Si apre con un film italiano l’edizione 2021 dell’Architecture Film Festival di Rotterdam, dedicata al tema More Than Houses. Venezia Altrove, uno psicodocumentario di Elia Romanelli prodotto da DocArte distribuito da Taskovski Film, è stato proiettato in anteprima internazionale mercoledì 6 ottobre.
Abbiamo scelto questa definizione stravagante perché non è l’architettura della sua città che il veneziano Romanelli documenta, come forse si è portati a ipotizzare visto il contesto e il titolo, bensì l’idea che si ha di Venezia quando le si è lontani.
Documentare l’immaginario
La troupe si reca allora in due località che portano lo stesso nome (Neu Venedig in Germania, già DDR; Venetìa in Romania), più in alcuni altri contesti (in Turchia, in Croazia, ancora in Germania) dove il nome di Venezia viene usato più o meno a (s)proposito per designare un salone di parrucchiera o un ristorante, oppure viene evocato in un carnevale che vorrebbe imitare quello veneto.
L’elemento comune in questa disomogeneità socio-geografica, che è poi ciò che colpisce e rappresenta il nucleo del film, è che Venezia è sempre un’idea astratta nelle menti delle persone che la immaginano, le quali, la maggior parte delle volte, sono ben lontani dal rappresentarsi la Venezia reale (fatta di acqua alta, vaporetti e polo petrolchimico).
Se inizialmente lo spunto narrativo sembra esile, spiazzati come si è dai luoghi delle immagini, distanti dalle nostre aspettative almeno quanto l’idea tipica di Venezia lo è dalla città reale, piano piano l’interesse verso queste vite ingenue e sognanti e cresce, come la marea.
Altrove necessario
L’idea di Venezia è sempre legata alla mondanità, alla spensieratezza, alla libertà, alla passione. Un altrove ideale di cui abbiamo bisogno per riuscire a sopportare lo squallore delle nostre vite quotidiane, brutali nella loro banalità (o a volte segnate da episodi realmente traumatici): possiamo sempre illuderci che esiste Venezia e che forse un giorno ci andremo.
Insomma, Venezia è un’icona, come recita la voce narrante di Giuseppe Cederna. O piuttosto un simbolo, diremmo noi. Ma dove è scritto che la Venezia immaginata, astratta, simbolica sia meno reale di quella concreta?
Chi decide che un nome appartiene ad una cosa? Che una cosa appartiene ad un nome? […] Se questa città, che è qui e in mille altri luoghi al medesimo tempo, fosse sempre la stessa città?
Anzi: alla fine, quando la Venezia concreta non ci sarà più, non sarà proprio e solamente il simbolo a rimanere?
Mi hai chiesto, tempo fa, se quando Venezia sarà scomparsa avrà la stessa consistenza degli animali mitologici. Sì, probabilmente sarà solamente immaginabile e forse avrà la stessa consistenza delle città dentro le sfere di vetro. La stessa solita consistenza della malinconia che si può provare per città sempre desiderate e mai percorse.
Ecco che allora diventa chiaro che il senso di questo documentario è quello di un’elegia per una città che sta per morire. Ma – allo stesso tempo – se la storia di una città può avere fine, quella di un’idea no.
Infine, una rapida osservazione anche sull’aspetto formale: il regista Elia Romanelli – classe 1981, specializzato in documentari d’arte – e il direttore della fotografia Giuseppe Drago confezionano molte inquadrature che potrebbero benissimo essere prese per dei quadri. Chissà che il film non venga scelto per aprire anche un festival che mette insieme cinema e pittura.
[Un altro film su Venezia e l’architettura: Palladio – The Power of Architecture]