Hleb Papou è il giovane regista de Il Legionario.
Il suo primo lungometraggio, nato dal cortometraggio omonimo, è stato presentato al Festival di Locarno.
In quell’occasione Papou ha ricevuto un premio come miglior regista esordiente (qui per saperne di più).
Adesso, il regista riporta il suo film a Roma, ad Alice nella città (qui per il programma). E, con l’occasione, gli abbiamo fatto qualche domanda.
La genesi de Il Legionario di Hleb Papou
Il Legionario è il tuo primo lungometraggio e nasce da un tuo cortometraggio omonimo. Com’è nata l’idea? E cosa ti ha spinto ad approfondire la storia già “introdotta” con il corto?
L’idea nasce da un’immagine che mi era venuta in mente, che è quella di un celerino nero. Partendo da quell’immagine, insieme ai due sceneggiatori Emanuele Mochi e Giuseppe Brigante, abbiamo sviluppato la storia decidendo di ambientarla dentro i palazzi occupati romani, girandola e ambientandola in un palazzo in particolare che si trova nel quartiere Esquilino, un quartiere centrale e quindi anche borghese. Ecco perché non è un film di periferia. Ho deciso di approfondire la storia perché il corto, oltre al fatto che dura 12’, ha una platea di meno persone. A parte questo, avevamo una forte esigenza, soprattutto io, di raccontare questa storia andando oltre gli stereotipi, il pietismo, la retorica, il buonismo. Avevamo l’esigenza di urlare che l’attualità italiana è questo.
Un esordio forte e molto apprezzato, tanto che ti è valso un premio a Locarno dove è stato presentato. Ed è un film con uno sguardo interessante all’attualità. Quanto c’è di te nel racconto di Daniel e Patrick che sono degli italiani figli di immigrati o “stranieri di seconda generazione”? Anche loro come te hanno un doppio legame: quello con il proprio paese d’origine e quello con il paese in cui vivono e crescono. Anche se ognuno a suo modo.
Nel subconscio certi temi riguardavano anche me. Anche se non ho mai occupato case e non ho fatto il celerino (ride, ndr). Sono nato in Bielorussia, da quando ho cinque anni ho iniziato a venire in Italia. Poi, a undici, mi ci sono trasferito definitivamente con mia madre, nel nord, a Lecco. Quindi queste tematiche legate all’attualità italiana multietnica, per il mio bagaglio personale, hanno giocato un ruolo fondamentale.
Quindi anche tu, Hleb Papou, sei, in qualche modo, legato sia a Daniel che a Patrick?
In realtà io e i due autori volevamo raccontare e costruire due personaggi vivi, che sbagliano e che non siano delle macchiette o dei robot. Volevamo evitare questa retorica, questo pietismo, le ideologie politiche. E tutto è senza giudicare. Anche quando siamo stati sul campo abbiamo cercato di essere più onesti possibile e più sinceri possibile. Nessuno voleva giudicare nessuno e quello che ci sembrava interessante lo abbiamo rappresentato.
I rapporti familiari
Allora approfitto per farti una domanda che ti avrei voluto fare dopo. La frase che “divide” il film in due parti è quella della madre che dice a Daniel, riferendosi a Patrick: “Lui almeno non fa finta di non avere una famiglia”. Secondo me è come se in quel momento si rompesse una sorta di equilibrio. Si può dire che la madre è l’unica che “giudica”?
La madre sicuramente è un punto di incontro dei due fratelli. Fa da ponte tra i due fratelli. Alla fine lui vuole tirare fuori sia la madre che Patrick da quel palazzo. Con la madre ci riesce parzialmente, ma poi lei ritorna lì perché torna la luce. Fa quello che farebbe un qualsiasi figlio per proteggere la propria madre.
E poi, a proposito della famiglia, mi è piaciuto molto il rapporto padre-figlio, analizzato in varie sfaccettature e sotto vari punti di vista. I due fratelli non hanno la figura del padre, però lo sono entrambi. Daniel con il figlio in arrivo; Patrick “separato” dal figlio; Aquila che cerca di recuperare un rapporto con il figlio.
Sono tutte famiglie un po’ squilibrate. Loro due hanno un’unica donna che li cresce. E anche Aquila deve cercare di recuperare il rapporto con il proprio figlio di cui non si sa molto. Quindi, da parte di Aquila, c’è questo cameratismo con Daniel e i suoi colleghi. Poi Patrick è diventato padre quando era un ragazzino. Quindi sì, sicuramente c’è un rapporto complicato.
Sempre a proposito dei legami familiari e personali, ci sono anche altri momenti interessanti durante tutto il film. Uno, per esempio, è il momento in cui Aquila mostra il video per il compleanno del figlio. Se fino a quel momento il pensiero dei protagonisti è solo “intuibile”, dopo diventa palese (così come il nascondersi di Daniel). E, così facendo, è ancora più evidente la differenza tra Daniel e la celere. Marcata in modo particolare dalla maglietta con scritto “fuck the police”.
Ti do due risposte: la prima è che, per quanto riguarda Aquila, abbiamo voluto umanizzare la sua figura e quella dei poliziotti in generale perché sono esseri umani e non delle macchine. Sbagliano come tutti e commettono degli errori. Per quanto riguarda “fuck the police” e tutti i riferimenti alla polizia è una questione legata al fatto che i poliziotti sono persone autoreferenziali, soprattutto i celerini. A loro piace che si parli di loro. Anche se se ne parla male va bene, loro usano questo tipo di provocazione per fare ancora più squadra e per farsi forza. Questi elementi sono il carburante per fare il loro lavoro.
Hai ragione, però fa riflettere questa cosa che lui è nella polizia, ma al tempo stesso vorrebbe anche evadere.
Sì perché lui è occupante fra i celerini e celerino fra gli occupanti. Lo si vede anche quando gioca ai videogame dove massacra i poliziotti. Lui è continuamente scisso. Gli piace il suo lavoro e vuole continuare a lavorare nella celere, ma anche tenere d’occhio la famiglia che è nello stabile occupato. Il problema è che non si può tenere il piede in entrambe le scarpe.
I temi de Il Legionario di Hleb Papou
Torno ai temi perché sono davvero tanti: razzismo, integrazione, famiglia, importanza dei legami, identità, casa. E non era facile riuscire ad amalgamarli tutti come, invece, hai fatto. Quale credi che sia quello che, alla fine, emerge di più e sul quale merita porre particolare attenzione?
Sicuramente il tema che l’Italia è cambiata e non è più il paese di 60 anni fa. Tutti questi temi fanno capo a questa macrotematica.
Un altro tema che ho ritrovato nel film, in tante situazioni, è quello della paura. Una paura che si nota in tante scelte dei personaggi.
Io credo che i personaggi, essendo vivi, hanno paura. Una delle paure principali è quella, per Daniel, di scegliere a quale famiglia appartenere.
Il finale
Una scena che mi ha colpita particolarmente è lo sguardo finale tra Daniel e Aquila che rappresenta quasi una fine non fine. In un certo senso io ci ho visto anche un finale aperto.
In realtà quando lui chiude la visiera dell’elmetto è come se si chiudesse il sipario. Probabilmente da quel momento non parleranno più. Il lavoro di Daniel nella celere, a quel punto, è finito. Anche perché in qualche modo ha tradito il proprio capo squadra che lo considerava un figlioccio. Almeno questa è la linea di sceneggiatura.
Da come è mostrato ed essendo uno scambio di sguardi senza parlare, però, può essere un finale non finale.
Sicuramente Daniel non ha perso. Nessuno è morto, ma la sua vita non sarà più la stessa.
Magari quello che è successo lo aiuterà a decidere, anche in futuro e anche in altri contesti.
In quel momento lui, facendo quel gesto e salendo sul tetto, prende una decisione. E alla fine ha perso sia la famiglia che la celere.
Riferimenti e futuro per Hleb Papou
C’è (stato) un riferimento particolare al cinema? Qual è il tuo cinema di riferimento?
In questo senso ti posso citare diversi nomi. Audiard, Kassovitz. In Italia Sollima. E poi in Sud America e Brasile José Padilha. In Nord America Villeneuve. Insomma gente che fa cinema impegnato guardando all’intrattenimento.
Cosa ti aspetti dalla presenza de Il Legionario ad Alice nella città?
Sicuramente una bella occasione. Perché è la prima volta che viene proiettato in Italia. Apriamo la campagna italiana.
Il Legionario è presentato ad Alice nella città nel concorso Panorama Italiano ed è distribuito da Fandango.
Leggi la recensione del film: ‘Il legionario’ – Il poliziesco sociale di Hleb Papou ad Alice nella Città
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli