Inedita. Susanna Tamaro: unplugged di Katia Bernardi, prodotto da GA&A con il supporto di Rai Cultura e Trentino Film Commission, fa parte della sezione Riflessi della Festa del Cinema di Roma. Il documentario è in effetti una lunga intervista all’autrice di Va’ dove ti porta il cuore (Baldini & Castoldi), Anima Mundi (Rizzoli), Salta, Bart! (Giunti) e l’ultimo Una grande storia d’amore (Solferino, 2020). Al centro del racconto, il rapporto tra la protagonista e la realtà, filtrato dalla sindrome di Asperger.
La protagonista, l’Asperger e il mondo
Susanna Tamaro, triestina di nascita, racconta di sé con una certa soddisfazione. Le riprese mostrano la sua abitazione nella campagna di Porano (Terni, Umbria), dove vive con la compagna, la sceneggiatrice Roberta De Falco, e la casa natale. Non c’è traccia di goffaggine, timidezza o rigidità, gli aspetti che la Tamaro avverte su di sé.
La scrittrice racconta di aver vissuto un calvario durato trent’anni, indossando una maschera per coprire la sua diversità, fino alla diagnosi dell’Asperger che l’ha «liberata». Il terrore per gli eventi mondani, «l’esasperazione sensoriale», il dettaglio visivo nel quale è possibile smarrirsi e quindi estraniarsi: sono alcune delle caratteristiche della sua sensibilità e, d’altro canto, alcuni simboli della sindrome. L’Asperger è, secondo la protagonista, «la fatica d’interagire con un mondo che non ti appartiene». Il mondo altro, nel quale la Tamaro si è rifugiata, invece, è fatto di passeggiate in campagna, ciclismo, arti marziali, osservazione della natura e apicultura. «Le sue ossessioni» le chiama, alle quali si aggiunge certo la scrittura, la «grande terapia»; «ho trascorso nel silenzio buona parte della mia vita» spiega «nel silenzio ho distillato le parole». La lettura (e non la scrittura) è una difesa contro le offese del mondo, scrisse Cesare Pavese. Tamaro racconta di aver scritto in modo incessante dai venti anni in poi, di aver «dedicato la propria esistenza alla scrittura». La vita come laboratorio di parole è forse l’aspetto più affascinante di tutto il documentario, non fosse questa una dichiarazione estremamente ambiziosa.
«Non capisco nulla di quello che succede nel mondo. Ho scritto più di trenta libri per capirlo».
Susanna Tamaro
Distillare la vita a partire dal dolore
Dentro l’Asperger c’è l’aspetto scientifico e quello della sensibilità. In questo senso, forse, la protagonista traccia un parallelo tra la scrittura e le scienze naturali; le due cose, sostiene, hanno in comune l’osservazione della realtà senza il giudizio. Inedita, indirettamente, trasmette una distinzione speculare: la sindrome, in senso medico, presenta precisi connotati, quindi chi condivide questa percezione del mondo è (oppure è in potenza) un Asperger; una diversa sensibilità è, d’altro canto, un diverso modo di vivere e di soffrire, niente altro. L’Asperger è, volendo ricorrere a un termine oggi così in voga, una diversa normalità. Al netto della sofferenza, che è un fatto intimo, l’Asperger è in fondo una malattia?
Un cortocircuito tra privato e narrativa?
Quanto al giudizio sul film, Inedita soffre di una tendenza all’autoreferenzialità. L’autoracconto, non filtrato da interventi registici, senza punti di vista altri – che non siano quelli delle persone vicine alla protagonista –, ha limiti evidenti. In particolare quando tratta della vicenda editoriale: il romanzo di esordio, Va’ dove ti porta il cuore, un inaspettato best seller mondiale degli anni novanta, venne rifiutato da diversi editori tra i quali Adelphi, Sellerio, Guanda. Un distinguo è ora necessario: il fatto di non essere compresa, in quanto persona, ha certo determinato la giovinezza della protagonista e manipolato il suo dolore. Discorso differente, però, va fatto per la carriera di scrittrice: come giustamente afferma Vicki Satlow, il destino editoriale è imperscrutabile; il romanzo di esordio della Tamaro, con ogni probabilità, in qualche caso con ogni evidenza, non rientrava (e, in alcuni casi, non rientrerebbe ancora oggi) nella linea culturale-commerciale delle case editrici allora interessate. Il successo della Tamaro, come molti successi letterari, risponde a poche leggi ed era imprevedibile. Non riguarda, allora, la categoria della «comprensione». Va aggiunto che, pur essendo Inedita, soprattutto, un documentario su di una scrittrice, risulta del tutto privo di una riflessione letteraria obiettiva.
L’opera o la protagonista hanno una certa vanità letteraria, l’aspirazione a creare un personaggio semiromanzesco, a elevare la vita privata in arte. In questo non c’è finzione ma solo un’assenza di distacco e, in parte, una carenza di regia.
Quel che resta, il sospetto o il conforto da raccogliere a fine visione, è che, dopotutto, saper stare al mondo è una questione di punti di vista.
Vedi anche: Alice nella città: parte la XIX edizione del festival.