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Alice nella città

Futura. Conversazione con i registi Pietro Marcello, Francesco Munzi e Alice Rohrwacher

Futura è il racconto poetico di una generazione di giovani che ragiona sulle aspettative della propria esistenza

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Presentato in anteprima nazionale ad Alice nella città dopo essere passato alla Quinzaine des Réalisateurs Futura è il ritratto poetico di una generazione di giovani raccontati attraverso le ansie e le aspettative sulla vita che verrà. Prodotto da Avventurosa con Rai Cinema Futura arriva nelle sale il 25, 26 e 27 ottobre e noi ve ne parliamo lasciando la parola ai suoi registi, Pietro Marcello, Francesco Munzi e Alice Rohrwacher.

Futura secondo i suoi registi

Futura è un lavoro condiviso nel senso vero del termine. Avreste potuto filmarlo singolarmente articolando il film in diversi episodi invece optate per una narrazione uniforme in cui il vostro lavoro confluisce in un solo sguardo. Oltre a essere una cosa rara nel cinema di oggi Futura è anche una dichiarazione di metodo oltreché della vostra comunione artistica.

Pietro Marcello: Futura è un film collettivo nel vero senso del termine perché noi siamo rappresentativi di un progetto su cui hanno lavorato un mucchio di persone. Io sono molto scettico riguardo alle co regie, però credo nel cinema collettivo che si traduce in una visone ideologica e mutualistica intesa come volontà di supportare l’altro. Ciò significa che noi rappresentiamo questo film non come singoli individui ma nel nostro insieme. Dove non arrivava uno ci pensava l’altro. Questo è stato il metodo con cui abbiamo realizzato Futura.

È una cosa che non capita spesso.

PM: È capitato in passato. Tutti i film più importanti del cinema di reportage e d’inchiesta sono nati così.

Francesco Munzi: La particolarità di Futura è la sua dimensione collettiva. Non è un film a episodi quindi la difficoltà, ma anche la scommessa, è stata quella di mescolare le varie sequenze. A guidarci  è stata l’urgenza e il desiderio di dare la voce alle nuove generazioni cercando di scoprire in maniera sincera le loro opinioni. Questo obiettivo era più forte di qualsiasi vezzo stilistico come pure dell’idea di lasciare un proprio segno all’interno del film.

Una regia corale, ma unica

Il risultato è stato raggiunto perché in Futura è impossibile fare distinzioni assegnando singole paternità alle immagini che scorrono sullo schermo.

Alice Rohrwacher: Sì. È stato un percorso bello. Come hanno detto Pietro e Francesco, l’aspetto più importante è stato supportarci uno con l’altro per riuscire a fornire un panorama più completo possibile della gioventù sparsa in ogni angolo d’Italia, cogliendone lo spirito del tempo. Chiaramente questo non è stato possibile fino in fondo perché, dopo venti giorni dall’inizio delle riprese, è scoppiata la pandemia. Spesso ci siamo trovati a fare interviste a persone che non conoscevamo in maniera intercambiabile. A guidarci non era il nostro individualismo, ma il desiderio di coprire più regioni possibili. Questo ha voluto dire cambiare spesso il piano delle riprese: così è capitato che, per ragioni di praticità, ci siamo scambiati i set. Futura è un film difficile da giudicare perché al di là della sua riuscita immediata è stato pensato non solo per il pubblico di oggi, ma anche per quello che, tornando a vederlo tra vent’anni, vi troverà lo spirito di un tempo oramai cambiato. 

PM: Normalmente siamo abituati a parlare come singoli perché il regista è una figura molto egoista. Quando lavora si rivolge agli altri solo per chiedere aiuto. In questo caso è stato giusto fare il contrario e cioè mettersi a disposizione di un intento collettivo, essendone un esecutore. L’esperienza di Futura è stata tra le più belle mai fatte per cui sono dell’idea che ci sia necessità di ritornare a fare film d’inchiesta tutti insieme. Sarebbe anche un modo per essere un po’ diversi.

Per composizione e caratteristiche fotografiche la sequenza d’apertura ritrae l’esistenza giovanile con delicata poesia. Fin dal principio sembra che questo faccia parte di una sorta di restituzione rispetto all’immaginario che è stato tolto ai ragazzi. In particolare la fotografia sembra tradurre il presente dei ragazzi con delle tinte che paiono guardare al passato.

PM: Questo è successo perché noi giriamo in pellicola. All’inizio eravamo un po’ preoccupati poiché oramai non c’è più nessuno che va in giro con le cineprese. Per noi, però, è stato molto importante perché i ragazzi sono abituati a riprendersi con i cellulari mentre, trovandosi di fronte alla cinepresa, hanno capito che si trattava di un’altra cosa. Questo ha reso tutto molto più bello perché abbiamo potuto lavorare con i tempi del cinema e con i ragazzi consci di trovarsi su un vero e proprio set.

La fotografia di Futura dal punto di vista dei registi

Certo è che, grazie alla pellicola, i loro visi rimangono impressi in maniera diversa rispetto a quando sono ripresi con telecamere digitali. I visi e le espressioni emanano un altro calore e un’autentica poeticità. In questo è come se la fotografia del film conferisse al tempo presente una forma di passato che di fatto non gli appartiene e che, però, è presente nelle vostre immagini.

FM: Nel momento in cui ci avvicinavamo ai ragazzi l’utilizzo di una pellicola da 16 mm ha dato autorevolezza al nostro dispositivo. Poi, probabilmente il tipo di pasta e la sua grana hanno creato una sorta di trasfigurazione che ci ha permesso di bypassare l’immediatezza della cronaca che poi era il grande rischio di un film del genere. 

AR: Lavorare con la pellicola ci ha dato anche dei limiti temporali, nel senso che, per ogni giorno, avevamo al massimo quattro bobine e dunque c’era anche la necessità di accettare il fatto che non potevamo andare a fondo nella conoscenza di questi ragazzi. Sembra una cosa negativa, ma in realtà per noi non lo è stato. I giovani sono molto abituati a parlare di sé, dei loro problemi, ma molto poco delle proprie opinioni. L’immediatezza delle riprese richiedeva di concentrarsi su queste ultime più che sulle storie personali. I giovani potrebbero raccontartele per ore perché ormai sono abituati a farlo. Al contrario di noi che eravamo incapaci di farlo. In questo caso la pellicola ci obbligava ad andare direttamente sulle opinioni, quindi anche per noi è stato difficile perché trovare la domanda giusta sapendo che hai un tempo limitato non era così scontato. Dunque siamo stati anche noi allievi di questo film.

futura registi

Le vostre immagini contengono un pezzo di futuro perché in qualche modo i ragazzi ne sono una sorta di estensione nel presente. In Futura, però, inserite anche materiale d’archivio che finisce per dialogare con quello da voi girato in un rapporto tra passato e futuro che riproduce il senso del film.

PM: Le immagini di repertorio relative a Danissinni nascono dal fatto che, trovandoci lì a girare, ci è venuto in mente di fare un confronto tra il passato e il presente di questa cittadina. Da lì la constatazione di come questi luoghi siano rimasti quasi gli stessi rispetto al dopoguerra.  Nel frattempo non ci sono state bonifiche e adesso, a prendersi cura dei ragazzi, ci sono questi frati cappuccini. Perché poi in Italia spesso la chiesa si sostituisce al pubblico nell’occuparsi di chi ha bisogno.

FM: Per rispondere alla tua domanda sul rapporto tra il passato e il presente delle immagini dico che può anche essere. Allo stesso tempo sia quelle che le nostre possono essere entrambe già archivio perché così percepivamo anche quelle che erano in nostro possesso. Considera che abbiamo montato il film senza una scaletta né scrittura, ma solo attingendo dalla grande mole di girato. Quest’ultimo per noi era una sorta di grande archivio del presente; il film stesso lo era fin dalla sua nascita.   

AR: Aline Hervé, la montatrice del film, è una delle persone facenti parte di questo progetto collettivo che noi siamo qui a rappresentare. Riuscire a rivolgersi a tutto questo materiale come fosse un archivio non è stato facile. Se abbiamo trovato una linea narrativa lo dobbiamo al suo incredibile lavoro.

Gli eventi raccontati

Un altro inserto presente nel film è quello relativo al G8 di Genova e, in particolare, ai fatti accaduti alla scuola Diaz. Accostare quelle terribili immagini alle facce attonite dei vostri ragazzi equivale a fare di quel momento una cesura esistenziale: come se da quel punto in poi non fosse stato più possibile pensare a un altro tipo di mondo.

AR: Parlando con i giovani che adesso hanno vent’anni ci siamo confrontati su come eravamo noi a quell’età e l’evento più significativo di quei giorni, quello capace di traumatizzare il nostro immaginario, è stato il G8. Da quel momento in poi si è passati da Un altro mondo è possibile a un unico mondo possibile. Prova ne è il fatto che, relazionandoci ai ragazzi, spesso abbiamo avuto la sensazione che si possa essere dissidenti o consenzienti, ma sempre all’interno di un unico mondo possibile. Ciò equivale ad aver tolto loro la facoltà di immaginare un mondo diverso da questo. Possiamo essere a favore o contrari, possiamo protestare, possiamo essere dentro il sistema ma non ce n’è un altro, e questo era un po’ il nostro grande dispiacere. Utilizzare quel materiale d’archivio significava mettere in scena la nostra giovinezza.

PM: Attraverso la repressione i ragazzi non hanno nessun elogio dell’azione. La loro idea è che ci si deve ribellare, ma sempre all’interno delle regole. 

futura registi

La poetica della sequenza conclusiva mi sembra indicativa sul senso del vostro film. La corsa del bambino che si avvicina pericolosamente alla strada piena di macchine e poi si ferma ad aspettare la mamma che non gli prende la mano, ma si limita ad accompagnarne i passi riassume il tipo di rapporto tra genitori e figli da voi auspicato nel corso del film.

AR: Solo la pellicola poteva creare l’immagine finale perché si tratta di una vera fine di rullo, ovvero di una coda non abbastanza lunga per fare una domanda, ma neanche abbastanza corta per buttarla via. Quando il bambino ha iniziato a correre abbiamo incominciato a riprendere aspettando che finisse la pellicola. È stato forse l’unico momento di osservazione pura di tutto il film, sufficiente perché si creasse una piccola storia sulla relazione tra gli adulti e i giovani capace di diventare simbolica del tipo di rapporto che auspicavamo per questi ragazzi. E cioè che, nonostante i nostri richiami, continuino a essere liberi, ma comunque attenti ai pericoli in cui si possono imbattere. A questi alludono le macchine che corrono sulla strada verso cui il bambino si sta incamminando.

Oltre alla conversazione su Futura con i registi del film, a proposito di Alice nella città, leggi anche: Alice nella città 2021 tutti i premi: Petite maman miglior film

Futura di Pietro Marcello, Francesco Munzi, Alice Rohrwacher

  • Anno: 2021
  • Durata: 105
  • Distribuzione: Luce Cinecittà
  • Genere: documentario
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Pietro Marcello, Francesco Munzi, Alice Rohrwacher
  • Data di uscita: 25-October-2021

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