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Venezia .68. “This is not a film”: se un regista non può esprimersi (Fuori Concorso)

“This is not” a film è un documentario di registrazione delle giornate piatte e ansiose e dei tormenti dell’animo di Panahi, la denuncia alle limitazioni a cui tutti i registi iraniani sono indotti.

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Jafar Panahi ha partecipato ai movimenti di protesta contro il governo iraniano del marzo 2010. Da quel momento è in attesa di un verdetto che lo potrebbe condurre a 6 anni di prigionia e 20 di interdizione dalle attività di regia, sceneggiatura e produzione film.

La sua carriera è riconosciuta a livello internazionale: Il cerchio, nel 2000 è Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia; Oro rosso, nel 2003 è Premio della Giuria Un certain regard a Cannes; Offside, nel 2006 ottiene l’Orso d’Argento al Festival Internazionale del cinema di Berlino. Tuttavia, sappiamo come l’Iran stia attraversando un periodo di complessa vessazione delle opposizioni, che ha coinvolto anche la prolifica attività di questo regista dallo sguardo acuto. Ragione per cui egli non ha potuto assistere alla presentazione di This is not a film a Venezia (e prima a Cannes), che ha raggiunto l’Europa in una clandestina chiavetta usb senza il suo creatore al seguito.

Eccolo quindi trovarsi isolato e rinchiuso tra le pareti casalinghe, imprigionato nei suoi pensieri. Un giorno realizza che la miglior denuncia di questa prigionia mentale è la narrazione della noia, del condizionamento, dell’ansia da controllo che soffoca le sue giornate, uguali e dipendenti da un verdetto che penzola affilato sopra la sua testa.

Per questo accende la videocamera e testimonia la sua incapacità di fermare lo scorrere dei  pensieri, aiutato dal collega Mojtaba Mirtahmasb. Dal risveglio alle svariate telefonate all’avvocato, per sapere se qualcosa è cambiato; per inventarsi una strategia di mobilitazione internazionale, alle quali il governo iraniano è ancora sensibile (per reputazione, non per interesse). Fino a concretizzare una necessità irrefrenabile: raccontare il prossimo film, o almeno quello ch’egli aveva intenzione di realizzare, disegnando con lo scotch sul tappeto la location, simulando i movimenti dei personaggi, leggendo le battute come fossero reali. Non c’è modo di placare l’inquietudine di Panahi.

Sullo sfondo, la cronaca televisiva di una giornata particolare, la “Festa del fuoco”, una celebrazione dalle antiche origini, che ha favorito il sollevarsi di ulteriori proteste, che Panahi vive dall’alto, esternamente, riprendendo con il cellulare: come se questo possa essere un vano prolungamento di un occhio che non può attivamente partecipare alla vita del suo Paese. Alla sua vita.

L’unico compagno di questa monotonia, a parte l’eccezionale videocamera liberatoria, è Igi, un iguana curioso e affezionato che rende assurdo il contesto casalingo di prigionia a cui Panahi è costretto.

This is not a film non è un film, appunto. Ma un documentario di registrazione delle giornate piatte e ansiose e dei tormenti dell’animo di Panahi, realizzato senza costrutti complessi o precisione tecnica, spogliando i fatti di qualsiasi abbellimento cinematografico. Il risultato è la denuncia alle limitazioni a cui tutti i registi iraniani sono indotti, e la prova che ancora l’idea supera la forma, almeno nel racconto dei fatti e nella testimonianza dei cambiamenti.

Non cercate i ringraziamenti nei titoli di coda. Panahi lo dedica a tutti i registi iraniani: dei loro nomi però non restano che dei protettivi e anonimi puntini di sospensione, e questo incitamento sottinteso nel volto del prigioniero a non mollare, a non abbandonare la propria attività, a non smettere di pensare.

Rita Andreetti

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