The Justice of Bunny King, primo lungometraggio di Gaysorn Thavat, è in concorso alla XIX Edizione di Alice Nella Città.
È la storia struggente di una mamma che lotta con tutta sé stessa per riavere i propri figli. Il personaggio centrale è appena abbozzato e il suo trascorso è svelato progressivamente. Risulta evidente, invece, il forte istinto materno, vera forza motrice del film, che nel complesso si rivela un dramma sulla violenza domestica.
La trama
Bunny King è una madre tenace di due figli che le sono stati sottratti dalle autorità. Lavora all’incrocio di una strada trafficata e con il suo intuito riesce a spillare soldi agli automobilisti. Dopo aver promesso a sua figlia una festa di compleanno, Bunny deve lottare contro i servizi sociali e infrangere le regole per mantenere la sua parola, ma così facendo rischia di perdere i figli.

La denuncia sociale
Gaysorn Thavat con The Justice of Bunny King rappresenta il dramma di una madre. Per i temi che tocca, la vicenda sembra imboccare la strada della denuncia sociale.
Direzione confermata dal contesto in cui viene immersa la protagonista. Bunny è di fatto una senzatetto, che dopo essere stata cacciata di casa dalla sorella, non ha più un riparo e con i pochi mezzi che possiede si mette alla disperata ricerca di una casa.
La Bunny senzatetto rappresenta una realtà della società neozelandese. Il Paese, infatti, risulta al primo posto per il tasso di persone senza fissa dimora.
The Justice of Bunny King di certo non è un film sulla crisi abitativa, ma ciò serve per dare al lungometraggio una connotazione più reale e rendere la storia raccontata ancora più struggente.
Centrale, invece, è il tema della violenza domestica, che si sviluppa su un doppio binario. Il passato di Bunny è semplicemente accennato: ha ammazzato suo marito violento per difendersi e per questo è stata arrestata e separata dai figli.
Dopo aver scontato la sua pena in carcere, per lei le sofferenze non sono finite: scopre che il compagno della sorella ha comportamenti equivoci nei confronti di Tonya, sua nipote.

Un cristianesimo puro
Ma quando rivela tutto non è creduta e viene bruscamente cacciata di casa. Non essere creduta, dalla sorella, dall’assistente sociale e persino dai figli, è costante nella vita di Bunny.
Come il continuo scontrarsi con le istituzioni, e che queste siano rappresentate dalla Giustizia o dalla Famiglia, non fa nessuna differenza; Bunny viene sempre respinta e non contano a nulla le sue buone intenzioni.
La protagonista di The Justice of Bunny King paga a caro prezzo il suo essere diversa, il non volersi omologare con la società e soprattutto la sua istintività, che usa sempre per difendere i più deboli.
Non è sola, però. I suoi compagni di lavoro credono in lei e l’aiutano: sono individui emarginati, che sanno condividere con il prossimo quel poco che possiedono, generosamente.
Ciò è un chiaro riferimento a una matrice di carattere cristiano, un cristianesimo puro, a tratti primitivo, ma potentissimo. Gaysorn Thavat non fa mistero di questo legame, inserendo nel film momenti di preghiera e mostrando immagini religiose.
Ma soprattutto c’è Tonya, che è accanto alla zia nel suo ultimo viaggio per riabbracciare i propri figli. In questo disperato tentativo, Bunny indossa un vestito elegante, una specie di uniforme per integrarsi con la società.
La donna in parte fallisce, ma riesce a salvare la giovane nipote. Tonya acquista coscienza di sé stessa, come individuo e come donna e attraverso l’istintività e la passione della zia, si intravede per lei un futuro libero.
The Justice of Bunny King – Official Trailer – YouTube