War is over è il nuovo documentario di Stefano Obino (Il vangelo secondo Precario, Vinicio Capossela – Nel paese dei Coppoloni), presentato in concorso nella sezione ‘Panorama Italia’ dell’edizione 2021 di Alice nelle città.
War is over è concepito come un viaggio nel Kurdistan iracheno, una terra pesantemente colpita dal conflitto contro l’Isis che ha lasciato in eredità una quarantina di campi profughi e 1,6 milioni di persone in stato di necessità, molti dei quali minorenni.
Un documentario che intende mostrare non tanto il conflitto, quanto la vita che, lentamente, riprende
A Stefano Obino, tuttavia, non interessa raccontare il conflitto. Ciò che gli preme, soprattutto, è mostrare la vita che riprende, lentamente e a fatica, in quei luoghi che hanno visto per molto tempo null’altro che guerra.
Prodotto dallo stesso regista e da Tania Masi in collaborazione con la ONG AISPO (Associazione Italiana per la Solidarietà tra i popoli), War is over, dopo un prologo che sente il presidente iracheno annunciare la fine del conflitto e la sconfitta dell’Isis, si focalizza su ciò che la guerra ha lasciato e sulla vita che lentamente riprende in varie zone del paese.
In War is over il racconto si snoda nell’arco di un anno – il 2018 – ed è costituito soprattutto da immagini e suoni della vita di tutti i giorni. Nel film di Obino la parola è pressoché assente per non “inquinare” quanto la macchina da presa riesce a cogliere nelle varie tappe del viaggio.
Dai campi profughi a Mosul, sino ad arrivare alla città di Sulaymaniyah, nei pressi del confine con l’Iran, Obino e il direttore della fotografia William Chicarelli Filho fotografano situazioni che, a noi occidentali, parrebbero rappresentare la normalità ma che, in una terra martoriata a lungo da un pesante conflitto, appaiono come una sorta di miracolo.
Istantanee che mostrano la tenacia di una popolazione mentre, in tutti i modi, vuole riprendersi la voglia di vivere e la speranza in un futuro migliore.
Le immagini si alternano alla voce di una madre – unica concessione alla parola – che, fuoricampo, narra una sorta di diario ad accompagnare lo spettatore per tutta la durata del film.
Rappresentazioni della vita quotidiana; gesti quasi banali che, tuttavia, assumono un carattere speciale in uno scenario devastato dalla guerra.
Vediamo dei ragazzi nuotare e giocare in una piscina, un gruppo di persone esultare di fronte a un televisore al gol di ‘Mbappé durante la finale del mondiale di calcio tra Francia e Croazia, un pizzaiolo che prende gli ordini per la consegna a domicilio presso un campo profughi.
Infine, un gruppo di giovani artisti allestiscono uno spettacolo teatrale proprio sul conflitto in una fabbrica di tabacco abbandonata: testimonianza di una comunità che, nonostante tutto, non ha mai rinunciato a vivere.
Le immagini restituiscono allo spettatore la volontà e la tenacia dei vivi a riprendersi una cosiddetta “vita normale”
Gesti semplici che trasmettono, però, con forza, la consapevolezza di come distruzione e morte non riescano a eliminare nei vivi il desiderio di riconquista di una cosiddetta “vita normale”.
Stefano Obino, con War is over, riesce nell’intento di raccontare la vita quotidiana al di là dei cliché legati alla guerra ai quali siamo abituati (e “affezionati”). Mostrando, come afferma lo stesso cineasta, tutta l’energia e “la ‘spasmodica voglia di normalità’ lontano dallo storytelling mainstream, dalle solite immagini di guerra”. Cercando di “capire cosa succede se ci si pone l’intento di andare, con stile e contenuti, nella direzione opposta a tutte le breaking news”.
Si esce arricchiti dalla visione di War is over, consapevoli che la vita che resiste e rinasce è più forte di qualsiasi guerra con il suo fardello di morte e distruzione. E per capire tutto ciò le parole sono superflue: sono sufficienti le immagini e la delicatezza e la discrezione con le quali queste vengono mostrate.