Essere o non essere Shakespeare? Ogniqualvolta ci siano da evocare amori, tradimenti, morte – tragedia, insomma – il letterato inglese resta un riferimento ineludibile. Oggi, forse, gli daremmo del dark. Hamlet, del regista turco Kaan Müjdeci, dichiara la sua ispirazione sin da titolo e tagline. La serie, presentata in anteprima a Roma nell’ambito di Alice nella Città, ambienta in Turchia un racconto che ambisce a destrutturare le categorie di spazio e tempo dell’opera shakespeariana, mantenendone lo spirito in un’altra vita: il cinema del terzo millennio. Non in copia integrale, possibilmente. Scontato l’attacco dell’articolo: c’è del marcio in Turchia. Ma vero è che il prologo delle prime due puntate presentate alla Festa del Cinema di Roma è torbido. Non poco.
L’inizio di stagione
Nella notte appena rischiarata da un faro troppo debole, e qualche torcia crepitante, rimbomba il motore della nave. In lontananza i nitriti, appena coperti da un soundtrack disturbante e distonico. 81 cavalli vengono fatti sbarcare su un’isola. L’idea di Ahmet, magnate del trasporto su carrozza, è quella di sopprimerli uno a uno. È parte di una strategia che il fratello Kadir non condivide. Uno dopo l’altro gli equini sono accoppati, ma poi è qualcun altro ad eliminare lo stesso Ahmet. Non è uno spoiler riferire – per i pochi che non conoscano Amleto – che la colpa è proprio del fratello. Il senso di colpa, pure. Ma come farne, ad arte, per la settima arte, una storyline seriale?
La trama
Giorni nostri, Isola di Büyükada, al largo della costa di Istanbul. Per avidità, Kadir Kesmeci (Erdal Beşikçioğlu) uccide suo fratello Ahmet, commerciante di cavalli, fingendo un incidente beffardo: un cavallo che lo avrebbe scalciato, spingendolo per un dirupo. Ma Hazar (Elif İşçan) figlia di Ahmet, sa bene che al padre bastava guardare negli occhi l’animale per capirne al volo le intenzioni, e non se la beve per un secondo. Mentre Kadir cerca di prendersi affari ed affetti del fratello, Hazar tenterà di congegnare un piano efferato per vendicare il genitore e inchiodare l’omicida.
7 ipotesi sulla serie completa
Servirebbe passare per le sette puntate di 45’ di Hamlet, come sette gironi di un inferno privato, per raccogliere le impressioni sugli esiti dell’audace operazione di Kaan Müjdeci. Che definire un semplice restyling del fonte letteraria sarebbe superficiale. Se tanti e immaginabili sono gli intrighi a venire, grazie ad Alice nella Città l’avvio non è più un mistero. Ecco, in base alle prime due puntate, cosa si può profetizzare sulla serie in sette punti.
1. There will be blood
Ci aspettiamo che nei credits sia specificato – ed è sicuramente così, come avviene in questi casi – che nessun animale sia stato ferito durante le riprese. Perché la strage dei cavalli nella prima parte, oltre che una promessa sanguinaria, costituisce un insieme di sequenze – da piani ravvicinati a campi lunghi – d’incontrollabile raccapriccio. Nella notte, così come alle prime luci dell’alba. Quando è il mandante a subire la stessa sorte, non può non risuonare una domanda sardonica che cita il titolo di un famoso film di Sydney Pollack: non si uccidono così anche i cavalli? Ci aspettiamo altro sangue.
2. Conflitti amletici di gender
Se Shakespeare è universale, poco conta che lo spirito di Amleto si reincarni in un uomo o in una donna. Il regista Kaan Müjdeci ha già dichiarato a Variety che in sostanza il suo Amleto è “genderless”, senza genere. Non c’è dubbio, però, che lo spettatore avvisti precocemente la centralità di Hazar, figlia dell’assassinato e nipote dell’assassino. All’inizio diresti che ha un caratterino da diciannovenne: la madre le dice di alzarsi dal letto, che c’è l’idraulico. Lei: “e allora?”. Non fa una piega. Poi, da un confronto rabbioso ma controllato con lo zio dopo la morte del padre, si capisce che c’è anche il carattere. Amleto donna con gli attributi.
3. Attenti al padrino
Non è tanto nel gesto omicida che si avverte la sete di potere di Kadir. È più rivelatrice una posa stravaccata sul divano della casa della cognata: il boss, che già si è preso l’impresa di famiglia, sta per mettere le mani anche sulla donna del fratello. Già sognata morbosamente, peraltro, in un’indovinatissima scena onirica a inizio seconda puntata. Ma è pur sempre un padrino shakespeariano, dalla coscienza tormentata. Che si manifesta, nemmeno a dirlo, proprio in riflessioni mutuate letteralmente dall’originale.
4. Non un restyling, ma che stile
Il talento di Kaan Müjdeci si è palesato solo a tratti negli ultimi anni, dopo l’exploit di Sivas (2014), lungometraggio d’esordio valso il Premio Speciale della Giuria a Venezia 71 e la candidatura turca agli Oscar. È un autore dalla storia piuttosto singolare: si sarebbe trasferito a Berlino per studiare regia, ma avrebbe, poi, prima aperto un cinema illegale all’aperto, in seguito creato un concept di moda col fratello Yasin, Voo Store. Nei 90 minuti di anteprima ad Alice nella Città, le note stilistiche sopra le righe sono diverse. Tanto per dirne qualcuna: dall’inizio, con la cacofonia nel buio della notte ad accompagnare l’arrivo dei cavalli, allo slow motion del funerale, fino al divertissement dello specchio su cui compare il titolo nel secondo episodio, insozzato dallo sputo di Kadir, furioso con se stesso per la coscienza agitata (a proposito di sensi di colpa) E in generale: l’inclinazione ad assecondare l’ombra dell’anima con gli esterni divorati, in fotografia, dal buio. Il dark è più di una moda.
Hamlet: Hazar (Elif İşçan) al cimitero
5. Anime nere
C’è un’altra forma di oscurità, che la serie di Kaan Müjdeci, in maniera solare, sembra voler approcciare: l’esoterico, il magico. Di estrema suggestione la figura della cartomante, che bisbiglia mezzi vaticini a lume di candela, confondendosi col sibilo di un serpente. La macchina da presa indugia squama per squama sul rettile fino allo sguardo gelido. Da brividi. E non saranno gli ultimi fremiti dal soprannaturale: ovunque cimiteri, fantasmi e una diffusa aria allucinata. Se non è total black, poco ci manca.
6. Il battito animale
Né i cavalli, né i serpenti, e nemmeno le galline del cortile di famiglia esauriscono il bestiario di Hamlet. C’è una scena in un canile, con i cani trasfigurati nell’immagine di una ferocia pronta a deflagrare. Ancora, in una passeggiata in spiaggia, Hazar, dopo aver paragonato i gabbiani a dei re, si spinge a dire:
Mi piacerebbe essere un gabbiano, ma non per un avere una corona. Qualsiasi cosa pur di non essere umano.
Anche perché è nell’umano che si scatenano le passioni più pericolose. Immaginiamo appartengano – ferocemente – anche alle altre puntate.
Hamlet: Hazar e sua madre unite (per quanto?) dal dolore
7. Malafemmene, o donne che abbracciano il lato oscuro
È un’altra tragedia di Shakespeare quella in cui si legge: “rinnega tuo padre”. In Hamlet sembra che sia in arrivo un “rinnega tua madre”. Anche qui sono le allusioni a fare la differenza: la madre di Hazar mette furtivamente il rossetto, si scruta il seno, sottrae dal cassetto della figlia lo slip di pizzo nero. Sta per cedere all’assassino del marito. Tutto lascia ipotizzare che le passioni della serie siano non solo ferine, ma anche carnali.
Poco da dubitare, quindi, che Hamlet di Kaan Müjdeci sia una serie in cui provare a immergersi, come nell’abisso dell’animo umano, per apprezzarne la capacità di volgere in contemporaneo, con freschezza d’idee, quello che contemporaneo è già: Shakespeare.