L’Arminuta di Giuseppe Bonito, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio, vincitore del Premio Campiello 2017, è ora disponibile in streaming su Rai Play. Questa nuova opportunità offre al pubblico la possibilità di riscoprire un’opera intensa e toccante, che ha già conquistato molti grazie alla sua trasposizione sul grande schermo.
Torniamo in un tempo ormai lontanissimo: gli anni ’70. Una ragazzina di tredici anni viene portata in un luogo abbandonato a se stesso, così in contrasto con l’eleganza e la purezza della giovane. Scende dall’auto con una valigia ed una borsa. È spaesata, spiazzata. Non capisce cosa stia accadendo. Sale le scale e si ritrova davanti una famiglia sofferente, in piena povertà. La sua vera famiglia. L’Arminuta è tornata. Non capisce perché adesso il padre e la madre che l’hanno allevata se ne sbarazzino in questo modo. E senza alcuna spiegazione.
Da questo momento ci incanaliamo dentro una di quelle storie fino ad ora solo sentite, raccontate come una favola o studiate a scuola (un poema epico, una tragedia greca), così rare da sembrare esclusivamente irreali, eppure talmente devastanti per chi le subisce da restarne simbioticamente avvinghiati, incapaci di qualsiasi resistenza.
Il destino: tra fascino e inquietudine
L’Arminuta si addentra nella sua nuova e terrificante vita, rifiutandola. Combattendo il suo corso lontanissimo da giorni agiati, carichi di bellezza, di godimento, vissuti fino a pochi istanti prima. Trasportata dal mare all’entroterra, dalla città al paese, dall’istruzione all’ignoranza. La sua vera madre è un corpo e un’anima da sempre votati alla rassegnazione: 5 figli messi al mondo, contaminati dalla stessa sventura di stenti e sopravvivenza. Adriana, piccola nuova sorella per l’Arminuta, unica complice di un universo respingente. L’Arminuta non ci sta. Non può accettare tutto questo. Non ha ancora compreso che esiste una forza difficile da sconfiggere. A cui ci si deve arrendere.
Giuseppe Bonito, dopo l’approdo a Figli e al ‘testamento’ di Mattia Torre, è rimasto inevitabilmente attratto dal magma emotivo del romanzo della Di Pietrantonio. Una estrema esigenza, di fronte ad un mondo contemporaneo che ha dimenticato, o semplicemente esorcizzato, la nostra condizione: di esseri che hanno bisogno di punti di riferimento. Di esseri che non potranno mai e definitivamente essere padroni del proprio destino. Illusoriamente, oggi più che mai carichi di un terrificante senso di supremazia e di totale perdita di memoria sulla fragilità con cui nasciamo, sull’appartenere ad un caos da cui dipendiamo.
La pellicola mantiene parzialmente le sue promesse. Le dinamiche narrative non si condensano, ma giungono come mere sequenze di avvenimenti, di tasselli da incastrare. Il film aveva bisogno di dilatarsi, di prendersi il tempo necessario per farci addensare a quei luoghi, a quelle vite, a quei sentimenti forti, contrastanti, così difficili da comprendere e da vivere. Alcune figure risultano troppo stilizzate, perdendo un po’ di umanità, restando ancora sulla carta del romanzo. I personaggi che più incarnano una consapevolezza dell’esistere sono la giovane protagonista Sofia Fiore, davvero riuscita nella sua dimensione ed intimità, nell’essere aliena davanti ad un cambio di prospettiva così sconvolgente da poter solo essere rifiutato, prima di arrivare a comprenderlo ed accettarlo. E Vanessa Scalera, notevole nell’incarnare uno spirito ed un corpo che vede e riconosce il suo destino, lo sente sin nelle viscere, ne è completamente avvinta.