio. Nel momento in cui si rivolge a un pubblico più maturo l’animazione fa sentire la difficoltà di ricostruire la quantità di segni di cui un adulto ha bisogno per poter seguire una storia. Nelle riprese live un personaggio è prima di tutto una persona, un attore, e questo già ti porta un bel carico di comportamenti e di fisicità che nell’animazione bisogna ricostruire dal principio. Questa caratteristica è forse quella che più di tutte ha allontanato il pubblico meno giovane dalla visione di storie con tematiche complesse. Con i nuovi software però la tendenza incomincia a invertirsi.

Una chiave universale
Una caratteristica dei tuoi film è quella di avere un’universalità che non rinuncia a una connotazione molto personale. Nello specifico un’impronta italiana e insieme napoletana.
Penso che la premessa di ogni atto creativo sia quella di partire dalla propria condizione nella speranza che quest’ultima possa interessare altri, diventando di conseguenza un po’ più universale. Insieme alla nostra casa di produzione cerchiamo di fare un’operazione di questo tipo partendo dal nostro punto sorgente, che è la città di Napoli, e dal retroterra culturale che ci ha donato la nostra patria genitrice. Da quella speriamo di arrivare alla condizione di universalità del messaggio.
Parlando della forma del film mi sembra che l’ubiquità della mdp, oltre a rendere il senso della grande avventura, diventa espressione di quella libertà invocata nei contenuti. Il tuo sguardo è libero come quello dei protagonisti.
Sulla regia ho più difficoltà a rispondere perché in linea di massima cerco di fare in modo che sia sempre la più istintiva possibile, costruendola su premesse che mi lasciano questa libertà d’istinto e dunque di posizione della mdp. Nella considerazione che il tipo di osservazione del mio dispositivo per me è di stampo documentaristico, nel senso che deve poter documentare ogni parte del nostro lavoro, restituendo la ricchezza creativa delle persone che hanno collaborato al film. Per tornare alla tua domanda, diciamo che cerco di analizzare il meno possibile i movimenti della telecamera e di essere più vittima della mia regia.

Il cinema di Alessandro Rak
Parliamo del cinema che preferisci sia da regista che da spettatore.
Non sono uno spettatore analitico perché guardando i film come facevo da bambino non riesco a fare differenza tra regista e spettatore. Come ti ho spiegato quando devo impostare la regia non mi metto a fare molti ragionamenti quindi è come se non avessi nessun retroterra culturale anche se, chiaramente, mi auguro di assorbire in qualche modo quello che vedo fatto da altre persone. Per quanto riguarda le passioni cinematografiche al di là di quello che riguarda l’animazione di maestri assoluti come Miyazaki e di vecchi capolavori della Disney che per me sono qualcosa su cui ritornerei all’infinito, e penso a Il libro della giungla, a Robin Hood e La spada nella roccia, mi piacciono molto registi come Terrence Malick oltre ai grandi Kubrick Ridley Scott, soprattutto Martin Scorsese, ti dico Wes Anderson di cui apprezzo in egual misura produzioni live e animazioni.
Il film uscirà nelle sale grazie a Nexo Digital.
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