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‘Tyler Rake’, il campione di Netflix: 10 regole per un cult d’azione
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3 anni agoon
Questa non è una recensione. Perché guai a fare di Tyler Rake un action movie per intellettuali. In mezzo alle raffiche sparatutto, nel sibilo dei duelli al coltello, nel crash assordante dei blindati di ogni sorta che si schiantano esplodendo, la tastiera s’inceppa e la critica – una volta tanto – vorrebbe evadere: è solo evasione, e via.
Il film campione di click di Netflix (qui le classifiche complete) si accolla disinvoltamente tutti i galloni del proprio disimpegno: blockbuster, fracassone, mainstream, giocattolone, film-da-divano e qualsiasi altra definizione – si spera: non spregiativa – che si possa pensare di sparare su un film d’azione girato, in buona sostanza, da un direttore di stuntmen.
Il regista Sam Hargrave, di fatto, arriva a farlo davvero solo con Tyler Rake, dopo le precedenti esperienze attoriali e di coordinamento delle unità stunt di grandi successi commerciali: dalla saga di Hunger Games, a Suicide Squad, fino a collaborazioni ripetute con l’universo Marvel.
È lo stesso dei produttori: Joe Russo, regista degli ultimi due Avengers, e il fratello Anthony, che li ha scritti. Se si aggiunge come protagonista Chris “Thor” Hemsworth, il team delle meraviglie è completo. Ma possono bastare i credits – e allegate biografie – per motivare il gradimento del pubblico?
Il trailer
La trama
Tyler Rake (Chris Hemsworth) è un mercenario super-professionista, con una solida organizzazione alle spalle e senza paura di morire. Anzi: forse col desiderio di farsi freddare da una pallottola, per cancellare traumi e colpe del passato. Rake viene assunto per “estrarre” – ossia liberare da un rapimento – il figlio adolescente di un signore della droga imprigionato a Mumbai, di nome Ovi (Rudhraksh Jaiswal). Per un buon gruzzolo, e solo per quello, dovrà riportarlo dal Bangladesh all’India, sfidando la tentacolare gang del potente Amir Asif (Priyanshu Painyuli). Veglia su di lui Nik (Golshifteh Farahani), supervisionatrice a distanza della missione. Ma le cose si complicano, per i soliti voltafaccia. E poco ci manca che la mission diventi impossible.
Le 10 regole della missione cult d’azione
Anche solo l’ambientazione tra India e Bangladesh, così schiettamente astuta a incrociare la platea di Hollywood con quella di Bollywood, sarebbe sufficiente per desistere: inutile mettersi a ragionare sul successo del film, laddove i massimi sistemi industriali spiegano tutto, senza dover scomodare i massimi sistemi della critica. Cifre esplosive: 99 milioni di abbonati nel mondo hanno visto almeno 2 minuti di Tyler Rake nei primi 28 giorni dall’arrivo su Netflix.
Smontare e rimontare l’apparato cinematografico, ad ogni modo, è sia un mestiere – come quello di confezionare successi ad arte – sia un piacere. Emotivo, di curiosità, di passione spettatoriale: tranquilli, nessuna granata concettuale sta per scoppiare. L’idea è, se non di razionalizzare la fortuna di Tyler Rake con ossessionate argomentazioni, quantomeno di continuarci a giocare. Così, in tema di leggerezza: visto che il film s’intitola, in originale, Extraction, provare ad estrarne dieci regole che ne hanno fatto un brillante dispositivo d’azione e un acclarato boom di visioni. Buon divertimento starebbe bene come invito al film, ricca macchina d’intrattenimento; qui può bastare un buona lettura.
Regola n. 1: everybody wants a piece of the action
Si sono già visti film d’azione che iniziano nel mezzo dell’azione stessa, e con un lungo flashback promettono di tornare al prologo per concludere – tra sangue e adrenalina – il corso del racconto.
Anche Tyler Rake s’iscrive alla lista, ma in più, rispetto a tanti omologhi svogliati, mantiene le promesse: rapimenti, missioni, esecuzioni, giravolte d’alleanze – saranno sì un campionario noto, ma intanto si può essere campioni anche di quantità. E il film – ipercinetico, ipercombattuto, iper e basta – ne abbonda.
Regola n. 2: armi letali
“Thwack!”, “Pow!”, “Bap!”: dimenticate le colorate onomatopee in stile Batman e Robin, serie tv anni ’60 della Abc con Adam West e Burt Ward. L’action del terzo millennio prevede che lo scontro fisico sia pressoché uno script nello script: un rastrello può servire per un’esecuzione, un camioncino con cui investire lo sfidante può divenire l’idea mortifera dell’ultimo minuto. E no, niente coreografie marziali alla John Wick: in Tyler Rake si picchia molto più duro, con meno grazia. A costo di regredire all’effetto di una graphic novel in digitale.
Regola n. 3: l’eroe dagli occhi di ghiaccio
Chris Hemsworth si conferma capace di performance dirompenti nell’impatto fisico. Quando, nondimeno, al mercenario o al bounty killer di turno si voglia dare anche l’aria tormentata, da Clint Eastwood in avanti è noto che al turgore dei muscoli e alle evoluzioni atletiche riesca utile anche uno sguardo liquido: due occhi chiari e impenetrabili. Il carisma passa non solo per tendini e physique du rôle, ma anche per nervi e inquietudini.
Regola n. 4: cattivissimo villain
Il colorimetro dei criminali ha cinquanta e più sfumature. Se la dinamica buoni/cattivi resta generalmente la medesima in tante avventurose girandole d’azione, sono scrittura e interpretazione attoriale a ridefinire, almeno in parte, la maschera del villain. L’elegante Amir (Priyanshu Painyuli), che ama trame diaboliche e preziosi tessuti, si riassume tutto nello sguardo impassibile con cui scruta l’eliminazione dei nemici al binocolino, stile competizione ippica o balcone dell’opera. Vale a dire: a touch of evil come fosse un tocco di classe.
Regola n. 5: un pizzico di esotismo
La fotografia virata sull’arancio, che ricorda umori da Apocalypse now; Mumbai tra lusso e miseria; l’hindi di alcuni dialoghi: vivere e morire lontano da Los Angeles ha un fascino cinematografico speziato. Ma non è esotismo spicciolo. Il montaggio moltiplica i luoghi raccontando visivamente la dispersione della metropoli. Palazzi cadenti, panni stesi alla peggio, terrazzi come arene di scontri mortali sanno alimentare la tensione facendo delle location, in Tyler Rake, molto più di semplici fondali di cartapesta.
Regola n. 6: effetto videogame
Lo scambio bilaterale tra universo videoludico e settima arte è stato ampiamente documentato nel cinema del terzo millennio. Ben al di là, peraltro, del pretesto della trasposizione, di casi come Tomb Raider, Mortal Kombat, Silent Hill, Final Fantasy e altri. In Tyler Rake il mercenario alla call of duty è tratteggiato con stile da videogioco nella frenesia spara e uccidi del prologo, nelle scene inquadrate dal mirino, nel pazzesco inseguimento in auto della prima fuga di Tyler. Chi ha più azione – videogioco o film – se ne serva.
Regola n. 7: trappole di cristallo (o altri materiali)
La fuga forse più funambolica di Tyler Rake è quella del protagonista con Ovi tra interni, sottoscala, tetti e fogne nel dedalo della città, in mezzo a sicari e poliziotti, tutta in piano sequenza. Suggestivo che poco prima i due fossero reduci dall’evasione da una boscaglia, diventata scena di un agguato nemico. Alla fine, l’azione tende sempre a essere uguale a sé stessa: il cambio di scenario è una variazione essenziale per evadere dalla noia.
Regola n. 8: scene cult
A costo di stilizzarsi o esagerare, ogni film d’azione ha bisogno di scene non solo godibili, ma anche memorabili. In Tyler Rake, due sequenze di tuffo, in successione ravvicinata, appaiono iconiche. Nella prima, Tyler, in riposo su un crepaccio, si solleva e si tuffa in acqua, senza colpo ferire, dalla rupe vertiginosa, per lo stupore del commilitone. Per poi meditare sott’acqua. Vi si oppone il disturbante tuffo forzato col quale lo scagnozzo di Amir getta dal balcone i ragazzetti sotto gli occhi del boss, per indurre uno di loro a confessarsi colpevole di un piccolo sgarro. Sangue freddo, nel bene e nel male.
Regola n. 9: i duri hanno due cuori
Quasi come tra Matilde e il sicario nel classico Léon (1994) di Luc Besson, tra Ovi e Tyler s’instaura un rapporto di comprensione reciproca in un universo violento e ostile.
Nonostante ostenti la motivazione unica dei mercenari – il denaro – per salvare il ragazzo, Tyler presenta anche una grana emotiva, che Ovi stesso prova a risvegliare, provocandolo con sincero trasporto:
Ovi: io sono come un pacco per te?
Tyler: più o meno.
Ovi: con la carta marrone.
Il duro monolitico non è sempre, davvero monolitico nel cinema d’azione. Nonostante le differenze anagrafiche, le decisioni di Tyler sembrano quasi cucirgli addosso, idealmente, la battuta di Bruce Willis in Sin City di Robert Rodriguez:
La morte del vecchio per la vita della bambina: uno scambio equo.
Regola n. 10: l’effetto stop and go
Anche nei film d’azioni più duri e crudi, quali Tyler Rake, servono pause e rallentamenti: la quiete prima della tempesta. A proposito del vago sentimentalismo del film, il timing del racconto nel distribuire queste transizioni si rivela non solo funzionale a ri-scatenare l’inferno, ma anche a trovare momenti di confessione o intimità. Così non solo per il protagonista, ma anche per il guardaspalle del padre di Ovi, Raju, che chiama al telefono moglie e figlio in una toccante scena pre-azione. Motion ed emotion.
Al netto dei dejà-vu, degli stereotipi di genere, delle scaltrezze che accalappiano gli spettatori e delle contaminazioni stilizzanti da videogioco o graphic novel, Tyler Rake di Sam Hargrave è un film che riesce a far funzionare tutto, rispetto alle proprie ambizioni: pop o autoriali che siano. Missione compiuta, dunque. Una missione riassumibile, senza fronzoli, in una frase vecchissima: ciak, azione.