Pose, serie diretta da Ryan Murphy e disponibile su Netflix, racconta la rivendicazione della comunità nera transgender nella New York degli anni ’80 e ’90.
La serie è ispirata al documentario Paris Is Burning (Jennie Livingston, 1990), da cui deriva l’idea di inserire l’inventore del vogueing, Jose Gutierez Xtravaganza, in qualità di giudice nell’episodio pilota.
La trama
La storia prende le mosse dal 1987 in una New York caleidoscopica: la variopinta, inclusiva ball culture s’intreccia alla sfrenata, cannibale smania di lusso dell’era Trump.
Damon (Ryan Jamaal Swain) è un ballerino di strada, cacciato dalla famiglia biologica in quanto omosessuale. Un giorno viene notato da una celebrità delle ball, Blanca Evangelista (MJ Rodriguez), che lo invita a unirsi alla sua neonata Casa Evangelista. Blanca cerca riscatto dalla Casa Abundance da cui proviene, in cui Elektra Abundance (Dominique Jackson) l’ha cresciuta.
Damon scopre, così, una comunità di artisti emarginati che si sfidano nelle ballroom a suon di musica, categorie e vogueing, costantemente messi alla berlina da un eccentrico e lezioso Pray Tell (Billy Porter). Accanto alla reale ammirazione per questo mondo, però, si sviluppa una sorta di feticismo che ammalia potenti e insaziabili uomini d’affari bianchi: è il caso di Stan (Evan Peters, da American Horror Story), padre di famiglia che si lascia trascinare confusamente nella ball culture, dopo essersi invaghito di Angel (Indya Moore), donna nera transgender.
Il cast
Resilienti donne nere transgender: sono loro al centro della storia, messa in scena da interpreti che conoscono questa realtà nel dettaglio. MJ Rodriguez, Dominique Jackson, Indya Moore, Hailie Sahar e Angelica Ross incarnano i tratti salienti che la narrazione si propone di affrontare e, in qualche modo, anche di scardinare: essere donna, essere nera, essere transgender. È fondamentale che siano proprio donne nere transgender, in quanto l’occhio dello spettatore familiarizza fin da subito con una rappresentazione vera. Non sono “uomini travestiti da donne” (messaggio che rischia di passare con un’interpretazione da parte di uomini cisgender), ma donne “in carne ed ossa” con il loro ampio spettro di esperienze. Da ciò discende una piena comprensione della “minoranza” da portare allo scoperto, rompendo con i moduli stereotipati di simili narrazioni.
Una scrittura così consapevole poggia sull’esperienza della sceneggiatrice e produttrice Janet Mock, donna nera transgender, che scorge nella serie la possibilità di arrivare al pubblico con storie semplici, comuni, ma legate da qualcosa di straordinario: l’inesauribile slancio verso un futuro migliore, intersezionale e unito, malgrado tutti gli ostacoli.
I temi
Le donne del film sono vere e proprie madri per ogni reietto bisognoso di trovare una famiglia. Intorno a loro gravitano, pertanto, altri personaggi, tesi a rivendicare la propria emancipazione da una società fondata sull’oppressione e sull’omertà. Ecco, quindi, che la ball culture diventa un’arte attraverso cui conquistarsi libertà e rispetto.
Le protagoniste sono donne fiere, amorevoli, vulnerabili, caparbie, protettive, responsabili, convinte di reclamare i propri diritti. Ma non è una lotta fine a sé stessa: l’obiettivo principale è assicurare una migliore esistenza a qualsiasi persona caduta vittima di discriminazione o di ingiustizia – a prescindere dall’orientamento sessuale, dall’identità di genere, dalla professione lavorativa, dal colore della pelle. Tutti sono investiti dello stesso valore – siano gay, lesbiche, transgender, drag, spacciatori, prostitute, adolescenti rinnegati dai genitori.
La narrazione non si esime dall’affrontare tematiche a lungo ignorate come l’AIDS, ma le porta alla luce nel modo più sorprendente possibile: la malattia non è uno stigma o solo un veicolo di sofferenza, ma si trasforma in un trampolino di lancio per scuotere gli animi e per combattere in nome della propria indipendenza.
Chi ha detto che essere outsider implichi condurre una vita di stenti e miseria? Pose, appunto, ribalta ogni prospettiva: le donne possono detenere il controllo, essere temibili boss mafiosi e, soprattutto, autodeterminarsi. E come loro, tutti coloro che siano disposti ad abbracciare il progresso. Insomma, a una realtà atavicamente marginalizzata si ri-attribuisce l’opportunità di sognare e di avere fede: tutto può accadere, tutto può cambiare.
Attrazione fatale
Uno dei migliori pregi di Pose risiede nell’universalità dei suoi contenuti, che ritraggono il mondo nella sua interezza oscillando fra passato e presente. La quotidiana battaglia delle donne in un mondo patriarcale. L’estromissione del diverso da un gruppo consolidato – poco importa se si tratta di MBEB [Maschi Bianchi Etero Basic, nda] omofobi o gay intransigenti. L’eterna ricerca della propria identità.
Come ricorda Elektra: “Ci vuole lavoro, motivazione e sacrificio per essere una donna.”
Altro fiore all’occhiello del film sono i costumi: un tale tripudio di colori ed eleganza da rimanere immediatamente folgorati. Le ball sono, dunque, espressione della propria interiorità, autenticità e verità.