Presentato in anteprima ad Alice nella Città, e adesso in sala grazie a Fandango, Takeaway di Renzo Carbonera racconta la complessità dell’esistenza concentrandosi su un gruppo di personaggi messi al bando dalla vita. Con Libero De Rienzo, qui al suo ultimo film, quello di Takeaway è un viaggio nelle contraddizioni dell’essere umano.
Di seguito la conversazione con il regista.
Il Takeaway di Renzo Carbonera
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In un’intervista rilasciata da Enrico Ruggeri al Corriere della Sera il cantautore dice che nelle sconfitte c’è molto più da raccontare. Appena l’ho letta non ho potuto non pensare a Takeaway.
Diciamo che le sconfitte sono molto più formative delle vittorie, sono quelle che ti fanno crescere e progredire nella vita, come succede in qualche modo a Maria, protagonista femminile di Takeaway. La storia è abbastanza cupa, però nelle mie intenzioni c’era quella di lasciare una possibilità alla speranza. Alla fine c’è un cambiamento di rotta perché la ragazza decide di prendere un’altra strada.
Ti riferisci al finale, quello in cui Maria si libera dal peso delle proprie azioni. Non vale lo stesso per il suo compagno e allenatore Johnny, interpretato da Libero Di Renzo ma tanto vale per assicurare alla storia uno spiraglio di luce.
L’autodistruzione è sempre una spirale, un cane che si morde la coda. Parliamo di un circolo vizioso difficile da interrompere, però se ci riesci forse è quella la vera libertà.
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Ti ho fatto queste domande per evidenziare come, rispetto ai film di genere sportivo, Takeaway ne utilizzi i codici in maniera personale. Tu preferisci partire dalla “caduta”, lasciando fuori campo situazioni più classiche come il transfert tra allieva e allenatore e la gestione degli aspetti legati alla competizione in senso stretto.
L’esercizio che chiedo allo spettatore è quello di ricostruire cosa sia successo prima dell’inizio del film. Lo faccio attraverso piccoli frammenti narrativi che servono per ricomporre il passato della ragazza e il rapporto con il suo allenatore. Lo stesso vale anche per il padre di Maria, interpretato da Paolo Calabresi e per il Tom di Primo Reggiani. Anche nella considerazione che il passato è determinante per le scelte che vediamo dei personaggi. Agli attori davo riferimenti non presenti nel film. Non azioni ma pezzi della biografia che avevo immaginato per ciascuno di loro. Quello con loro è stato un percorso che ho amato fare sin dal principio.
Takeaway di Renzo Carbonera dal punto di vista narrativo
Dal punto di vista narrativo ho trovato interessante la sovrapposizione tra le vicissitudini sportive di Maria e quelle legate all’attività alberghiera dei suoi genitori. In entrambi i casi si tratta di un tentativo di riprendere un discorso prematuramente interrotto nel tentativo di invertirne la tendenza.
Sì, è proprio così! Peraltro la presenza dell’albergo è il frutto della sensazione che ho avuto arrivando al Terminillo dove il film è ambientato. Ho visto costruzioni così grandi come normalmente mi capita di incontrare nelle zone di mare della mia regione (Il Veneto, ndr). La cosa mi è apparsa un po’ strana, non essendo abituato a vedere edifici così grandi in mezzo alle montagne; in un ambiente normalmente dominato dalla natura e qui, invece, caratterizzato dalla presenza di queste enormi strutture di cemento.
Come in Resina mi sembra che tu abbia rappresentato questi complessi abitativi in maniera perturbante nel loro essere fuori posto rispetto all’armonia del paesaggio naturale.
Certo, le guardo sotto questo punto di vista, ma anche con grande meraviglia! Queste costruzioni mi sembrano delle cattedrali nel deserto, piene di stanze destinate a rimanere vuote. Da qui l’impressione che qualcuno abbia sbagliato a fare i conti: anche perché in quei luoghi non c’è neanche un bancomat e l’unico benzinaio presente, in realtà non esiste perché l’abbiamo realizzato noi apposta per le riprese. Per contro, questa urbanizzazione così particolare e strana mi ha aiutato nella ricostruzione d’epoca, quella dei mesi precedenti alla crisi finanziaria del 2008. Un momento legato a doppio filo con il tema del doping, termine utilizzato dai giornali del tempo per descrivere la bolla economica che fece saltare i conti.
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In Takeaway, infatti, è forte il parallelismo tra il coagulo emotivo e la storia materiale dell’ambiente. Si tratta di un connubio imprescindibile destinato ad influenzare le parti in causa.
Penso che tale dialettica possa corrispondere alla nostra incapacità di fare bene i conti, che poi è quella che ci porta a strafare. La verità è che vogliamo vincere la gara così come riuscire a fare un sacco di soldi con delle operazioni finanziarie o immobiliari al limite del lecito. Quindi, come dici tu, esiste questo parallelo tra la storia dei protagonisti, l’ambiente geografico che fa da sfondo alla loro vicenda e il periodo storico rievocato da ciò che si sente nella televisione, sui giornali e, appunto, nell’elemento architettonico.
In un simile contesto il doping diventa il simbolo di una società che non vuole guardarsi dentro e preferisce barare anziché ammettere i propri limiti.
Libero diceva la stessa cosa, e cioè che Takeaway non era un film sul doping ma sull’auto sabotaggio. Quindi hai colto in pieno il senso del film perché noi ne parlavano prima ancora di iniziare a girarlo.
Lo sport e il “cinema sportivo”
Prendendo a riferimento il genere sportivo a cui in qualche modo Takeaway si rifà, a emergere è il fatto che il gesto atletico non è mai una liberazione, corrispondendo a una profonda sofferenza. Fin dalla prima sequenza la marcia è qualcosa che sfinisce e forse un modo per fuggire da se stessi e da quella vita di cui Maria sente il peso.
Sì, per lei è una sorta di dannazione, o almeno, da quando ho iniziato a pensare al film, mi è venuto spontaneo vederla così. Poi facendo ricerche sul doping ho scoperto dinamiche assurde: come altro si può considerare il fatto che un sacco di quarantenni, cinquantenni ne facciano ricorso solo per vincere la partitella di calcetto con gli amici? Peraltro si tratta di farmaci facilmente reperibili, e questo la dice lunga sulla quantità di persone che ne fanno uso.
Nella società della performance a tutti i costi conta solo vincere ed essere i migliori. Anche nelle faccende più banali. Il fenomeno è endemico.
E’ il segnale di una grande insoddisfazione interiore che, come dici, ci obbliga, a dimostrare sempre qualcosa agli altri. Nella società della performance bisogna dirci che possiamo essere all’altezza, che lì ci possiamo stare. Per raggiungere lo scopo ogni aiuto è lecito. Per questo dico che per Maria la corsa è una dannazione. Anche lei cade nel tranello e questo volevo che trasparisse senza alcun equivoco.
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Affidi alle immagini il compito di descrivere la parabola sentimentale tra Maria e il suo allenatore, dapprima suggellandone il patto infernale, isolando e circoscrivendo i due amanti all’interno della cornice della finestra del negozio. Poi, con una serie di inquadrature dall’alto del letto in cui giacciono, ne racconti il disamore mostrando la progressiva separazione dei corpi, segno della crisi sentimentale che li attanaglia.
Sì, attraverso quelle scene volevo rendere un affiatamento che mano mano viene meno. Anche la scena di sesso in cucina inizialmente volevo metterla nella prima parte, quella in cui i due sono ancora innamorati; poi ho deciso di cambiare la sceneggiatura e di inserirla dov’è adesso, perché a quel punto mi dava la possibilità di far vedere la mancanza di sentimenti, sostituiti dal bisogno di soddisfare i propri istinti. Paradossalmente in quella sequenza non c’è un avvicinamento, ma il suo contrario: da lì in poi i personaggi si allontanano, forse definitivamente.
Dal particolare all’universale
I tuoi film prendono in considerazione il particolare per arrivare a parlare dell’universale. In Takeaway questo processo è favorito dall’utilizzo di una struttura archetipica, con lo straniero, Tom (interpretato da Primo Reggiani, ndr) che arriva nella comunità destabilizzandone gli equilibri, per poi tornare nell’oblio.
Proprio così. Tom per primo non sa cosa vuole. Lui parte con l’intenzione di sparigliare le carte, ma arriva lì senza un piano preciso. Perlomeno, anche se ce l’ha, non riesce a metterlo in atto perché è un ragazzo confuso, a cui succede una cosa tipica degli atleti che hanno vinto in maniera illecita. Lui rappresenta tutti quelli che sono stati smascherati e che il doping se lo portano addosso anche per le menomazioni fisiche subite dal suo utilizzo. Sono stato spinto a fare queste ricerche dopo aver letto l’intervista di un’atleta della Germania est squalificata per lo stesso motivo e costretta a cambiare sesso per i cambiamenti subiti dal suo fisico a causa dell’utilizzo di queste sostanze.
Parlando dei personaggi bisogna dire che nessuno di loro ha un percorso lineare. Primi fra tutti i due protagonisti, continuamente ripiegati sui propri passi e mossi da sentimenti contraddittori. Da qui la bravura degli attori, chiamati a rendere verosimile un percorso così controverso.
Sì, ognuno di loro ha dei dubbi. Anche il padre di Maria (Paolo Calabresi, ndr) dapprima sostenitore della figlia e del suo successo poi dubbioso sulla maniera di raggiungerlo, non essendo più convinto che ne valga davvero la pena.
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Anche Maria e il suo mentore hanno un atteggiamento contraddittorio non solo rispetto ai metodi di allenamento, ma anche per quanto riguarda la loro relazione. Penso alla reazione di Di Rienzo di fronte alla notizia di una possibile maternità della ragazza. Uno si aspetterebbe una reazione diversa e invece la sua lascia trasparire un sentimento di inaspettata felicità rispetto al cinismo dei suoi principi.
La contraddizione di questi atteggiamenti era voluta. Gli attori sono stati molto bravi: non solo mi hanno seguito, ma hanno partecipato alla costruzione dei personaggi mettendo del loro nello sviluppo delle psicologie. Penso che il risultato finale sia molto credibile. Per ottenerlo ho utilizzato il metodo di sempre, chiedendo agli attori di provare per circa un mese e mezzo isolati dal resto del mondo.
Questo ha permesso che tutti, attori e tecnici, si concentrassero sul film e su quello che doveva essere fatto. Peraltro è stata una scelta produttiva in linea con le precauzioni anti covid. La nostra organizzazione ci assicurava il massimo della sicurezza.
Tra simbolo e realtà
Al tuo secondo film la montagna è ancora una volta protagonista, nel senso che, oltre a raccontare la storia dal punto di vista narrativo, la carica di simboli e significati. Scegliere questo ambiente ti permette di convogliare al meglio le ossessioni dei personaggi: la rarefazione del paesaggio non gli da alcuna possibilità di sfuggire ai propri fantasmi, concretizzandone il malessere.
L’ambiente montano è adatto alle mie storie. Mi permette di vedere e rendere in maniera più vivida il contrasto tra l’umanità e l’ambiente; di mostrare come questa dicotomia possa separare le persone oppure unirle, come succede in Resina.
Takeaway ha offerto a Libero Di Renzo di tornare a recitare in un film da protagonista principale in quello che poi sarebbe stato il suo ultimo lavoro.
Era il novembre del 2020 quando Libero ha accettato di fare questo ruolo. Dopo essere entrati in zona rossa si è presentato da me con lo stesso aspetto trasandato che ha nel film. Quando gli dissi che avremmo iniziato a girare due mesi dopo lui mi rispose che si sarebbe presentato sul set in quello stato, con barba lunga e capelli scomposti. Per lui non deve essere stato facile essendo una persona che teneva a curare il suo aspetto. Pensa che dopo l’ultimo ciak la prima cosa che ha fatto è stata quella di tagliarsi barba e capelli. Restare così per tutta la durata delle riprese gli ha permesso di entrare ancora meglio nella parte. Dopodiché è stato un grande compagno di viaggio: quando finiva di girare le sue scene si metteva a cucinare per la troupe. Era sempre pronto a parlare del film e delle sequenze del giorno successivo partecipandovi anche quando non lo coinvolgevano. A volte gli facevamo fare anche l’operatore di macchina, come testimonia la foto che ti ho mandato. Il monologo notturno tra Carlotta Antonelli e Primo Reggiani, quello del carrello che si avvicina agli attori, l’ha filmato lui.
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Peraltro anche qui ha scelto di recitare la parte di un drop out, uno di quelli che piacevano a lui per le contraddizioni e le asprezze che ne caratterizzano il tipo umano.
È proprio così. Il suo apporto è stato fondamentale per costruire la complessità del personaggio. Quando, dopo la sua morte, ho rivisto la scena in cui lui viene a sapere che Maria aspetta un bambino mi sono emozionato nel cogliere la luce che attraversava i suoi occhi mentre diceva di volerlo tenere. Libero è stato determinante nel dare umanità a un personaggio in parte molto meschino. Anche gli altri attori sono stati molto bravi: Carlotta Antonelli ha preso ad allenarsi prima dell’inizio delle riprese marciando sul lungomare di Ostia durante il lockdown. Tu parlavi di personaggi non lineari e io ti dico che Paolo Calabresi si è impegnato con successo in una parte lontana dal suo immaginario. Di solito lui viene impiegato solo in un certo tipo di ruoli, dimenticando la gavetta al Piccolo di Milano con Giorgio Strehler, che lo ha reso capace di fare qualsiasi ruolo. Il padre di Maria è stata l’occasione per dimostrarlo ancora una volta.
A proposito di Takeaway di Renzo Carbonera, leggi
LA RECENSIONE DEL FILM