Su MUBI, il film diretto da Damien Manivel e Kohei Igarashi, The Night I Swam, è un piccolo, minimale viaggio alla scoperta dell’infanzia.
The Night I Swam: Trama
Un bambino si sveglia nel cuore della notte. Suo padre, come sempre, sta andando a lavorare al mercato del pesce locale. Il sonno è ormai passato, così il bimbo vaga per la casa e disegna fino all’alba. Quando arriva il momento di andare a scuola, però, inaspettatamente cambia idea e si avventura tra la neve. È l’inizio di un viaggio del tutto particolare.
I bambini (ci) guardano
Il disegno, il mercato del pesce, un lungo sogno. Si divide in tre, semplicissimi capitoli il lungometraggio filmato a quattro mani dal francese Manivel e dal giapponese Igarashi. Un’opera minimale in tre atti dove il tempo e gli eventi acquistano un senso tutto nuovo, restituendo il sentire dell’infanzia e la semplicità degli affetti. È un film ad altezza di bambino, del resto, The Night I Swam. Un’opera che ne prende in prestito lo sguardo e lo getta sul mondo circostante, colorandolo di un’inedita e genuina carica poetica.
Senza parole
In un Giappone che pare il diretto discendente di quello dell’Ozu di Sono nato ma… e Buon Giorno (anche quest’ultimo disponibile su MUBI), dove l’infanzia è l’antitesi del mondo adulto, ha così inizio l’avventura del piccolo Takara. Un viaggio disseminato di soste e imprevisti con al centro un bambino che si fa protagonista assoluto, nel tentativo di dominare quel mondo candido e sconosciuto. È un piccolo eroe da film muto, d’altronde, Takara. Silenzioso e fuori luogo come un Buster Keaton alle prese con un ambiente che non gli appartiene. Emblema di un cinema puro e contemplativo che non ha bisogno delle parole per esprimersi al meglio.
Come un haiku
È proprio attraverso questo stile essenziale, fatto di silenzi e lunghe inquadrature fisse, pronte a catturare ora un paesaggio innevato ora il primo piano sonnolento del suo eroe, che The Night I Swam sa restituire, con la sola forza delle immagini, il senso di un film semplice e immediato come un haiku. Tra cinema del reale (gli attori, non professionisti, interpretano se stessi) e tensione poetica, il film diventa così un piccolo, gentile inno all’amore tra genitori e figli, restituendo il ritratto stilizzato di dinamiche affettive uniche ma universali.
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