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Venezia .68. “Io sono Li”: delicata rappresentazione di Andrea Segre della forza di vivere (Giornate degli autori)

L’esordio al cinema di finzione di Andrea Segre è una storia ovattata sull’innocenza dei sentimenti vissuta in un meccanismo ove la scelta non esiste. Una riflessione sul rapporto con l’altro in un momento storico dove l’alterità è temuta e rifiutata.

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L’esordio al cinema di finzione di Andrea Segre è una storia ovattata sull’innocenza dei sentimenti vissuta in un meccanismo ove la scelta non esiste. Una riflessione, stagliata su un contesto contemporaneo e problematico, sul rapporto con l’altro in un momento storico dove l’alterità è temuta e rifiutata.

Il tema dell’altro nei film italiani presentati nelle varie sezioni a questa 68esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia ha avuto in effetti trattazioni ampie e molteplici. Tuttavia, Andrea Segre con Io sono Li ha saputo inserirsi e distinguersi in questo filone di autori interessati ad argomentare una delle più scottanti materie dell’Italia contemporanea. Nel suo film è presente ogni sfumatura del timore che imprigiona le menti degli italiani: l’”invasione” cinese, la condivisione affettiva con queste culture, il pregiudizio insito in certe ideologie politiche, l’illegalità e le condizioni lavorative che caratterizzano questi segmenti sociali.

Il film nasce da un fortunato percorso produttivo che aveva già riconosciuto le potenzialità della sceneggiatura (scritta dal regista in collaborazione con Marco Pettenello) e racconta di Shun Li (la premiata attrice cinese Zhao TaoStille Life, 2006 -), una giovane madre occupata nella filiera della sartoria cinese al fine di ricongiungersi al figlio rimasto in Cina. La sua vita incontra una svolta particolare quando viene trasferita a Chioggia per lavorare in un’osteria, dove entrerà da subito a stretto contatto con il pittoresco di questa realtà lagunare.

I personaggi coloriti dell’osteria la accoglieranno con benevolenza, chi più chi meno: ma tra tutti, in particolare con Bepi “il Poeta” (Rade Sherbedgia, romantico e sognatore) germoglierà una sintonia tenera fatta di condivisione di ricordi, cultura e parole poetiche. Questo rapporto spontaneo ed enigmatico però sarà visto con enorme diffidenza, fino ad essere osteggiato da entrambe le comunità, cinese ed italiana. Come a rappresentare un muro invisibile ma insuperabile, attraverso il quale ci è concesso di sbirciare senza poter mai realmente scavalcare il confine, la dolcezza del racconto di Li è una rattristata ammissione di come neppure l’animo della gente sia realmente pronto a condividere la ricchezza del diverso. Forse per un problema di ignoranza o forse per il timore che il coinvolgimento possa essere diffuso e sincero, com’è per i protagonisti.

Lo sguardo sperduto e amorevole di Zhao Tao, che ammira il nebbioso confine tra la laguna e il mare, racchiude in sé quel richiamo costante alla poesia che affascina entrambe le loro anime, nel ricordo di antiche odi della cultura cinese celebrate sulle rive dell’Adriatico. E che racconta e confeziona quest’opera prima con una delicatezza che mancava nel panorama esordiente nazionale.

Il racconto di Segre denuncia poi, con posata attualità (memore del suo efficace stile documentaristico: tra gli ultimi Come un uomo sulla terra, 2008, Magari le cose cambiano, 2009, Il Sangue Verde, 2010), le condizioni in cui queste anime senza scelta sono costrette a lavorare per poter sopravvivere; o per poter fronteggiare i ricatti delle cupe organizzazioni che le hanno convocate in Italia; o peggio per tentare di ricongiungersi al proprio figlio disperatamente.

Con equa distanza, osservando silenziosamente, l’acqua scivola sulla banchina come il racconto di questo regista, umile nei gesti ma dalla narrazione ricca di emotività e colore, scivola sommesso nell’interiorità di chi lo apprezza.

Rita Andreetti

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